Eni, nella stazione di servizio un diner all’americana con menu di chef Romito

L’atmosfera è quella retrò, di un Diner hopperiano newyorkese. Un chiaroscuro di tavolini e neon colorati in cui la colazione, il pranzo, la cena hanno contorni sfumati. Il cibo è quello di un fast food stellato, dove tutti gli ingredienti, dalle farine ai lieviti, all’olio di frittura sono ben selezionati. Si chiama ‘Alt Stazione del Gusto’ e si trova a Roma, nella storica stazione di servizio di Eni in viale America all’Eur.

Aprirà le porte a chi parte e a chi arriva in città, a chi sosta per un rifornimento, a chi si ferma per un caffè al volo prima di iniziare la giornata o si intrattiene per un aperitivo dopo il lavoro. L’idea nasce da una collaborazione di Enilive, brand di Eni Sustainable Mobility, e Accademia Niko Romito dello chef tre stelle Michelin. L’obiettivo è raggiungere 100 aperture nel quadriennio, a cominciare dalle principali città italiane.

E’ il primo assaggio di Enilive, il nuovo brand lanciato una settimana fa, e dà l’idea di come stiamo trasformando la nostra società dedicata alla bioraffinazione, alla produzione di biometano, alle soluzioni di smart mobility e alla commercializzazione dei servizi e di tutti i vettori energetici per la mobilità, anche attraverso le oltre 5mila Enilive Station in Europa”, spiega durante la presentazione Stefano Ballista, amministratore delegato di Eni Sustainable Mobility.

La proposta di Alt è un unicum nell’evoluzione dei servizi per le persone in mobilità e, ribadisce l’ad, “conferma l’impegno a essere sempre più vicini alle esigenze di chi frequenta e vive i nostri punti vendita, non solo per fare rifornimento“. Dopo aver consolidato la principale catena italiana di bar, gli Eni Café, la prima apertura del nuovo format avviene in una stazione dal valore storico e simbolico, quella di viale America, dove, ricorda, “siamo presenti fin dagli anni Sessanta e che da oggi si distingue e anticipa l’offerta che in futuro verrà estesa a tante altre Enilive Station, e non solo”.

Il menu si declina dalla colazione alla cena, in una serie di proposte al tavolo o da asporto. Per Enilive, la collaborazione con l’Accademia Niko Romito si inserisce nel percorso di rinnovo e ampliamento dell’offerta di servizi nella rete dei suoi oltre 5.000 punti vendita in Europa, di cui oltre 4.000 in Italia: le stazioni Eni oggi sono diventate ‘mobility point’ in grado di soddisfare un numero sempre maggiore di esigenze delle persone in movimento, attraverso la messa a disposizione di servizi che consentono ai clienti di trasformare la sosta per il rifornimento tradizionale o elettrico da necessaria a utile. Nel punto vendita di viale America è disponibile un’area dedicata alla ricarica dei veicoli elettrici attraverso tre colonnine di Plenitude il cui avvio e pagamento potranno essere effettuati anche direttamente nel ristorante.

La partnership tra Accademia Niko Romito e Enilive prevede un piano di sviluppo anche tramite franchising. Il progetto, oltre ai flagship che Niko Romito gestirà direttamente, svilupperà un piano di franchising proponendo modelli di gestione e formazione strategici e innovativi. Il progetto di sviluppo è diretto a un segmento di giovani imprenditori interessati a diventare gestori di un format di cucina popolare “su strada” di qualità, sviluppato attraverso un modello di business snello, organizzato e standardizzato.

Romito descrive Alt come la declinazione della sua ricerca in chiave “più democratica e trasversale“. “Ho immaginato un modello di ristorazione su strada perché le strade sono di tutti“, spiega lo chef: “Volevo lavorare ad un’offerta di cucina popolare, con piatti facilmente comprensibili, che avessero un’accezione quasi domestica e un approccio creativo, di qualità. Ho realizzato quello che io stesso vorrei trovare quando per lavoro viaggio e mi sposto: un menù che, dalla colazione alla cena, possa soddisfare il viaggiatore, il motociclista, la famiglia che transita, chi si ferma per un pranzo di lavoro in un’atmosfera informale o chi vuole portare via una merenda, del buon pane o un pollo fritto”.

TAP Melendugno

Gozzi: “L’Italia deve definire una strategia energetica per il futuro”

È ormai del tutto evidente che l’Europa non riesce a fare una politica energetica comune. Le vicende recenti lo dimostrano ampiamente: dall’impossibilità pratica di trovare un accordo sul price cap del gas nel pieno della crisi causata dall’invasione russa dell’Ucraina, alle politiche di sussidio ai prezzi dell’energia che i singoli Stati, specie i più forti come Germania Francia, hanno deciso di fare autonomamente piuttosto che impegnarsi per un accordo complessivo europeo.

Le politiche di sussidio ai prezzi sono state consentite dal fatto che di fronte alla crisi economica provocata dal Covid prima e dalle conseguenze della guerra Russia-Ucraina poi, la Commissione Europea è intervenuta con il Temporary crisis and transiction framework, in pratica una deroga alle stringenti regole sugli aiuti di stato che ha consentito ai singoli governi di intervenire secondo una logica “ognun per sé Dio per tutti” per alleviare il caro energia per famiglie ed imprese.

Ovviamente questi interventi, specie quelli a favore delle imprese e in particolare delle imprese energivore, creano asimmetrie competitive gravi tra le imprese degli stati forti, che tali interventi si possono permettere, e quelle degli stati meno forti finanziariamente. E ciò mina alla base il principio del mercato unico.

Si potrebbe ovviare a queste distorsioni istituendo ad esempio una tariffa elettrica comune europea per le imprese energivore. Ma purtroppo nessuno ne parla, da un lato perché a Bruxelles, come abbiamo più volte ricordato, a causa dell’ubriacatura dell’estremismo ambientalista c’è disinteresse, se non un vero e proprio pregiudizio, nei confronti dell’industria di base; dall’altro perché i singoli Stati, schiacciati dalle stringenti regole europee sul climate change, stanno cercando, ognuno per proprio conto, una via alla transizione energetica che consenta contemporaneamente di decarbonizzare e di abbassare il costo dell’energia.

Vasto programma che a breve farà i conti con la realtà, in particolare mostrando che gli obiettivi del cosiddetto Green Deal al 2050 (zero emissioni nette di gas con effetto serra, crescita economica dissociata dall’uso delle risorse senza trascurare nessuna persona e nessun luogo) sono di fatto irraggiungibili. Ma tant’è.

Realisticamente dobbiamo prendere atto che una politica comune europea dell’energia, sia pure auspicabile, non è possibile per i troppi conflitti di interesse fra Stati e per la diversità dei punti di partenza che spesso rappresentano vantaggi competitivi per i sistemi economici e industriali nazionali a cui chi ne può godere non vuole rinunciare.

Alla luce di ciò l’Italia, secondo sistema industriale d’Europa, si deve rapidamente attrezzare con una strategia energetica di medio-lungo periodo che consenta alla sua industria di rimanere competitiva.

Gli altri grandi Stati europei stanno facendo così. Basta guardare i differenziali di prezzo dell’energia dei maggiori Paesi Europei rispetto all’Italia che si trova fortemente penalizzata.

La Germania ha puntato moltissimo sul vento del mare del Nord, sul fotovoltaico e sull’approvvigionamento di idrogeno. Negli ultimi mesi si stanno installando nel Paese l’equivalente di 30 campi di calcio di fotovoltaico al giorno e 4-5 turbine eoliche al giorno. Per raggiungere gli obiettivi climatici al 2030 i tedeschi dichiarano che sarà necessario costruire 43 campi di calcio al giorno di fotovoltaico e mantenere il ritmo di 5 turbine eoliche al giorno. Ci riusciranno? Si vedrà. Nel frattempo la chiusura di centrali nucleari e centrali a carbone spiazza l’industria tedesca e la obbliga a riscoprire le centrali a gas: Ansaldo Energia ha recentemente vinto una gara in Germania per la costruzione di una grande centrale a gas.

La Francia, coerentemente alla sua storia, ha fatto e ribadito la scelta del nucleare. Vinta la battaglia in Europa per inserirlo nella Tassonomia (la lista delle tecnologie ammissibili con il Green Deal) da un lato sta facendo giganteschi interventi di manutenzione sulle centrali esistenti, tutte risalenti a molti decenni fa, dall’altro è all’avanguardia sui progetti di nucleare di quarta generazione, molto più sicuro e meno costoso del tradizionale, su cui mantiene e manterrà una leadership continentale. Il nucleare, specie quello di nuova generazione, è naturalmente la fonte energetica ideale per l’industria: completamente decarbonizzata e stabile, sicura e relativamente poco costosa nel lungo periodo.

La Spagna sta sfruttando intelligentemente la sua configurazione geografica che le mette a disposizione enormi estensioni pianeggianti poco abitate e quindi ideali per installare fotovoltaico ed eolico, ed una grande estensione costiera grazie alla quale con l’aiuto europeo ha installato, già molti anni fa, diversi rigassificatori per l’importazione di LNG (gas naturale liquefatto); e può contare su tutte le tecnologie energetiche disponibili, perché accanto alle rinnovabili vi troviamo ben 5 centrali nucleari e molte centrali a gas.

Non parliamo dei Paesi del Nord Europa, in particolare Norvegia Svezia, dove la risorsa idroelettrica è sovrana. Ma accanto all’idroelettrico la Svezia, consapevole che le rinnovabili non sono sufficienti per garantire l’approvvigionamento energetico del Paese, ha annunciato un piano per la costruzione di altri 10 reattori nucleari oltre ai 6 già esistenti. La Norvegia, accanto alle immense risorse idroelettriche che soddisfano il 60% del fabbisogno energetico del Paese, è un grande produttore di gas. Nel 2022 ha fornito, con enormi guadagni, circa 90 miliardi di metri cubi di gas all’UE e 36 alla Gran Bretagna. Inoltre il paese è all’avanguardia nelle tecnologie di cattura e stoccaggio delle CO2.

E l’Italia?

L’Italia dal punto di vista delle emissioni di CO2 è in una posizione virtuosa in Europa. Pur essendo un grande paese industriale abbiamo emissioni molto più basse ad esempio della Germania. Ciò si deve soprattutto al fatto che l’industria italiana negli ultimi 20 anni ha fatto importantissime politiche di risparmio energetico; che il settore della produzione d’acciaio, secondo in Europa dopo quello tedesco, è praticamente decarbonizzato perché usa per più dell’80% delle produzioni la tecnologia del forno elettrico; che negli ultimi anni c’è stato un importante sviluppo delle energie rinnovabili.

La configurazione orografica del Paese, con pochi o nessun terreno pianeggiante non dedicato all’agricoltura, la non cospicua presenza di zone ventose, le grandi bellezze naturali e paesaggistiche, il sistema delle regole e burocratico non efficiente: tutto ciò non consente né consentirà all’Italia di crescere più di tanto nelle energie rinnovabili.

I Paesi industriali come il nostro hanno un gran bisogno, accanto alle energie intermittenti come sono le rinnovabili, di energia di base (base load) decarbonizzata. Le uniche due tecnologie capaci di assicurare energia elettrica di base stabile per almeno 6000 ore l’anno sono le centrali turbogas e in prospettiva il nucleare di quarta generazione. Del nucleare di quarta generazione si parlerà come minimo tra quindici anni e non è chiaro che ruolo potrà avere l’Italia sullo sviluppo di questa tecnologia.

Per fortuna anche negli anni del nucleare messo al bando Ansaldo ha mantenuto una capacità di ricerca e di intervento che è stata impiegata fuori dall’Italia e oggi può essere una grandissima risorsa per il Paese.

Ma dobbiamo risolvere il problema dei prossimi 15/20 anni senza essere completamente spiazzati nel costo dell’energia rispetto a quello di cui potranno godere gli altri Paesi europei.

Anche noi abbiamo un grande vantaggio competitivo per posizione geografica e infrastrutturazione: siamo l’unico Paese europeo che ha 5 pipe line di ingresso del gas e 5 rigassificatori, e siamo quindi in posizione ideale per l’importazione di gas.

Il prezzo del gas naturale potrebbe scendere significativamente nei prossimi anni per il combinato disposto di una riduzione della domanda europea e una contemporanea forte crescita di offerta nel bacino del Mediterraneo. L’Algeria ha in programma di passare in cinque anni dai 120 miliardi di metri cubi di produzione annuale attuale a 160 miliardi di metri cubi, i giacimenti tra CiproEgitto ed Israele sono di dimensione gigantesca e non se ne conosce ancora la reale dimensione, la stessa Libia una volta stabilizzata aumenterà la sua produzione annuale di gas.

Insomma si potrà comprare il gas a buon prezzo e ciò aiuterà a produrre energia elettrica a basso costo nelle nostre centrali turbogas. Ovviamente a queste centrali vanno applicate le tecnologie della Carbon Capture Utilisation e Storage (CCUS). Queste tecnologie, che in Italia soprattutto l’Eni conosce e domina, e che consistono nel catturare la CO2 dai processi industriali e utilizzarla ad esempio per produrre metano sintetico o carburanti sintetici decarbonizzati (metanolo) e/o nello stoccarla in giacimenti esausti, come fanno da tempo inglesi e norvegesi, stupidamente sono state osteggiate per molto tempo a livello europeo perché l’ideologia estremista ritiene che il gas, che è enormemente meno inquinante del carbone, non possa essere utilizzato neppure se decarbonizzato.

L’Italia dovrebbe lanciare invece una grande campagna a favore di queste tecnologie e applicarle intensivamente alle centrali elettriche turbogas. Esistono problemi di costi che vanno stimati e gestiti, bisogna promuovere molta ricerca per abbattere questi costi come si è fatto per le rinnovabili, ma questa è l’unica strada intelligente che il nostro Paese ha per gestire la fase di transizione senza chiudere le sue industrie.

Fotovoltaico

L’agrivoltaico di Colfiorito dove si coltivano lenticchie e si producono rinnovabili

Lenticchie, zafferano e fotovoltaico. In Umbria, a Colfiorito, è stato avviato un progetto agrivoltaico, che combina queste particolari colture con l’energia rinnovabile. Accade presso l’azienda agricola La Valletta, dove è entrato in funzione il primo di cinque siti dimostrativi nell’ambito dell’iniziativa italiana ‘agrivoltaico Open Labs’ di Enel Green Power, che mira a creare laboratori a cielo aperto, distribuiti in tutta Italia, per testare, insieme a diversi partner scientifici, enti di ricerca, startup e aziende agricole, l’integrazione tra produzione di energia solare, agricoltura e salvaguardia della biodiversità.

L’impianto agrivoltaico di Colfiorito, con una potenza massima di 44kWp (kilowatt picco), ha una tecnologia sviluppata dalla start-up italiana Sentnet, con moduli fotovoltaici bifacciali che hanno una struttura fissa verticale, quindi a minimo ingombro, disposti in modo da non creare ombreggiamenti alle file di pannelli parallele. Questo tipo di tecnologia promuove un’integrazione massiva delle attività agricole con superficie coltivabile maggiore del 90%.

Tra i pannelli solari non solo si produce energia, ma crescono lenticchie e zafferano, prodotti perfettamente integrati con il business dell’azienda che si occupa di queste colture da anni, e ora lo fa insieme alla produzione di energia rinnovabile. L’impianto rispetta le esigenze delle singole colture, tutte le lavorazioni agricole sono effettuate con macchine standard. Il primo raccolto è arrivato ad agosto per le lenticchie e a ottobre ci sarà quello dello zafferano.

La tecnologia installata ha anche diversi vantaggi: rende semplice manutenzione e pulizia (per la posizione verticale), ma soprattutto beneficia della presenza di una rete di sensori per monitorare la produzione di energia, il microclima tra i filari dell’impianto, le condizioni del suolo ed il consumo di acqua, attraverso il ciclo fenologico delle colture selezionate, agevolando anche il dosaggio di fertilizzanti ed ottimizzando le fasi di lavorazione agricola, con un conseguente vantaggio diretto sulla produzione.

A Colfiorito la parola chiave è acqua. Sì, perché in questo impianto pilota, fondamentale è il risparmio idrico. L’acqua è un bene sempre più rischio a causa del suo uso eccessivo, dell’inquinamento e del riscaldamento climatico, ed è quindi necessario preservarla. Con l’agrivoltaico i pannelli solari creano un ombreggiamento del suolo, proteggendo le colture dai picchi di calore, ed evitando l’evaporazione dell’acqua: il risultato è un risparmio idrico che arriva fino al 20%. A Colfiorito il sistema, brevettato dalla startup Sentnet, utilizza dei convogliatori in acciaio, installati proprio sotto i pannelli, che raccolgono l’acqua, attraverso delle canalette, in vasche di raccolta dedicate. Acqua, che a sua volta, può essere usata per l’irrigazione delle colture.

Questa struttura di raccolta collegata all’impianto migliora anche le prestazioni del fotovoltaico, grazie alla rifrazione della radiazione solare sulla loro superficie, che si traduce in un aumento di produzione dell’impianto.

Manovra, per il governo tanti nodi da sciogliere ma poche risorse

Capire fin dove è possibile spingersi nella prossima legge di Bilancio. E’ questo l’obiettivo principale del vertice maggioranza-governo, nel quale sia la premier, Giorgia Meloni, che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ribadiranno che lo spazio di manovra è ristretto, che non tutto ciò che è stato promesso in campagna elettorale potrà essere realizzato (almeno con questa manovra) e le “poche risorse” vanno investite in progetti che possano portare un ritorno fruttuoso. Il tutto, però, partendo dal presupposto che prima vengono le emergenze, come i rincari dovuti all’inflazione, o il campanello d’allarme sugli aumenti delle bollette. L’ipotesi allo studio da mesi è di conservare una parte di aiuti per le famiglie meno abbienti e le imprese in crisi di liquidità, ma la formula è ancora allo studio del Mef.

C’è poi il nodo dei crediti incagliati ereditati dalla fine della misura sul Superbonus 110% da sciogliere. I dati suggeriscono di intervenire, prima di poter archiviare la fase di incentivi per la riqualificazione energetica degli edifici. Magari lasciando il disco verde solo ai condomini che hanno portato a termine il 60% dei lavori e coinvolgendo le partecipate, ma anche in questo caso la soluzione arriverà nelle prossime settimane. Un’indicazione dovrà comunque essere data entro il 27 settembre, quando alla Camere sarà presentata la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza. Meloni, già dal primo Consiglio dei ministri post ferragostano, aveva chiesto ai ministri di “far arrivare al Mef le proposte” sui disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica “quanto più dettagliate possibili, in modo da avere un quadro completo“.

Altro tema che sarà quasi sicuramente sul tavolo, almeno per volontà di Forza Italia, è quello degli extraprofitti delle banche. Il partito fondato da Silvio Berlusconi sin dalle prime battute dopo l’approvazione del decreto, agli inizi di agosto, si era espresso in maniera molto negativa, avvertendo che così com’è studiato potrebbe creare problemi alla crescita. In manovra, ancora, si dovranno trovare margini per gli interventi sulle infrastrutture strategiche. E non sarà facile, visti i dati sull’andamento del Prodotto interno lordo, che nel secondo trimestre frena più del previsto.

La legge di Bilancio 2024 “avrà sicuramente un’attenzione particolare per le imprese perché vi sia competitività, per le famiglie e per i lavoratori grazie al taglio del cuneo fiscale“, anticipa il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti. Indicando chiaramente quali sono le cause, secondo la maggioranza, dei problemi con cui si trova oggi il governo a fare i conti: “Il buco di bilancio causato da alcuni bonus edilizi, come Superbonus e bonus facciate, lasciano traccia sul bilancio dello Stato“. Ma in questa partita conta anche il negoziato europeo sulla governance. Se non sarà scongiurato il ritorno alle regole pre-Covid del Patto di stabilità e crescita (soprattutto il rapporto deficit/Pil al 3%), le cose potrebbero complicarsi molto per l’Italia. Che si trova alle prese con i danni di siccità e alluvioni e una transizione ecologica da portare avanti: se almeno gli investimenti per il Green Deal fossero stralciati, per Roma sarebbe una grande vittoria. Non è impossibile ma c’è molto da lavorare. Ragion per cui nessuno se la sente di azzardare con la manovra. E Meloni, questo, lo ribadirà ancora una volta al vertice. Chiaro e forte.

In Vietnam la crisi energetica è costata 1,4 miliardi di dollari

Le interruzioni di corrente in Vietnam dovute ad un’ondata di caldo e siccità senza precedenti nei mesi di maggio e giugno sono costate all’economia 1,4 miliardi di dollari, secondo la Banca Mondiale. Il nord del Paese, in particolare, ha subito numerose interruzioni di corrente, che hanno colpito seriamente l’attività economica in una regione in cui hanno sede molti colossi manifatturieri. Il Paese comunista del Sud-Est asiatico è un anello chiave nella catena di approvvigionamento di alcune delle più grandi aziende del mondo, e molte di esse, tra cui Samsung e Foxconn, fornitore di Apple, hanno fabbriche nel nord del Paese, non lontano dalla capitale Hanoi.

Alcune aziende sono state avvisate dei blackout all’ultimo minuto, o non sono state avvisate affatto, riportando perdite fino al 10%, ha stimato l’istituzione internazionale nei suoi aggiornamenti economici di agosto. “La stima preliminare dei costi economici dei blackout di maggio-giugno è di circa 1,4 miliardi di dollari (o 0,3% del PIL)“, ha dichiarato la Banca Mondiale in un rapporto.

Il Vietnam ha affrontato una serie di ondate di calore all’inizio di maggio, con temperature record, mentre i fiumi e i serbatoi delle centrali idroelettriche si sono prosciugati. Il Paese dipende dall’energia idroelettrica per quasi la metà del suo fabbisogno energetico. Il fabbisogno di energia elettrica aumenta in media di oltre l’8% all’anno, ma il Governo punta a ridurre il consumo di energia del 2% all’anno fino al 2025, il che suggerisce che ci aspettano altre crisi. Ha anche assunto l’ambizioso impegno di chiudere le centrali elettriche a carbone entro il 2050, come parte della lotta contro il cambiamento climatico.

È necessaria un’azione rapida per mitigare i rischi futuri per la sicurezza energetica e le perdite economiche”, ha sottolineato la banca nel suo rapporto. Secondo gli scienziati, gli eventi meteorologici estremi si sono intensificati a causa del riscaldamento globale. Quest’anno, la situazione è migliorata all’inizio di luglio a seguito di forti precipitazioni.

Arriva il reddito energetico: 200 milioni per impianti fotovoltaici destinati a famiglie in difficoltà

Sostenere le fasce in maggiore difficoltà economica e allo stesso tempo ottenere un beneficio ambientale. E’ quanto intende fare il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica con un decreto, firmato da Pichetto, che prevede un fondo da duecento milioni di euro rivolto alle famiglie in condizione di disagio economico, destinato alla realizzazione di impianti fotovoltaici in assetto di autoconsumo. L’obiettivo è consentire l’accesso agevolato all’energia rinnovabile per persone che appartengono a nuclei familiari con Isee inferiore ai quindicimila euro o a trentamila, avendo almeno quattro figli a carico.

Il Fondo Reddito Energetico, alla cui operatività lavora il Gestore Servizi Energetici (GSE), è di natura rotativa e mette a disposizione per le annualità 2024-2025 complessivi duecento milioni di euro, per gran parte nel Mezzogiorno: sono infatti destinatarie dell’80% delle risorse le Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il Fondo può essere incrementato con un versamento volontario da parte di amministrazioni centrali, Regioni, Province, ma anche organizzazioni pubbliche e realtà no-profit.

Gli impianti fotovoltaici al servizio di unità residenziali nella disponibilità di nuclei familiari in condizione di disagio economico devono essere di potenza nominale non inferiore ai due kilowatt e non superiore ai sei, o comunque non andare oltre la potenza nominale in prelievo sul punto di connessione. Gli impianti, per i quali il decreto destina un contributo in conto capitale, devono essere realizzati su coperture e superfici, aree e pertinenze di cui il soggetto beneficiario sia titolare di un valido diritto reale.

Con questo provvedimento – spiega il ministro Pichettoperseguiamo un doppio fine: quello sociale di sostegno alle fasce più indigenti e, allo stesso tempo, quello ambientale, perché promuoviamo l’utilizzo di energia rinnovabile. E’ una nuova risposta del governo – conclude il ministro – per concretizzare una reale ed equa sicurezza energetica”.

Nuovo parco eolico Boujdour: così il Marocco accelera la transizione

L’Office national de l’électricité et de l’eau potable (ONEE) ha annunciato l’entrata in funzione commerciale del parco eolico di Boujdour da 300 MW e il passaggio della rete meridionale a 400 kV. Il Marocco ha compiuto un altro passo importante nel suo impegno ad accelerare la transizione energetica mettendo in funzione tutte le turbine eoliche del parco eolico di Boujdour, l’ottavo progetto eolico completato nelle province meridionali del Marocco e il 14° a livello nazionale, contemporaneamente alla messa in funzione della più grande sottostazione di trasformazione Boujdour II “400/225 kV”, ha dichiarato l’ONEE in un comunicato stampa.

Questi risultati dimostrano la determinazione dell’ONEE e dei suoi partner a continuare a lavorare in stretta collaborazione per promuovere il modello marocchino di transizione energetica sostenibile e confermare ulteriormente la posizione internazionale del Marocco come uno dei Paesi modello leader nella lotta al cambiamento climatico, ha sottolineato la stessa fonte.

Il rafforzamento della rete meridionale attraverso la messa in funzione dell’intera sottostazione Boujdour II “400/225 kV”, in particolare attraverso il passaggio a 400 kV di tutti i nuovi impianti costruiti in loco (linee a 225 e 400 kV, autotrasformatori, ecc.) rappresenta un nuovo punto di svolta nel significativo miglioramento dell’infrastruttura elettrica del Marocco e delle sue province meridionali.

“Grazie a questo potenziamento, la capacità di trasmissione di energia elettrica della rete nel sud del Marocco sarà aumentata, consentendo così un servizio di trasmissione e distribuzione di energia elettrica migliore, più efficiente e affidabile sulle lunghe distanze”, continua l’ONEE, sottolineando che questo nuovo miglioramento svolgerà un ruolo cruciale nella creazione di una rete elettrica resiliente, garantendo una fornitura stabile e di alta qualità per i residenti e gli industriali della regione meridionale.

La messa in funzione del parco eolico di Boujdour da 300 MW segna anche un passo importante verso il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi che il Marocco si è posto per il 2023 in termini di quota di energie rinnovabili nel mix elettrico.

Sviluppato nell’ambito della produzione privata di energia elettrica, a seguito dell’aggiudicazione dell’importante gara d’appalto internazionale per il programma eolico integrato da 850 MW, e con un investimento totale di circa 3,9 miliardi di dirham (MMDH) e una produzione annua di oltre 1. L’energia elettrica prodotta sarà fornita dalla rete elettrica marocchina. L’elettricità prodotta sarà fornita dalla società di progetto Boujdour Wind Fram e sarà interamente fatturata all’ONEE in base al contratto PPA in vigore, a una delle tariffe più basse al mondo. Questo nuovo parco eolico si posiziona come un importante impianto di produzione di energia pulita, in grado di soddisfare il fabbisogno energetico di migliaia di famiglie marocchine e di ridurre significativamente le emissioni di gas serra (circa 1.145.000 tCO2/anno). Questi risultati confermano la posizione del Marocco come leader regionale nella promozione dell’energia pulita e sostenibile.

Commentando questi risultati, il direttore generale dell’ONEE, Abderrahim El Hafidi, citato nel comunicato stampa, ha dichiarato che “la messa in funzione del parco eolico di Boujdour e il passaggio a 400 kV per la rete meridionale sono pietre miliari del nostro costante impegno per un futuro energetico più sostenibile, Questi progetti riflettono la nostra determinazione a contribuire a ridurre l’impronta di carbonio del nostro Paese e a costruire un futuro sostenibile per il Marocco”, ha detto.

Il Marocco continua a svolgere un ruolo pionieristico nel Nord Africa in termini di sviluppo sostenibile e di energie rinnovabili. Questi risultati segnano l’inizio di una nuova era per il settore energetico marocchino, contribuendo alla prosperità economica e preservando l’ambiente.

Pnrr, Mase: Da Corte dei Conti via libera agrivoltaico e smart grid

Via libera della Corte dei Conti a due linee strategiche del Pnrr gestite dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica: l’agrivoltaico e lo sviluppo delle smart-grids. La magistratura contabile “ha riconosciuto pienamente la correttezza e la puntualità” dell’operato del Mase sui due diversi investimenti, rivendica il ministero. Gli investimenti mirano in un caso a migliorare la resilienza delle reti elettriche e, nell’altro, a incrementare la sostenibilità, la transizione green e l’efficienza energetica del comparto agricolo italiano.
Un “segnale importante per il ministro Gilberto Pichetto, che ricorda anche l’“ottimo risultato” raggiunto con l’Europa nel negoziato sulla terza e quarta rata del Piano. Ieri la cabina di regia convocata dal ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, ha trovato l’accordo con la Commissione per sbloccare la terza rata, spostando l’obiettivo sui posti letto per studenti universitari alla quarta rata senza modificare l’importo dei 35 miliardi delle due rate, che l’Italia potrà riscuotere per intero.
Il nostro dovere è spendere le risorse per raggiungere gli obiettivi“, si giustifica Pichetto. “Lo stiamo facendo con grande impegno, rispettando la tabella di marcia su tutti gli interventi di competenza del Ministero”.

L’indagine della Corte conferma di non riscontrare ritardi o criticità nel percorso di pieno raggiungimento dei traguardi per gli interventi del dicastero di Via Cristoforo Colombo per migliorare la resilienza delle reti elettriche di distribuzione a eventi metereologici estremi e per le manifestazioni di interesse sull’aumento della resilienza nella rete di trasmissione di energia in alta e altissima tensione per l’intero territorio nazionale.

Analogo giudizio positivo per confermare la corretta procedura del Mase sulla realizzazione di nuovi impianti agrivoltaici anche di natura sperimentale. L’investimento, gestito in stretta collaborazione con Gse e Crea, mira ad incentivare l’ammodernamento tecnologico e la riconversione del processo produttivo in chiave di sostenibilità ambientale, sia delle realtà economiche agricole che zootecniche.

Firmato Memorandum Ue-Tunisia: fra i cinque pilastri la transizione energetica green

A Tunisi l’Unione Europea e la Tunisia, concordando di attuare il pacchetto di partenariato globale annunciato congiuntamente l’11 giugno 2023, hanno firmato il memorandum d’intesa che copre cinque pilastri: stabilità macroeconomica, commercio e investimenti, transizione energetica verde, contatti interpersonali e migrazione. Sarà attuato attraverso i vari filoni di cooperazione tra l’Unione europea e la Tunisia, seguendo i regolamenti e le procedure applicabili. Presenti alla firma la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni e il presidente del Consiglio olandese Mark Rutte, insieme al Presidente della Tunisia Kaïs Saied. Per quanto riguarda l’energia, il partenariato energetico aiuterà la Tunisia nella transizione verso l’energia verde, riducendo i costi e creando il quadro per il commercio delle energie rinnovabili e l’integrazione con il mercato dell’Ue.

La Tunisia e l’Unione Europea sono consapevoli del potenziale della Tunisia nel campo delle energie rinnovabili e, nell’interesse comune di garantire una maggiore sicurezza della produzione e dell’approvvigionamento energetico tra le due parti, stanno lavorando per concludere un partenariato strategico nel settore dell’energia, rafforzando così la crescita verde e la creazione di posti di lavoro“, si legge nel capitolo sulla transizione energetica verde. L’impegno delle due parti si basa sull’attuazione degli impegni assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi, in particolare sul contributo e la strategia nazionale di Tunisi “per uno sviluppo a zero emissioni di carbonio e resiliente al clima entro il 2050, nei settori della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici“. Tra gli obiettivi c’è il rafforzamento della “produzione di idrogeno rinnovabile e dei suoi derivati“, della cooperazione “sulle catene di approvvigionamento per le tecnologie energetiche pulite e la produzione di energia in modo reciprocamente vantaggioso“. Questi obiettivi “richiedono la mobilitazione su larga scala di strumenti finanziari mirati, comprese le garanzie, accompagnati da riforme adeguate che portino a un quadro normativo favorevole, trasparente, stabile e prevedibile, per attrarre gli investimenti e lo sviluppo commerciale nel settore delle energie rinnovabili in Tunisia“, in vista della firma dell’accordo sulla sovvenzione concessa nell’ambito dello Strumento europeo di interconnessione da 307 milioni di euro e dell’introduzione del meccanismo di aggiustamento delle frontiere per il carbonio (Cbam). Le parti hanno concordato che l’attuazione del partenariato “dovrebbe basarsi su una tabella di marcia elaborata congiuntamente“, per aiutare la Tunisia a produrre energia rinnovabile, “migliorando le prestazioni dei servizi pubblici e delle imprese pubbliche attive nel settore energetico, semplificando le procedure amministrative, mettendo in atto gli strumenti e i regolamenti necessari per integrare la Tunisia nel commercio internazionale di energia rinnovabile e più in generale, riformando il quadro normativo del settore energetico“.

Nel pilastro sull’economia e commercio sono incluse anche agricoltura, economia circolare e transizione digitale. “Le parti si adoperano per rafforzare il loro partenariato nel campo della gestione sostenibile dell’acqua al fine di garantire l’accesso ad acqua potabile di qualità, di adoperarsi per un’irrigazione agricola sostenibile, anche attraverso l’uso di acqua non convenzionale (acqua piovana, acqua salmastra e acque reflue trattate) e di sviluppare infrastrutture strategiche per la gestione e il trasferimento dell’acqua“, si legge nel test. La cooperazione si basa sull’agricoltura sostenibile, la resilienza dei sistemi alimentari e sicurezza alimentare, “anche a vantaggio del rafforzamento dei sistemi cerealicoli e di alcuni prodotti agricoli, in particolare nell’ambito di negoziati da concordare“. Sul piano dell’economia circolare, Ue e Tunisia “si adoperano per rafforzare la loro cooperazione nella transizione verso un’economia circolare a basse emissioni di carbonio basata sull’uso efficiente delle risorse“, che comprenderà “la gestione sostenibile dei rifiuti, anche attraverso partenariati pubblico-privato“. Infine sulla transizione digitale le due parti hanno concordato di rafforzare “le capacità, la cooperazione tecnologica, il finanziamento e i progetti comuni“. Tra i progetti di cooperazione c’è quello del cavo digitale sottomarino ‘Medusa’ per la connessione ad alta velocità, ma anche la possibilità di rendere la Tunisia un “hub per la fornitura di connettività Internet ad altre parti del continente africano“. Sarà analizzata la possibilità che il Paese partecipi al Programma Europa Digitale e, “più in generale, a qualsiasi iniziativa europea nel campo dell’innovazione e della digitalizzazione“.

Bankitalia: 2023 a due fasi, prima la crescita poi lo stop. Restano rischi sul prezzo del gas

Il Pil italiano è cresciuto nella prima parte dell’anno, ma ora questo trend si è “sostanzialmente arrestato”. Anche i dati della Banca d’Italia confermano che il nostro Paese è in una fase molto particolare per l’economia, con un 2023 a due fasi. I dati raccolti nel terzo Bollettino economico di via Nazionale mostrano che nei primi tre mesi dell’anno “il Pil italiano è tornato a crescere dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, i consumi delle famiglie sono saliti, sospinti dal parziale recupero del reddito disponibile reale e da condizioni più favorevoli del mercato del lavoro, e gli investimenti totali, che hanno raggiunto livelli di oltre il 20% superiori a quelli del 2019, hanno continuato ad aumentare“. Ma allo stesso modo, da aprile a giugno c’è stata una evidenza frenata.

L’attività è stata sostenuta dai servizi (soprattutto quelli turistico-ricreativi)“, spiega lo studio, ma “la produzione manifatturiera è diminuita, frenata in particolare dall’indebolimento del ciclo industriale globale“. Dunque, “in attesa che lo stimolo derivante dal Pnrr si dispieghi pienamente“, l’attività sembra ridotta “anche nel settore delle costruzioni, risentendo della graduale attenuazione degli effetti degli incentivi fiscali legati al Superbonus 110%“. Almeno in questo quadro un aspetto positivo c’è, perché secondo le valutazioni di Bankitalia, anche se “su un insieme ancora limitato di dati“, l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna lo scorso mese di maggio “pur avendo conseguenze rilevanti sull’economia locale, non ha avuto un impatto significativo sulla crescita del prodotto dell’Italia nel complesso del secondo trimestre“.

Altro capitolo delicato è quello relativo all’energia e riguarda tutta Europa, dunque Italia compresa. Ad oggi lo scenario è quello di un costante trend di calo dei prezzi di gas naturale al Ttf, la borsa di riferimento. Nella prima settimana di luglio è arrivato a toccare una quota poco inferiore ai 35 euro per megawattora, una cifra decisamente migliore dei circa 50 euro/Mwh di fine marzo. Merito del livello di stoccaggi molto ampio, combinato all’andamento moderato dei consumi industriali e l’abbondante offerta di Gnl a livello globale. Ma guai ad abbassare la guardia, avverte la Banca d’Italia, perché “i rischi che gravano sul prezzo del gas per la prossima stagione invernale rimangono non trascurabili”. Restando in tema, sono molto positive le cifre disavanzo energetico, che nei primi tre mesi del 2023 “si è dimezzato“, arrivando al 3,6% del Pil, “grazie alla forte riduzione del valore delle importazioni (da 8,6 a 4,6 miliardi di euro)”.

Nel primo trimestre 2023, poi, la progressiva riduzione dei prezzi dell’energia e dei beni importati ha determinando un “calo dei costi variabili per unità di prodotto dell’1,6%” rispetto al trimestre precedente, mette in luce il Bollettino. Il margine operativo lordo rapportato al valore della produzione è quindi cresciuto di circa 1,8 punti percentuali, “recuperando pienamente i livelli del 2021“. Questo aumento dei margini di profitto ha riguardato tutti i settori della manifattura, inclusi quelli della metallurgia, della chimica e della produzione di carta e legno, nei quali nonostante la contrazione dei prezzi si è osservata una diminuzione dei costi più intensa. Ma “nel complesso del manifatturiero i margini di profitto sono tornati ai livelli pre-pandemici“, sebbene “gli andamenti sono stati tuttavia eterogenei tra comparti“.

La diminuzione dei prezzi dell’energia ha contribuito notevolmente anche al calo dell’inflazione. Stando al Bollettino di Bankitalia, dalla seconda metà del 2022 negli Usa, sulla base dell’indice dei prezzi al consumo, è scesa di circa 6 punti percentuali (dal 9,1% di giugno 2022 al 3 in giugno di quest’anno)”. Ma l’andamento è simile anche nell’area dell’euro, che passa “dal 10,6% di ottobre 2022 al 5,5 del mese scorso, appaiando la dinamica degli degli Stati Uniti, seppure “con alcuni mesi di ritardo”. Nella media del secondo trimestre è proseguita anche la discesa dell’inflazione armonizzata al consumo, che a giugno raggiunge 6,7%. Sui prezzi dei beni alimentari c’è un lieve allentamento, ma in sostanza “continuano a risentire degli effetti ritardati dello shock energetico sui costi di produzione lungo l’intera filiera“. Inoltre, avverte Bankitalia, “pressioni al rialzo potrebbero derivare dagli ingenti danni alla produzione agricola causati dall’alluvione in Emilia-Romagna”.

Guardando al prossimo futuro, però, secondo le proiezioni della Banca d’Italia per l’economia italiana, nello scenario di base il Pil aumenterebbe dell’1,3% quest’anno, dello 0,9 nel 2024 e dell’1 percento nel 2025. Inoltre, l’inflazione sarebbe al 6% nel 2023 per poi scendere al 2,3 nel 2024 e al 2 nel 2025. “Il quadro macroeconomico continua a essere caratterizzato da forte incertezza, con rischi orientati al ribasso per la crescita e bilanciati sull’inflazione”, sottolinea via Nazionale. Specificando che in questo quadro “si ipotizza che le tensioni connesse con il conflitto in Ucraina non comportino ulteriori difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime energetiche“.