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Mattarella sprona l’Ue: Coesi contro speculazioni su energia. Draghi a Praga: Lavorare insieme

L’Unione Europea deve essere coesa per far fronte all’emergenza energetica. E’ il leitmotiv della giornata che arriva da Draghi e Mattarella, geograficamente ben distanti ma uniti nella stessa convinzione. Il presidente della Repubblica, a Malta per il 17esimo vertice informale dei Capi di Stato del Gruppo Arraiolos, punta l’accendo sul valore della solidarietà. L’unico in grado di “dare risposte sostenibili socialmente e economicamente”. Soprattutto perché, “di fronte a chi fa dell’energia uno strumento di pressione e speculazione internazionale, l’Unione è chiamata a rispondere con un senso di coesione e unità accresciuto, con un senso di comunità molto forte”. Durante il vertice il capo dello Stato coglie l’occasione per un bilaterale con il presidente tedesco Frank Steinmeier. Impossibile non parlare dei rincari dei prezzi dell’energia. Mattarella si augura, alla vigilia del Consiglio europeo straordinario di venerdì, che si possano superare le divergenze sul tema, nonostante le preoccupazioni che serpeggiano in Europa per il piano straordinario da 200 miliardi della Germania. E ha anche l’assoluta certezza che “dobbiamo attenuare le conseguenze degli aumenti del costo dell’energia sulla vita di famiglie e imprese“.

Da parte sua, a Praga per la tavola rotonda ‘Energia, clima, economia’ della prima riunione della Comunità politica europea, il presidente del Consiglio uscente è ancora più esplicito: “Dobbiamo lavorare insieme per affrontare la crisi energetica. Possiamo anche farlo in ordine sparso, ma perderemmo l’unità europea“. Seduti al tavolo, insieme all’Italia, i leader di Germania, Portogallo, Irlanda, Belgio, Bulgaria, Liechtenstein, Norvegia , Ucraina e Serbia. Che si sono soffermati in particolare sulla risposta europea all’aumento dei prezzi, evidenziando come l’aggressione russa all’Ucraina abbia colpito il mercato del gas, generando incertezza sulle forniture in molti Paesi Ue. Inoltre, gli alti prezzi del gas stanno incidendo sul costo dell’energia per famiglie e imprese, e rappresentano un ostacolo alla competitività globale, è il ragionamento. Anche in questo caso, il tentativo è quello di trovare delle soluzioni comuni, con l’obiettivo di ripristinare una “corretta dinamica di mercato e dei prezzi“, tenendo sotto controllo anche l’inflazione.

(photo credits: Quirinale)

Il caro energia minaccia la stagione dello sci. Ghezzi: “Se chiudiamo la montagna muore”

Stagione sciistica a rischio tra aumenti, per via degli alti costi dell’energia, e chiusure settimanali. Gli operatori del settore sono in allarme a fronte di bollette che sembrano triplicare rispetto al 2021 in una stagione 2022-2023 che sarebbe dovuta essere essere quella della rinascita e del boom dopo i due inverni difficili caratterizzati dalla pandemia da Covid. “Se chiudiamo noi muore tutta la montagna e non vogliamo prenderci questa responsabilità, si tratta di posti di lavoro. Ma qualcuno dovrà pagare le nostre bollette perché non ce la si fa”, ammette a GEA Valeria Ghezzi, presidente dell’Associazione nazionale esercenti funiviari (Anef). I dati parlano di costi di bollette triplicate, in base poi ai diversi contratti siglati negli anni con le aziende di energia: chi a stagione pagava 1 milione di euro ora ne pagherà 3, chi ne pagava 400mila ora sfiora 1-1,2 milioni. A poche settimane dall’avvio della stagione invernale, già si annunciano aumenti delle tariffe delle strutture ricettive e della ristorazione, con un incremento fino al 10% del costo dello skipass e costi per l’innevamento programmato con i cannoni. Ma c’è anche chi valuta se, con un ulteriore aumento dei costi dell’energia, non sia opportuno alzare bandiera bianca, e saltare la stagione. “È una provocazione, ovviamente, ma se nella sola stagione estiva a fronte di 500mila euro di guadagni 300mila euro sono spesi in bollette, è ovvio che i conti esplodono”, spiega Nicola Bosticco, amministratore delegato della Colomion, società che gestisce i 20 impianti di risalita a Bardonecchia, rinomata località sciistica nel Torinese. Quello che manca, secondo Bosticco, è un ragionamento di settore che preveda, ad esempio, dei prezzi calmierati sull’energia per 5 mesi. “La nostra stagione dura 5 mesi, è vero, ma in quei 5 mesi facciamo il 70 percento delle nostre bollette”, precisa Ghezzi. Per questo, come Anef, si è chiesto che gli impianti di risalita vengano inseriti nel pacchetto di misure per le aziende energivore. “Siamo in un momento di impasse, senza interlocutori al governo – aggiunge – ma continueremo a chiedere. Perché se chiudiamo noi si ferma tutto: dal maestro di sci al servizio noleggi, dalle baite fino agli alberghi e ristorante. E la montagna muore“.

Per ora, l’imperativo, come in tutta Italia, è cercare di contenere i costi. A Bardonecchia si cercherà di ridurre la velocità o, alla peggio, di chiudere gli impianti in settimana favorendo il week end e i giorni festivi tra dicembre e gennaio. Senza considerare un quasi certo ritocco verso l’alto dei prezzi degli skipass previsto per novembre, quindi prima della stagione vera e propria: è la soluzione a cui sta guardando Giovanni Brasso, presidente della Sestriere spa. Per il comprensorio delle valli olimpiche, dunque, si prevede un aumento del giornaliero di almeno il 7 percento, portando il costo da 41 euro a 42-44 euro. “Con un ritocco dei prezzi, con una doverosa operazione di risparmio energetico sugli impianti, e sacrificando gli utili dovremmo resistere, se la situazione non peggiora”, cerca di essere ottimista Brasso, anche se, è evidente, “c’è molta preoccupazione”. Di certo, a fronte di una maggiorazione dei prezzi, “toccheremo i nostri utili, perché siamo imprenditori, e siamo chiamati anche reggere nei momenti più bui”. E poi, se le famiglie sono chiamate a risparmiare è giusto che lo si debba fare tutti. “Questo – continua Brasso – non vuol dire sacrificare la stagione ma fare uno sforzo, ad esempio, nelle giornate di tempo brutto rallentando gli impianti o fermando 2 o 3 nei giorni feriali”.

Sull’altro versante delle Alpi, ad esempio, per sciare sulle piste del Dolomiti Superski tra Natale ed il 7 gennaio, il giornaliero per un adulto costerà 74 euro (lo scorso anno era 67 euro). A Pila in Val d’Aosta hanno optato per la tariffa unica dall’apertura alla chiusura con il costo del giornaliero a 50 euro. A Cervinia nel periodo di Natale un giornaliero internazionale (collegamento con Zermatt) costerà 81,50 euro.

Via libera al dl Aiuti ter: 14 miliardi per famiglie e imprese contro il caro energia

Altri 14 miliardi per combattere il caro energia. Con il decreto Aiuti ter approvato venerdì 16 settembre in Consiglio dei ministri sale a 60 miliardi il conto complessivo delle risorse messe in campo dal governo Draghi per far fronte alla nuova, stringente emergenza che sta mettendo in difficoltà famiglie e imprese italiane. Confermato il bonus una tantum ai lavoratori, che riceveranno 150 euro a fronte di uno stipendio di 1.538 euro nella busta paga di novembre, anche autonomi oltre ai nuclei beneficiari del reddito di cittadinanza: nel complesso una platea di 22 milioni di cittadini. Rinnovata fino al quarto trimestre dell’anno anche la misura del credito di imposta: fino al 30 settembre al 25% per le imprese energivore, al 15% per le altre con consumo maggiore di 16,5 megawatt, mentre per ottobre e novembre la soglia sale al 25% per le aziende energivore e gasivore e al 40% per tutte quelle che consumano gas. “L’insieme degli interventi supera ampiamente un eventuale scostamento di bilancio di 30 miliardi“, dice Mario Draghi al termine del Cdm. Togliendosi anche qualche sassolino dalle scarpe: “A meno che non si pensi di farne uno ogni mese, le risposte all’emergenza sono state date“.

Il nuovo dl Aiuti, inoltre, stanzia circa 190 milioni di euro per il sostegno alle aziende agricole, con interventi per la riduzione dei costi del gasolio agricolo, dei trasporti e dell’alimentazione delle serre; rimpingua con altri 100 milioni il fondo per il Trasporto pubblico locale; elargisce contributi alle scuole paritarie per fronteggiare il costo dei rincari di energia; mette a disposizione 50 milioni in favore dello sport e 40 milioni per cinema, teatri e luoghi della cultura. Accolta anche la norma che prevede fondi da destinare al Terzo settore per le bollette. Nel testo ci sono, poi, 400 milioni per il Servizio sanitario nazionale, suddiviso tra Regioni e Province autonome per far fronte ai rincari nel settore ospedaliero, comprese le Rsa e le strutture private. Non restano fuori nemmeno gli enti locali, ai quali vanno 200 milioni di euro: 160 ai Comuni e 40 a Città metropolitane e Province. Il taglio delle accise sui carburanti viene, invece, prorogato fino alla fine del mese di ottobre, così come nel provvedimento è inserita la garanzia statale sui prestiti alle imprese in crisi di liquidità per il caro bollette, con accordi da sviluppare con le banche per offrire i prestiti al tasso più basso, in linea con il Btp.

Un altro passaggio importante è quello che riguarda il rigassificatore di Piombino. Tema su cui lo stesso Draghi si sofferma con toni decisi: “Il provvedimento prevede tempi rapidi e certi di installazione“, perché l’impianto galleggiante “è essenziale, è una questione di sicurezza nazionale“. Concetto ribadito anche dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, accanto al premier in conferenza stampa, assieme al ministro dell’Economia, Daniele Franco, e al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli. “Sono proprio i territori a rendersi conto di quanto è cruciale la loro scelta, e a conti fatti non credo che si prendano la responsabilità di mettere a rischio la sicurezza energetica nazionale – sottolinea il responsabile del Mite -. Troveremo sicuramente un punto di arrivo, perché la posta in gioco è molto seria“. Ma non fa drammi se i tempi di installazione e avviamento dovessero dilatarsi di qualche settimana: “L’ipotesi è che fosse operativo a inizio del 2023, si sono persi un paio di mesi per i fatti che tutti conoscono, che poi si sono ripercossi sul piano che aveva fatto Snam per mettere la macchina. Non credo, però, che sia un problema preoccupante se avverrà a gennaio o ad aprile“.

Cingolani, chiamato in causa anche sul livello degli stoccaggi di gas, fornisce un particolare in più. Anzi, una novità: “Sulle quantità il lavoro governo ha messo in sicurezza l’Italia: siamo all’86,6%, l’obiettivo è arrivare al 90 entro fine ottobre“. Ma “ho firmato una lettera che dà incarico a Snam di andare un po’ oltre: se arrivassimo al 92-93% sarebbe meglio“. Restando in tema, in Cdm arriva il via libera a proseguire nella realizzazione di sei impianti eolici: 4 in Puglia, 1 in Sardegna e 1 in Basilicata. In questo modo viene superata la soglia dei 2.185 megawatt autorizzati dal governo, mentre nel complesso sono 45 gli impianti a cui è stato concesso il disco verde e altri 14 lo avranno successivamente. “Contiamo di autorizzarli nelle settimane che restano“, spiega Draghi. Per il capo del governo la “diversificazione energetica dal gas russo e verso le rinnovabili è essenziale per sopravvivere, purtroppo – aggiunge, facendo riferimento alle alluvioni nelle Marchelo vediamo concretamente con quanto è accaduto negli ultimi due giorni”. Dunque, “la lotta ai cambiamenti climatici è fondamentale“.

Con il decreto Aiuti ter dovrebbe esaurirsi anche la spinta propulsiva del governo uscente. Il 25 settembre si riapriranno le urne e a ottobre dovrebbe esserci il nuovo esecutivo. Che non sarà guidato da Draghi, o almeno così assicura il diretto interessato, al pari dei suoi ministri, Franco e Cingolani. Ma un consiglio a chi verrà dopo di lui lo lascia, implicitamente: “E’ importante che ci siano crescita ed equilibrio, occorre che il Pnrr, e gli investimenti associati al Piano, continuino; che le riforme, sia quelle che fanno parte del Pnrr sia quelle che non ne fanno parte, continuino. Quello è l’ambiente favorevole alla crescita. I governi possono al massimo creare e mantenere un ambiente favorevole alla crescita“. Un promemoria prezioso, per chiunque verrà.

Carollo (esperto petrolio e gas): “Abbandonare Ttf subito o l’economia rischia grosso”

Salvatore Carollo è stato un dirigente Eni e ora è analista e trader specializzato in petrolio e gas. È una sorta di autorità in materia. Recentemente sulla Rivista Energia ha lanciato una proposta per uscire dal dramma dei prezzi del Ttf, la Borsa olandese che ha visto schizzare fino a 350 euro/Mwh: abbandonare la piazza dei Paesi Bassi e legare il parametro delle nostre bollette all’Henry Hub, piattaforma americana, dove le quotazioni sono 7-8 volte inferiori a quelle europee.

Dottor Carollo, perché il Ttf non va bene e perché sforna prezzi così imprevedibili?

“La natura del Ttf non è tale da essere punto di riferimento del mercato europeo del gas. Io la chiamo fiera di Paese e molti mi hanno bacchettato, dicendo che esce da un meccanismo degno di una borsa. Bene, non la chiamerò più allora fiera di paese, ma miniatura di un Borsa… La Borsa petrolifera di Londra o di New York, ogni giorno vede transazioni per 2-3mila miliardi di dollari. C’è una liquidità straordinaria, che consente a tutti di operare, mentre ad Amsterdam la liquidità è di 1 miliardo. In Europa però il mercato del gas è più grande di quello petrolifero. Come fa allora un indicatore di un miliardo a rispondere a esigenze di un mercato da centinaia di miliardi?”.

Già, come è possibile? Per questo si parla di speculazione?

“Il Ttf è inadeguato per l’Europa. Mi spiego: la maggior parte del gas, 90-95%, va direttamente dall’origine alla destinazione finale, non ci sono intermediazioni, le forniture sono stabilite con contratti anche decennali. Per cui su quali scambi di volumi si basano le contrattazioni di Amsterdam? Pochi metri cubi, quelli fra Olanda, Belgio e Renania… Ora, se io e lei fossimo grandi traders avremmo modo di manipolare una Borsa così piccola: ci presentiamo la mattina e vogliamo 5 miliardi di contratti, la Borsa dice che 4 miliardi di domanda non sono stati soddisfatti, che era a corto di offerta, così il prezzo schizza in alto. La mattina dopo chiediamo di comprare 10 miliardi di contratti. Risultato: manca offerta e prezzo schizza alle stelle. Così hanno portato il prezzo da 20 a 380 euro in un anno e mezzo”.

Intanto l’economia, che paga bollette legate al Ttf, soffre…

“È una cosa grave e drammatica, che grida vendetta stiamo mettendo a repentaglio l’economia italiana ed europea perché difendiamo il Ttf. Capisco molti interessi, gli extra-profitti, tutti quelli del mare del Nord che stanno facendo il bagno nell’oro, però c’è un silenzio imbarazzante sul Ttf”.

Lei propone di legare il calcolo delle tariffe di luce e gas all’Henry Hub americano, come si può fare?

“L’Arera, l’authority per l’energia, dovrebbe definire il prezzo al consumo in base alla media pesata dei prezzi d’acquisto delle società italiane sul mercato internazionale, loro hanno l’obbligo di comunicarlo. E se si smettesse di riferirsi al Ttf, la Borsa olandese andrebbe in crisi, scenderebbe il prezzo e tutti i contratti basati su quell’indice produrrebbero tariffe inferiori”.

Ma perché proprio Henry Hub?

“Noi principalmente importiamo gas allo stato gassoso, via tubo. Il gas liquefatto, Gnl, per il processo tecnologico con cui si produce – fra raffreddamento, trasporto e ritorno allo stato gassoso, senza contare che il 30% evapora – è più caro di quello che arriva da un gasdotto. Questo è un dato oggettivo. Allora prendiamo il prezzo del gas liquido più caro che ci sia: ecco l’Henry Hub, terminale dal quale il gas viene esportato in tutto il mondo, un prezzo di mercato indiscutibile, usiamo quello come tetto per determinare le bollette. Se Arera vede che un operatore ha comprato a un prezzo più alto, a quel punto lo tira fuori dalla media pesata”.

L’Italia ha demandato all’Europa la grana energia…

“Quello che io propongo va fatto tutto in Italia, la politica energetica è materia esclusiva al 100% dei singoli Paesi”.

Come vede i prezzi futuri del gas?

“Se l’Italia smette di nascondersi dietro la foglia di fico dell’Europa, il problema si risolve subito. Se però la classe politica non ha coraggio di intervenire, chiaro che il mercato resterà pazzo. Quanti cittadini italiani hanno capito se abbiamo gas o non ce l’abbiamo? Assistiamo a uno scontro fra propagande, ma i pipeline che da Ucraina vengono in Europa non hanno smesso di portarci gas. La scorsa settimana, infine, Eni ha dichiarato a Gastech che porterà 20 miliardi di metri cubi di gas in più. Allora da dove nasce il problema della mancanza di gas? Perchè tagli e ristrettezze? Vedo dunque una crisi del prezzo più che dei volumi, ma il prezzo dipende dalle nostre scelte politiche. Andiamo a vedere gli interessi che ci legano al Ttf e poi ne riparliamo…”.

fracking petrolio

L’Europa ha più gas di scisto degli Usa, ma non “può” usarlo

La nuova premier britannica, Liz Truss, qualche giorno fa ha annunciato che porrà fine alla moratoria al fracking sulle “nostre enormi riserve di scisto che potrebbero far circolare il gas in appena sei mesi“. Parlando alla Camera dei Comuni, ha anticipato che il governo concederà nuove licenze per petrolio e gas già questa settimana – lutto per Regina permettendo – che dovrebbero portare a oltre 100 nuove concessioni, dalle due attuali. Un cambio di rotta epocale, dopo il blocco deciso nel 2019 poiché – sostenevano istituzioni e associazioni inglesi – “non è possibile con la tecnologia attuale prevedere con precisione la probabilità di tremori associati al fracking“.

Il fracking è una tecnica estrattiva di petrolio e gas naturale che fu utilizzata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1947 dalla Halliburton. In pratica si sfrutta la pressione dei liquidi per provocare delle fratture negli strati rocciosi più profondi del terreno, così da agevolare la fuoriuscita del petrolio o dei gas presenti nelle rocce. Proprio gli Stati Uniti, grazie al cosiddetto gas di scisto, sono diventati primi esportatori mondiali e ce lo stanno vendendo sotto forma di Gnl, gas liquefatto.

La mossa di Liz Truss ha riaperto il dibattito in Europa, alle prese con la scarsità di metano visto il blocco operato dalla Russia. Alcuni osservatori hanno ritirato fuori uno studio dell’Eia, Energy information administration americana, del 2015 in base al quale ci sarebbe più gas di scisto in Europa che negli Stati Uniti. In realtà lo studio considera nel Vecchio Continente anche Russia e Turchia, tuttavia anche escludendo anche questi due Paesi, sfruttando il fracking si potrebbero coprire i fabbisogni europei per oltre 30 anni.

Nel dettaglio gli Usa nel 2015 erano seduti su 622 trilioni di piedi cubi di shale gas, ovvero 17.612 miliardi di metri cubi di gas, che saranno diminuiti vista la corsa allo sfruttamento scattata soprattutto nell’ultimo decennio. In Europa ci sarebbero invece ancora 16.944 miliardi di metri cubi, benché l’unica grande attività di fracking sia proprio in Ucraina, che è riuscita a staccarsi dal gas russo anni fa. I Paesi più ricchi di gas di scisto sono Polonia, Romania, Francia, Danimarca, Olanda e Regno Unito. L’Italia nemmeno compare in questa classifica stilata dall’Eia. Eppure nel Vecchio continente non è stato praticamente mosso un dito, principalmente per due motivi: la densità di popolazione, tre volte quella americana, e le proteste delle comunità locali, le quali hanno fatto letteralmente scappare investitori-perforatori del calibro di Exxon o Chevron.

Secondo il sito oilprice.com, inoltre, ci sono altri due fattori che giocano in favore della Russia e contro lo sfruttamento di gas dalle rocce: la terra disabitata in Europa è scarsa, così come talvolta è insufficiente l’acqua per sfruttare i pozzi di scisto. Burocrazia e proteste ambientaliste a parte, inoltre il costo di produzione di gas russo è circa un sesto inferiore al costo di pareggio dello shale britannico. Anche se a questi prezzi ad Amsterdam perfino il gas di scisto sembra economico… difficile però che in Europa si prenda questa direzione, se non si è nemmeno in grado di stabilire un tetto al prezzo del gas o acquisti comuni di metano…

energia

A fine mese le nuove bollette, ipotesi rincaro annuo fino a +400%

Il decreto Aiuti bis ha previsto uno stop alle modifiche unilaterali dei contratti di fornitura gas e luce. Fino al 30 aprile 2023 non saranno efficaci le clausole che permettono alla società di modificare le condizioni relative alla definizione del prezzo anche nel caso in cui sia riconosciuto il diritto di recesso per il cliente. Tutto risolto in vista dell’autunno? In parte, perchè in realtà a stabilire il prezzo delle tariffe è l’Arera, ovvero l’autorità per l’energia. La quale, in un documento inviato al Parlamento oltre un mese fa, ipotizzava aumenti del 100% in autunno.

Sì, dopo i rincari stellari di questi mesi che hanno messo ko soprattutto le piccole e medie imprese, le bollette potrebbero raddoppiare. Il motivo è sotto gli occhi di tutti: il prezzo del gas è passato dai 100 euro/MWh di giugno a quasi 350 due settimane fa e adesso si viaggia attorno ai 210 in attesa di capire se la Ue introdurrà un price cap o se inventerà un altro sistema di raffreddamento prezzi. C’è inoltre da ricordare che in Italia quasi metà dell’energia elettrica è prodotta dal gas, per cui la corrente di pari passo rincarerà pesantemente. Quando aspettarsi il salasso?

Le tariffe elettriche verranno comunicate a fine mese – dopo le elezioni del 25 settembre- e varranno per tre mesi, mentre quelle del gas, che varranno solo per le fatture/bollette di ottobre, saranno rese note a novembre. Il meccanismo introdotto da Arera infatti prevede che la tariffa sia fissata mese per mese, per evitare di stabilire prezzi magari proprio sul picco del mercato.

Le ultime previsioni ufficiali sugli aumenti sono quelle appunto di Arera, che ipotizzava un +100%. La Gran Bretagna ieri ha varato un tetto al prezzo delle tariffe, fissandolo a 2500 sterline anno (circa 2800 euro) per due anni, in più ha congelato per sei mesi i costi energetici alle imprese. Il governo italiano è invece al lavoro per studiare un meccanismo che attutisca ulteriormente l’impatto dei mercati sulle bollette. Le risorse a disposizione tuttavia appaiono limitate, una decina di miliardi di euro.

Visti i repentini balzi e crolli dei prezzi sui mercati nessuno ufficialmente fa previsioni certe sui rincari. Molto dipenderà anche dalle forniture dalla Russia. Se Putin chiudesse tutti i rubinetti verso l’Europa si prospetterebbero due strade: super razionamento dei consumi oppure corsa all’accaparramento di gas con nuova impennata dei prezzi, che secondo alcuni operatori contattati da Gea potrebbe tradursi in un aumento annuale delle bollette fino al 400%. D’altronde – come sottolinea la Fondazione Think Tank Nord Est – il valore del Pun, il prezzo unico nazionale dell’energia elettrica, da agosto 2021 ad agosto 2022 è cresciuto del 351%, quello del gas del 418%.

gas stoccaggio

Gli stoccaggi gas in Italia sono a livello del 2021 e -11% sul 2020

Da Cernobbio, qualche giorno fa, il commissario europeo agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, affermava che la Ue “è pronta allo stop del gas”, dato che sono “aumentati gli stoccaggi. Nelle ultime settimane infatti le scorte sono cresciute, una corsa agli acquisti su spinta degli Stati che ha anche contribuito all’impennata dei prezzi sulla borsa di Amsterdam. Per cui all’8 settembre, in base ai dati dell’Aggregated Gas Storage Inventory (Agsi), gli stoccaggi della Ue sono pieni all’82,77%. Nel dettaglio la Germania è all’86,95%, la Francia al 94%, la Spagna all’85,96% e l’Italia all’84,46%, sopra dunque la media europea ma sotto quella dei principali Stati dell’Unione. Se però confrontiamo il dato degli stoccaggi con quelli dell’8 settembre di due anni fa, anno pandemico per eccellenza, notiamo che le scorte in realtà erano addirittura superiori a quelle attuali, quando il prezzo del gas era di appena 14-15 euro per megawattora.

L’8 settembre del 2020, sempre secondo i dati Agsi, la percentuale di riempimento degli stoccaggi nella Ue era al 92,4%. La Germania si posizionava al 93,78%, la Francia al 95,89%, la Spagna al 93% e l’Italia addirittura 95,26 per cento. Rispetto a due anni fa, il nostro Paese è sotto di un 11% circa insomma.
E l’8 settembre 2021? Effettivamente, come sostiene Gentiloni, la situazione è nettamente migliorata a livello Ue. Un anno fa le scorte di gas dell’intera Unione erano piene al 69,5%. La Germania addirittura si fermava al 61,6%. Meglio la Spagna col suo 72,4%. La Francia invece era già all’86% e l’Italia stava all’83%, quindi più o meno in linea con il tasso di riempimento attuale. Un anno fa il prezzo del gas era intanto già raddoppiato rispetto al 2020, essendo salito a 30 euro/MWh.

Il confronto però nasconde una insidia non proprio trascurabile: mentre nel 2020 e nel 2021 il flusso di gas dalla Russia era blindato, adesso gli approvvigionamenti sono crollati (vedi Tarvisio) o addirittura spariti, basti considerare che il North Stream che alimenta la Germania è bloccato a tempo indeterminato. Per cui, nonostante proclami e annunci roboanti, siamo nella stessa condizione di un anno fa a livello di stoccaggi, solo che ci arriva meno gas. Tuttavia i consumi di metano, almeno in Italia, sono scesi di pochissimi punti percentuali negli ultimi mesi e il piano di contenimento dei consumi annunciato dal ministro Cingolani prevede risparmi per 8 miliardi di metri cubi circa fino a fine marzo. Per compensare il taglio di forniture dalla Russia, grazie agli accordi stretti dal governo, stanno aumentando i flussi da Algeria e Azerbaigian (via Tap), tuttavia rimane un gap di una quindicina di miliardi di metri cubi che non potranno essere coperti da un extra proveniente dagli stoccaggi, visto che sono gli stessi o addirittura inferiori rispetto agli scorsi anni.

L’Italia non molla pressing su Ue per price cap. Mattarella: “Urgentissimo”

L’Italia torna a battere i pugni a Bruxelles per il tetto al prezzo del gas. “Dobbiamo vincere questa battaglia, anche se c’è ancora un’Europa che litiga sull’argomento, ed è sbagliato. Dovremmo essere tutti uniti e non è avvenuto, torneremo alla carica sui tavoli istituzionali“, assicura il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

Da Skopje, in visita al presidente macedone, scende in campo anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella: “È urgentissimo procedere, superando le ultime resistenze“, preme. Roma ha chiesto all’Unione europea il price cap al gas già quattro mesi fa: “Se fosse stato adottato quando l’Italia lo aveva proposto, avremmo evitato alcune delle conseguenze di rincaro dell’energia“, osserva.

A Bruxelles, in prima linea, c’è il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Si è registrata una “maggioranza molto forte” in seno al Consiglio anche sull’introduzione di un tetto al prezzo del gas per mitigarne l’aumento: “Abbiamo fatto presente al presidente che è necessario inserirlo nel mandato alla Commissione” per chiederle “di elaborare uno scenario”, fa sapere.

Davanti a “questo impensabile aumento sconsiderato” dei prezzi dell’energia, seguito alla “sciagurata aggressione della Federazione russa all’Ucraina“, per Mattarella la via percorribile è una: “La nostra convinzione è che occorra una grande solidarietà – scandisce – e che l’Unione europea debba predisporre meccanismi che comprendono anche i Paesi dei Balcani occidentali per avere insieme prospettive concrete di far fronte con efficacia ai problemi che questa crisi pone, in maniera non teorica, ma concreta e veloce“.

La crisi piega famiglie e imprese. È per questo che il richiamo del presidente della Repubblica è a creare, “di fronte a problemi così gravi che nessun Paese da solo può risolvere, dei meccanismi di solidarietà nell’Unione europea che – ripete – devono abbracciare anche i Paesi dei Balcani occidentali, ad esempio per l’acquisto comune, di cui già si parla, di gas, gas liquefatto e idrogeno“. L’opera che sta si compiendo in Italia di affrancamento dalla Russia, osserva, vuole “evitare che il gas e l’energia divengano uno strumento di pressione politica o di speculazione“.

La preoccupazione del ministro degli Esteri, per chi anche a Roma storce il naso davanti alle sanzioni e “strizza l’occhio a Putin e Orban” è che causino al Paese un isolamento dall’Unione europea e mettano a rischio i fondi del Pnrr: “Questo è il problema in Europa, quando alcuni partiti o leader europei alleati con Meloni fanno certe scelte (opponendosi al price cap sul gas, ndr), isolano anche l’Italia. Noi stiamo rischiando tantissimo. Lo dico perché se ci isoliamo rispetto all’Europa perdiamo i soldi del Pnrr“.

Per il nuovo dl Aiuti 6,2 miliardi. Ma il voto in Parlamento slitta

Il nuovo decreto Aiuti potrebbe essere l’ultimo atto ‘di peso’ del governo di Mario Draghi. Il Consiglio dei ministri mette a punto la ‘prima fase’ dell’iter con l’approvazione, su proposta del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia, Daniele Franco, della Relazione al Parlamento che aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica sulla base di maggiori entrate, calcolate dal Mef in 6,2 miliardi di euro. Su queste risorse poggia l’impalcatura del provvedimento che servirà a contrastare gli effetti del caro bollette su famiglie e imprese, ma che l’esecutivo non potrà approvare prima della settimana prossima, dopo il via libera del Parlamento, che nel frattempo è fermo per una impasse tutta politica.

Lo stallo che si è generato a Palazzo Madama sul dl Aiuti di inizio agosto, infatti, fa slittare tutto il calendario. Il Movimento 5 Stelle chiede modifiche al testo per sbloccare la situazione della cedibilità dei crediti del Superbonus, di fatto alzando un muro sull’approvazione del testo, che le conferenze dei capigruppo di Senato e Camera sono costrette a rinviare l’approdo in aula, rispettivamente, a martedì 13 e giovedì 15 settembre. Il cambio di programma provoca nuove polemiche tra le forze politiche e la protesta di tre ministre, Elena Bonetti (Pari opportunità e famiglia), Mariastella Gelmini (Affari regionali) e Mara Carfagna (Sud), che vergano una nota congiunta infuocata. “Si tratta di un ritardo inaccettabile, del quale riteniamo debbano assumersi piena responsabilità le forze politiche che continuano a ostacolare in Parlamento l’azione del governo a favore dei cittadini“, scrivono. Rincarando anche la dose: “Questo atteggiamento irresponsabile tiene in ostaggio le imprese esponendole al rischio di chiusura e danneggia pesantemente la vita delle famiglie e dell’intero Paese“.

Nel nuovo decreto dovrebbero trovare spazio l’aumento al 25 della percentuale di prelievo sugli extraprofitti delle aziende energivore (con un allargamento anche a imprese di alcuni settori che hanno conseguito guadagni imprevisti dalla crisi), oltre alla rateizzazione delle bollette per le attività produttive, la Cig, la retromarcia sullo smartworking per i fragili e le misure di contrasto alle delocalizzazioni. Ma ci saranno nuovi interventi “anche in favore del settore agroalimentare, come sottolinea lo stesso Draghi in un messaggio inviato in occasione dell’evento organizzato a Roma da Coldiretti-Filiera Italia. Secondo quanto detto poche ore prima della riunione dal ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, ai microfoni di ‘24 Mattino‘, su Radio 24, “l’ordine di grandezza dovrebbe essere intorno ai 10 miliardi“, ma l’obiettivo di Palazzo Chigi sarebbe quello di mettere sul piatto fino a 13 miliardi, anche se già ad agosto le cifre sono state maggiori di quelle attese, nella stesura finale.

A proposito del Cdm, nel corso della riunione il premier ha rivolto l’invito ai ministri a preparare un ordinato passaggio di consegnevolto a fornire al nuovo governo un quadro organico delle attività in corso“. A coordinare le operazioni con i vari responsabili dei dicasteri sarà il sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli. Altro segnale che il tempo dei ‘saluti’ per del governo di unità nazionale è sempre più vicino.

gas

Arrivano disdette bollette a famiglie. Parla un operatore: “Non si trova più gas”

Arrivano le disdette delle bollette anche alle famiglie. Finora abbiamo letto di molti operatori che scrivono alle aziende, in vista del 1° ottobre, quando scatteranno i nuovi contratti, per comunicare l’impossibilità di proseguire nella fornitura di gas. Le famiglie tuttavia sembravano indenni da questa procedura. Ma una lettera che è stata segnalata a GEA testimonia il contrario. E il gestore della società di distribuzione di gas conferma di non essere l’unico sottolineando come “quest’inverno sarà molto dura per tanta gente”.

Nella lettera, in sintesi, si legge: “Egregio Signor Cliente, ci vediamo purtroppo costretti a comunicarVi che, nostro malgrado, a causa dell’eccezionale andamento dei prezzi dell’energia sui mercati internazionali e dell’oggettiva impossibilità di accedere a nuove forniture di energia, oltre a nuove imprevedibili situazioni eccessivamente onerose, la nostra Società non è più nelle condizioni di poter proseguire nell’attività di fornitura/somministrazione del gas naturale all’oggetto. Per tale ragione, Gruppo Energia Italia S.r.l. … Vi comunica, per le motivazioni sopracitate, la risoluzione del contratto a decorrere dal 01/10/2022. Dal momento che potremo dar corso alla fornitura di gas naturale in Vostro favore solo fino al 30/09/2022, Vi invitiamo a volerVi rivolgere ad altro Fornitore per continuare ad essere forniti nel mercato libero. Per completezza, Vi informiamo che, comunque, in assenza di nuovo contratto con altro Fornitore nel mercato libero, il servizio di somministrazione Vi verrà in ogni caso garantito dal Fornitore di ultima istanza, come stabilito dalla vigente disciplina di settore (ARERA). Purtroppo questa situazione non è dipesa, in alcun modo, dalla nostra volontà, bensì esclusivamente dalla straordinaria ed inusitata situazione internazionale (e, per l’effetto, nazionale) del mercato del gas naturale”.

Il contenuto della lettera è molto trasparente e, per certi versi, disarmante. In pratica l’operatore dice al cliente: se trovi uno più bravo di me, accomodati pure, e buona fortuna. GEA ha contattato i vertici dell’azienda che ha spedito la missiva. E, dall’altra parte del telefono, il presidente Biagio Antonacci non si è tirato indietro: “Sì, stiamo mandando queste lettere. E guardi che mi fa male al cuore. So che può sembrare antipatico ma voglio mettere al corrente l’utente che non ho alternative. Sicuramente non sarà lasciato al freddo, poiché finirà in ‘ultima istanza’ per cui avrà il gas garantito e in seguito potrà scegliersi un altro operatore”.

Senza rancore, dunque. “Il fatto è che prima gestivo gas per un controvalore di 30 milioni, ora però sono costretto a rinunciare alla metà dei contratti, dai condomini a una marea di partite Iva, perché non trovo gas sul mercato. Non me lo vende nessuno”, precisa il presidente di Gei. “Aggiungo che, se anche se lo trovassi, dovrei garantire una fidejussione di 12 milioni. Dove vado a trovarli?”. Ha mai visto una cosa del genere? “Da cinquant’anni sono sul mercato, mi sono sempre occupato di gestione calore e poi di vendere gas e luce, ma un mercato così è incredibile. E molti operatori sono nelle mie stesse condizioni, non sono l’unico a inviare lettere di disdetta. Il problema, nonostante quello che si dice, non è il prezzo, ma la mancanza di gas. Temo che quest’inverno farà soffrire tante persone”.