Claudio Descalzi

L’Eni che non ti aspetti: eolico, sostenibile, alternativo

Eni ha sbancato il mercato. Ha chiuso il primo semestre con un utile netto di 7,398 miliardi, in crescita dagli 1,103 miliardi dello stesso periodo del 2021. “In un contesto di incertezza e volatilità dei mercati, ci siamo attivati rapidamente per garantire nuovi flussi di approvvigionamento“, ha commentato l’amministratore delegato, Claudio Descalzi. E “in Italia, ci siamo proattivamente impegnati nella ricostituzione degli stoccaggi di gas in previsione” dell’inverno. Petrolio e gas ovviamente sono i capisaldi del successo del cane a sei zampe che, confermando previsioni e il buy-back, ha beneficiato di uno sprint di tutto rispetto in Borsa: +5,63% a 11,71 euro, fra il plauso degli analisti. C’è però un Eni che non ti aspetti: green, sostenibile e soprattutto redditizio.

Tutte le attività per così dire non fossili sono sotto l’ombrello di Plenitude. “In Plenitude, il programma di espansione della capacità di generazione da fonti rinnovabili prosegue verso l’obiettivo di superare i 2 GW entro la fine dell’anno”, ha fatto sapere De Scalzi: “Date le condizioni di mercato, l’IPO è stata rimandata ma rimane nei nostri piani. Il business Eni della mobilità sostenibile incrementerà il valore delle nostre bioraffinerie, facendo leva sull’integrazione verticale con il nostro innovativo agri-business e il portafoglio di soluzioni decarbonizzate. Tecnologie breakthrough – ha concluso l’amministratore delegato – sono il motore del nostro sviluppo come testimonia la costruzione in corso dell’impianto dimostrativo di fusione magnetica che punta a produrre energia netta da fusione nel 2025“.

A proposito di redditività, nel secondo trimestre, Plenitude (che ricordiamo include il business retail, renewable & mobilità elettrica) ha conseguito un Ebit di 112 milioni di euro (+58% in riferimento al secondo trimestre 2021) per effetto delle maggiori produzioni di energia elettrica rinnovabile e dei maggiori prezzi di vendita all’ingrosso. E l’Ebitda atteso di Plenitude per il 2022 è confermato superiore a 0,6 miliardi.

Nel dettaglio, sul fronte rinnovabili, la produzione di energia elettrica è stata pari a 662 GWh nel secondo trimestre 2022, quasi quintuplicata rispetto allo stesso periodo del 2021. Al 30 giugno la capacità installata da fonti rinnovabili è pari a 1,5 GW: rispetto al 31 dicembre scorso la capacità è aumentata di 0,4 GW, principalmente grazie all’acquisizione dell’impianto Corazon negli Stati Uniti, all’installazione del primo lotto da 68 MW del campo fotovoltaico di Brazoria (USA), nonché all’acquisizione degli asset eolici di Fortore Energia in Italia.

L’accelerazione di Eni verso produzioni di energia rinnovabile è evidente elencando i principali accordi siglati nel secondo trimestre. Ad aprile, Plenitude ha annunciato un investimento in EnerOcean, una società spagnola che sviluppa W2Power, una tecnologia innovativa per impianti eolici galleggianti. Sempre ad aprile GreenIT, la joint venture tra Plenitude e CDP Equity, ha firmato ad aprile un accordo con il fondo Copenhagen Infrastructure Partners (CIP) per la costruzione e la gestione di due parchi eolici offshore galleggianti in Sicilia e Sardegna, con una capacità totale prevista di circa 750 MW. A maggio è stata siglata una intesa con Ansaldo Energia per valutare tecnologie per l’accumulo di energia elettrica alternative alle batterie elettrochimiche. A luglio, per concludere, Plenitude e HitecVision hanno sottoscritto un accordo per l’espansione dell’attività della joint venture norvegese Vårgrønn con l’obiettivo di consolidarne la presenza tra i più importanti player del settore eolico offshore.

Non è finita: a maggio Eni ha firmato con Sonatrach un memorandum of understanding per valutare la fattibilità di un progetto di idrogeno verde nella concessione Bir Rebaa North, per consentire la decarbonizzazione delle operazioni. La transizione energetica è avviata. Il cane a sei zampe è sempre più verde.

Siccità, energia, guerra: tre dossier ‘hot’ per il nuovo governo

Sarà una campagna elettorale ‘lampo’, ma non senza scontri, tensioni e anche qualche ‘colpo basso’. Lo scenario con cui l’Italia si prepara al ritorno alle urne, il prossimo 25 settembre, è ricco di insidie. Per ogni schieramento. Non solo il cronoprogramma di riforme e progetti per non perdere i fondi europei del Pnrr, nell’agenda di tutte le forze politiche ci sono almeno tre temi cerchiati con in rosso: strategia nazionale sull’energia, transizione ecologica e digitale e, ovviamente, la guerra in Ucraina, che trascina con sé non solo implicazioni geopolitiche ma anche legate alla crisi alimentare. Lo sblocco, graduale, delle scorte di grano e cereali bloccati da mesi nei porti del Mar Nero è una buona notizia – se gli accordi firmati con i garanti Onu e Turchia reggeranno -, ma il tempo stringe perché alle porte ci sono i nuovi raccolti e le incertezze si triplicano senza il cessate il fuoco tra Mosca e Kiev.

L’altro, grande capitolo riguarda inevitabilmente gli approvvigionamenti energetici. Non soltanto – e non tanto – per la conferma e il rispetto degli accordi stipulati dal governo Draghi con Algeria, Libia, Egitto, Mozambico, Azerbaijan, Congo e Qatar: queste partnership ci renderanno indipendenti dalle forniture russe entro la fine del 2024 e l’inizio del 2025. Piuttosto il prossimo governo dovrà prendere una decisione sul ritorno o meno a puntare sulla produzione nazionale di gas. Ovvero, per dirla con il gergo utilizzato da alcune associazioni ambientaliste e movimenti politici, se l’Italia tornerà a muovere le proprie trivelle per sfruttare le possibilità del territorio. Il dibattito si è acceso negli ultimi mesi, quando la crisi energetica ha imposto una riflessione sul mix da adottare. Ad oggi le divisioni rimangono e la discussione non fa passi avanti.

In ballo ci sono interessi economici altissimi, però. Perché da circa una ventina d’anni, da quando è stata operata la scelta di comprare il gas da fornitori esteri (la Russia è diventata in pochissimo tempo il nostro partner principale), c’è chi conta una perdita in termini di occupazione, sviluppo delle nostre aziende e di risorse pubbliche, dovendo pagare l’Iva ai Paesi di appartenenza dei ‘venditori’. Il rovescio della medaglia, però, riguarda la tutela dell’ambiente e delle biodiversità. Non un problema da poco, visti gli effetti a volte devastanti dei cambiamenti climatici. Per ovviare a tutti i rischi c’è chi si appella alle nuove tecnologie, considerandole un valido alleato. Ma non tutti – in entrambi gli ‘schieramenti’ – sono pronti a metterci le mani sul fuoco.

Mentre la discussione va avanti, c’è comunque il presente da affrontare. Ad oggi il problema più grave è la siccità. Continua a non piovere su diverse zone del Paese, mentre dove finalmente scende giù l’agognata acqua, molto spesso lo fa con una violenza dirompete, a causa dell’incontro-scontro con le temperature record di questi mesi estivi. Il governo, prima che deflagrasse la crisi politica, era all’opera per un nuovo decreto Aiuti. La fine della maggioranza, le dimissioni di Mario Draghi e lo scioglimento delle Camere sembravano aver mandato in fumo l’opportunità. L’allargamento del perimetro dei cosiddetti affari correnti, però, ha riacceso la speranza e ora ci sono oltre 14 miliardi di euro da utilizzare per prorogare le misure di contrasto ai rincari di energia, carburanti e beni alimentari, ma anche i primi sostegni per i danni all’agricoltura. Il decreto dovrebbe vedere la luce la prossima settimana. Certo, le cifre stanziate non saranno sufficienti a coprire tutti gli ammanchi, ma va anche detto che oggi è tecnicamente impossibile fare la conta dei danni, quando le colture sono ancora in itinere.

Giocoforza questo sarà uno dei primi dossier su cui il nuovo governo, e la maggioranza che lo sosterrà, dovrà impegnarsi. Chi verrà dopo l’ex Bce, però, si troverà comunque una situazione economica e finanziaria di tutto rispetto. Almeno secondo quanto certificano diverse analisi, non ultima quella dell’Istat. “Con il dato sulla crescita del secondo trimestre” dice il ministro uscente della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, “è ragionevole aspettarsi un tasso di crescita annuo per il 2022 più vicino al 4%“. L’ex forzista si toglie anche un sassolino dalle scarpe: “Il governo Draghi ha lavorato bene, addirittura benissimo. Tanto che tra i Paesi del G7 nel 2022 l’Italia sarà quello che crescerà più di tutti“. E’ la campagna elettorale, bellezza. Ma anche una buona notizia per chi verrà tra due mesi circa.

parco eolico

Rigassificatori, fotovoltaico, parchi eolici: c’è (sempre) chi dice no

Tutti non vogliono ovviamente passare l’inverno al freddo. Tutti vogliono accelerare la transizione energetica. Tutti si riempiono la bocca di Pnrr. Però… in giro per l’Italia si segnalano numerose proteste (nei confronti di nuovi impianti) e contraddizioni che, in questa fase pre-elettorale, sarà difficile risolvere. Da settimane è in corso una accesa discussione intorno a 13 progetti di parchi eolici off-shore nel mare della Sardegna, circa 700 pale alte 300 metri in grado di fornire una potenza energetica complessiva da quasi diecimila megawatt. Amministratori, ambientalisti, cittadini… un fronte trasversale non vuole diventare “terra di conquista” di presunti speculatori.

Dalla Sardegna, prendendo il traghetto, possiamo fermarci a Civitavecchia dove, pochi mesi fa, è andata in onda una vera e propria rivolta contro la riconversione a gas di una centrale Enel. Alla fine la società partecipata dal governo ha dovuto cedere. In compenso, tornando all’eolico off-shore, proprio ieri Roberta Lombardi (M5S), assessora alla Transizione ecologica e Trasformazione digitale della Regione Lazio, ha benedetto un progetto di 270 megawatt, composto da “27 pale di imponenti dimensioni. Noi abbiamo come obiettivo non solo l’installazione del parco eolico ma di far diventare Civitavecchia a partire dal porto, un polo produttivo manufatturiero del settore eolico del Mediterraneo. Vogliamo farne un’eccellenza del nostro territorio, un distretto delle energie rinnovabili“. E se qualcuno si lamenta? “Penso – ha spiegato la Lombardi – che quando apriamo la bolletta ogni mese, è il caso che cominciamo a uscire dalla sindrome Nimby”.

Da Civitavecchia risaliamo in un altro porto: Piombino. Area dove dovrà sorgere uno dei due rigassificatori-chiave per aumentare l’indipendenza italiana dal gas russo. Nelle ultime settimane si sono registrate numerose proteste contro il progetto. In mezzo a dirigere il traffico delle diatribe il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, nominato da Draghi proprio commissario al rigassificatore. Il presidente ieri commentava “favorevolmente la presa di posizione del ministro Cingolani rispetto alla necessità per la sicurezza e l’interesse nazionale di procedere nel senso che abbiamo concordato e formalizzato”. I 30 enti chiamati a esprimere un parere tecnico sul progetto “già lavorano sul materiale fornito da Snam con l’istanza del 29 giugno” e il decreto prevede il rilascio dell’autorizzazione entro 120 giorni. “Io – ha concluso Giani – sono pronto a poterla rilasciare entro il 29 ottobre. Nel frattempo lavoro sul memorandum, ovvero sui punti a favore di Piombino su cui il governo nella riunione con il ministro Cingolani e Gelmini ci ha accettato, anche se con la necessità di approfondirli“. Deciderà comunque il prossimo governo.

Da Piombino a Ravenna, dove entro un anno dovrebbe entrare in funzione un altro rigassificatore. Anche qui, come in Toscana, è stato nominato commissario all’opera il governatore, Stefano Bonaccini, che da settimane ripete un mantra: “L’impianto va fatto senza se e senza ma”. Non la pensano così alcuni suoi alleati in maggioranza a Bologna, i Verdi, i quali hanno fatto sapere che scenderanno in piazza contro il rigassificatore a fianco di Legambiente, Fridays for Future e del Coordinamento ravennate.

Scendendo lungo l’Adriatico, concludiamo il giro d’Italia delle proteste in Molise, dove la Coldiretti Giovani ha raccolto 1.100 firme che consegnerà all’assessore regionale all’Agricoltura, Nicola Cavaliere, nell’ambito della petizione “Sì all’energia rinnovabile senza il consumo di suolo agricolo”. L’iniziativa, promossa dall’organizzazione su tutto il territorio nazionale, è finalizzata a spingere il fotovoltaico ecosostenibile sui tetti di stalle, cascine, magazzini, fienili, laboratori di trasformazione e strutture agricole. “Come giovani agricoltori – spiegano – sosteniamo e promuoviamo ogni giorno l’innovazione tecnologica sostenibile ma, destinando i suoli agricoli al fotovoltaico, a breve non ci saranno più terreni da coltivare accelerando così la perdita di biodiversità unica del nostro Paese“.

(Photo credits: FRED TANNEAU / AFP)

orania

Coltivare energia solare si può: lo fa la città sudafricana Orania

In questo remoto angolo del Sudafrica, un’enclave al 100% bianca fondata alla fine dell’apartheid, non potendo coltivare grano a causa del terreno paludoso si è convertita a coltivare energia solare per sfuggire alle incessanti interruzioni di corrente che affliggono il Paese. I 2.500 abitanti di Orania, nel mezzo del deserto del Karoo a più di 600 km a sud-ovest di Johannesburg, puntano all’autosufficienza a tutti i livelli per isolarsi da un Paese che ai loro occhi è diventato decadente.

Questi discendenti di ugonotti olandesi e francesi, arrivati sulla punta dell’Africa nel XVII secolo, hanno lanciato un ambizioso progetto solare che dovrebbe consentire loro di produrre più del necessario. I lavori di questo progetto, stimati in oltre 600.000 euro, sono iniziati nel giugno 2021. Oggi l’impianto produce 841 KW all’ora. Quasi sufficiente per rifornire la città e le fattorie circostanti. La città afrikaner punta alla completa autonomia entro tre anni, mentre il Paese è sprofondato in una grave crisi energetica da quasi quindici anni, a causa dell’invecchiamento delle centrali a carbone, degli scioperi e della corruzione all’interno di Eskom, l’azienda pubblica che produce il 90% dell’elettricità sudafricana.

orania

(Photo by MARCO LONGARI / AFP)

È stata la semplice idea dell’autosufficienza a spingerci a farlo“, ha dichiarato François Joubert, ideatore del progetto. “Qui non si può contare su nessuno per i servizi di base“, dice l’ingegnere 69enne. “Siamo lontani da Johannesburg e da Città del Capo, quindi dobbiamo prendere in mano la situazione. E a noi sta bene così”.

Il sito di 8.000 ettari sul fiume Orange dove Orania è stata fondata nel 1991, dopo l’abolizione delle leggi razziali, è stato acquistato dal genero di Hendrik Verwoerd, l’ex primo ministro considerato l’architetto dell’apartheid, e da alcune famiglie afrikaner. “L’operazione solare rappresenta per noi una svolta epocale. Porta stabilità energetica alla città“, afferma il sindaco Gawie Snyman. “Il nostro sogno sarebbe addirittura quello di esportare energia elettrica”.

Lunedì il Presidente Cyril Ramaphosa ha annunciato un pacchetto di misure urgenti, invitando il settore privato, privati e imprese, a investire nell’energia solare “su ogni tetto per alimentare la rete nazionale. Il prossimo passo nella produzione solare di Orania sarà l’installazione di batterie di accumulo tra qualche anno. Ciò consentirà alla città di affrancarsi finalmente dalla rete elettrica nazionale.

(Photo credits: STEPHANE DE SAKUTIN / AFP)

idroelettrico

Assoidroelettrica: “Chiuderemo l’anno con -60% di produzione”

La situazione è drammatica: quasi tutte le centrali idroelettriche in Italia, a causa della siccità, sono ferme e quelle che funzionano girano a carico ridottissimo“. A lanciare l’allarme è Paolo Taglioli, direttore generale di Assoidroelettrica, l’associazione che raccoglie i produttori idroelettrici e i professionisti del settore che tutela dal piccolissimo al grande impianto.

Si prospetta un anno drammatico – spiega a GEA – anche a causa della combinazione con la norma decisa dal decreto Sostegni Ter che taglia gli extraprofitti ai produttori di energia da fonti rinnovabili, mentre non tocca quelli che la producono da fonti convenzionali, come ad esempio il gas. Per questi due aspetti, siccità mai vista e scelte del governo Draghi, ci aspettiamo un calo del fatturato intorno all’88-90%“. Per questo motivo prossimamente l’associazione darà mandato al proprio legale di procedere con “una class action per impugnare la delibera attuativa della conversione in legge del Sostegni Ter“.

Con i fiumi del nord a secco (a settentrione infatti si concentrano i maggiori impianti idroelettrici) Taglioli stima un calo del 60% di produzione elettrica per gli impianti sui corpi idrici principali e del 70-75% per quelli sui corpi idrici secondari. “Tutto dipende da come andrà l’autunno – prosegue Taglioli – ma è chiaro che al momento le prospettive sono fosche“. Aspettare che piova non basta, occorre trovare soluzioni per contrastare il problema della siccità con interventi non emergenziali, ma strutturali. Come fare dunque? “Occorre contrastare i cambiamenti climatici – dice Taglioli – e noi, che produciamo energia da fonti rinnovabili e quindi non inquinanti, da attori principali ora ci ritroviamo vittime. È una situazione assurda“.

idroelettrico

Dando uno sguardo alla situazione del settore idroelettrico in Italia, Utilitalia informa che nel Paese sono attivi circa 4.300 impianti capaci di produrre 46 TWh di energia elettrica all’anno. Sul totale della produzione da fonti rinnovabili, l’idroelettrico fa la parte del leone con circa il 41% e dà lavoro a circa 15.300 addetti. Uno dei punti deboli del settore però è l’età media degli impianti che si aggira intorno ai 70 anni. A rendere ancora più difficile la situazione quest’anno ci si è messa appunto una straordinaria siccità che ha bloccato moltissime centrali. Nel bacino del Po il 90% delle mini centrali idroelettriche lungo i canali di irrigazione è fermo. Lo stop è stato necessario anche per la centrale idroelettrica di Isola Serafini, in provincia di Piacenza, gestita da Enel Green Power: non si riusciva più ad alimentare le turbine che generano elettricità. Secondo Terna nei primi 15 giorni di giugno l’elettricità prodotta dall’idroelettrico in Italia è risultata inferiore di circa il 35% rispetto al 2021. E da febbraio il calo è addirittura del 51,3%. Sempre a causa delle condizioni meteorologiche avverse, a livello di Unione europea, secondo i dati Eurostat, la produzione da idroelettrico tra il 2020 e il 2021 è calata dell’1,2%.

Eppure il settore, con gli opportuni interventi di rinnovamento e di manutenzione, potrebbe conoscere un aumento di potenza di quasi 6.000 MW entro il 2030, si legge nel ‘Contributo economico e ambientale dell’idroelettrico italiano’ realizzato da Althesys per Utilitalia. Battendo questa strada, si potrebbero guadagnare 4,4 Twh di produzione elettrica rinnovabile in un decennio, senza nessun ulteriore impatto ambientale, ed eliminando parallelamente la necessità di emettere più di 2 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalenti.

Enel

Enel abbraccia la transizione: più rinnovabili, meno termoelettrico

Enel c’è. I numeri diffusi dal gruppo non lasciano dubbi, specie in un periodo nel quale la tempesta sul gas fa tremare famiglie e imprese. Gli investimenti sono in accelerazione: nel primo semestre di quest’anno sono stati pari a 5,889 miliardi (+22,4% in riferimento allo stesso periodo del 2021), concentrati principalmente in Enel Green Power, infrastrutture e reti. E l’obiettivo di dipendere sempre meno dalle fonti fossili non è solo uno slogan. La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è stata ampiamente superiore rispetto a quella termoelettrica, raggiungendo i 60,3 TWh (59,8 TWh nell’analogo periodo del 2021, +0,9%), a fronte di una produzione da fonte termoelettrica pari a 47,3 TWh (38,3 TWh nello stesso arco di tempo dello scorso anno, +23,7%).

La produzione a zero emissioni ha raggiunto ormai il 59% della generazione totale del gruppo considerando unicamente la produzione da capacità consolidata, mentre è pari al 61% includendo anche la generazione da capacità gestita. La transizione ecologica e sostenibile, eccola qua. Per questo Francesco Starace, Ceo di Enel, è tranquillo nonostante un indebitamento finanziario salito del 19,8% a 62,2 miliardi. “La posizione finanziaria rimane solida e, anche in previsione del perdurare di un quadro generale complesso, grazie alla visibilità di cui godiamo sull’evoluzione del business per la seconda metà dell’anno. Confermiamo dunque la guidance per il 2022 e la nostra politica dei dividendi”.

La sicurezza di Starace dipende anche da un altro fattore. Nella prima metà dell’anno in Europa in alcuni casi ci sono state difficoltà nell’approvvigionamento delle materie prime, che si prevede possano continuare per i prossimi mesi, con conseguente ulteriore incremento del prezzo dell’energia elettrica e una significativa spinta inflazionistica. Un mix pericoloso che ha spinto i governo e le varie authorities a proseguire nell’adozione di politiche di contenimento dei prezzi dell’elettricità per i consumatori finali, con misure in alcuni casi penalizzanti per le società operanti nel settore della generazione e vendita di elettricità.

Ebbene, come ha fatto Enel a non fare la fine di Edf, maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia, che ha chiuso il semestre con una perdita di oltre 5 miliardi per colpa delle centrali nucleari vittime di corrosione e dunque ferme? Semplicemente Enel ha beneficiato della sua diversificazione geografica, combinata con un modello di business integrato lungo la catena del valore. Non solo Italia: il gruppo opera negli Stati Uniti, in Canada, Spagna, Colombia, Cile, Perù, Australia, Brasile, Argentina, Romania… L’elenco è lungo ma si è rivelato provvidenziale in una fase storica che ha visto prezzi crescenti all’acquisto e prezzi obbligatoriamente calanti alla vendita. Ma soprattutto, puntare in tempi non sospetti, con investimenti in mezzo mondo, sulle rinnovabili, garantisce solidità e meno timori sul futuro.

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Rinnovabili, il Cdm approva 11 impianti: sbloccati 452 megawatt

Nuovo ‘ossigeno’ nella strategia nazionale di approvvigionamento energetico, con lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Il via libera del Cdm di questo pomeriggio, infatti, sblocca l’iter di ben 11 progetti di impianti di energia eolica. Operazione resa possibile dalle semplificazioni dei procedimenti autorizzativi previsti dal primo decreto Aiuti del governo presieduto da Mario Draghi, approvato nello scorso mese di maggio.

Grazie alle nuove norme, infatti, il Consiglio dei ministri ha potuto deliberare “l’approvazione del giudizio positivo di compatibilità ambientale” relativo a otto progetti da realizzare nel territorio della Puglia e tre in Basilicata, che contano complessivamente una potenza pari a circa 452 megawatt. L’articolo 7 del precedente dl Aiuti, dunque, rendono le deliberazioni del Cdm sostitutive ad ogni effetto del provvedimento di Valutazione d’impatto ambientale, il cosiddetto Via. La decisione di oggi, viene fatto notare in ambienti di governo, è perfettamente in linea con la strategia dell’esecutivo di sostegno al piano di diversificazione delle fonti energetiche.

Anche il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, esprime soddisfazione per il via libera: “Una decisione – spiega – che evidenzia quanto sia prioritario per questo governo l’impegno nello sviluppo di energia da fonti rinnovabili su tutto il territorio nazionale”. Per il responsabile del Mite “si tratta di un’ulteriore accelerazione verso l’indipendenza energetica, la decarbonizzazione e gli obiettivi di sviluppo sostenibile”.

Nel dettaglio, gli otto progetti da realizzare nel territorio della Puglia riguardano Mondonuovo (Comune di Mesagne, Brindisi), per una potenza pari a 54 megawatt, Valleverde (Comune di Bovino, Foggia, in località “Monte Livagni”) e opere di connessione (da ubicare anche nei comuni di Castelluccio dei Sauri e Deliceto, Foggia) per 31,35 megawatt. E ancora il rifacimento parziale e potenziamento (‘repowering’) del parco eolico (Comuni di Motta Montecorvino e Volturara Appula, Foggia), per complessivi 42 megawatt; poi San Pancrazio Torrevecchia (Comune di San Pancrazio Salentino, Brindisi) e relative opere di connessione alla Rete di Trasmissione Nazionale (comuni di Avetrana, Taranto, ed Erchie, Brindisi) per totali 34,5 megawatt, San Severo La Penna (Foggia) e relative opere di connessione, per 47,6 megawatt; San Potito (Ascoli Satriano, Foggia, località Torretta) e relative opere di connessione (Comune di Deliceto, Foggia), per 34,5 mw.

Inoltre, il Cdm dà il via libera al progetto da realizzare nel comune di San Paolo Civitate (Foggia), nelle località Pozzilli, Chiagnemamma, Cerro Comunale, Marana della Difensola–Quarantotto, Masseria Difensola e infrastrutture connesse, che si trovano nel territorio del comune di Torremaggiore (Foggia), nelle località Fari e Rascitore, per una potenza di 42 megawatt; Il Parco Eolico San Severo” (Comune di san Severo, Foggia), con potenza 54 megawatt.

Per quel che concerne, poi, i tre progetti che riguardano la regione Basilicata, si tratta della proroga di cinque anni del termine di validità del provvedimento di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione dell’impianto eolico Serra Gagliardi, da realizzare in agro del Comune di Genzano di Lucania (Potenza), per 36 megawatt. Proroga di cinque anni anche del provvedimento di valutazione di impatto ambientale relativo all’impianto eolico Castellani da realizzarsi nel territorio del Maschito e Venosa (Potenza) per 38,995 megawatt. Infine, a Rosamarina (Comune di Lavello, Potenza) disco verde alle opere di connessione nei comuni di Venosa e Melfi, per una potenza complessiva di 37,1 megawatt.

overshoot day

È l’Overshoot Day: cos’è e come si calcola fine delle risorse della Terra

Oggi è l’Overshoot Day, ovvero la giornata dell’anno in cui come comunità umana globale finiamo di consumare tutte le risorse che la natura sul nostro Pianeta è in grado di generare nel ciclo delle stagioni sui 365 giorni. Da domani inizieremo a erodere le riserve, in pratica a consumare ciò che ci servirebbe domani. Angosciante? Non necessariamente. Sicuramente è un dato che ci deve far riflettere e preoccupare. Ma come quando andiamo dal medico, è meglio sapere: questi dati aiutano a comprendere la situazione e a trovare i correttivi, le cure e le medicine giuste.

Nel 1970, appena 52 anni fa, la richiesta di risorse e servizi ecosistemici portava a consumare le risorse generate dalla natura il 29 dicembre: abbiamo, quindi, accelerato in maniera enorme il consumo di risorse. Ma abbiamo anche imparato a comprendere il problema e le sue origini. È necessario quindi utilizzare la nostra intelligenza e creatività, le crescenti conoscenze (non solo tecnologiche) per migliorare la condizione di vita delle persone senza compromettere il futuro prossimo, quasi immediato. Questo non è angosciante, ma positivo e potenzialmente entusiasmante.

Come viene calcolata la data? Ogni anno il Global Footprint Network calcola il numero di giorni di quell’anno in cui la biocapacità della Terra è sufficiente a soddisfare l’impronta ecologica dell’umanità. Si divide, quindi, la quantità di risorse ecologiche che la Terra è in grado di generare per la domanda dell’umanità per quell’anno (energia, materie prima, agricoltura, ecc…) e moltiplicando per 365, il numero di giorni in un anno. Questo dato è ovviamente, la media globale. Ovviamente, il dato non è uguale per ogni Paese.

italia

La situazione divisa per singole nazioni rivela dati interessanti. Questi dati, in particolare, svelano quale sarebbe la data di esaurimento delle risorse rigenerate annualmente se tutto il mondo consumasse energie come avviene in quel Paese. Per l’Italia la data limite è stata raggiunta il 15 maggio, sta quindi nella parte di mondo che consuma in maniera ancora più pesante della media globale attuale. Ma c’è chi fa molto peggio di noi. Il Qatar è il Paese che consuma da record: se tutta l’umanità consumasse come il Paese della Penisola arabica, quest’anno avremmo già esaurito le risorse il 2 febbraio; per il Lussemburgo la data è il 14 febbraio. Subito dopo, in questa classifica, Stati Uniti, Canada ed Emirati Arabi: 13 marzo. Australia il 23, Belgio 26, Finlandia 28 e Danimarca 31 marzo. Per la Cina il 2 giugno.

Dalla parte opposta della classifica, i Paesi più virtuosi – tra quelli che hanno un consumo superiore alla capacità di rigenerazione, sono quindi esclusi quelli che consumano meno – sono: Giamaica (20 dicembre), Ecuador (6 dicembre), Indonesia (3 dicembre), Cuba (25 novembre), Iraq (24 novembre), Guatemala (14 novem,bre), Egitto (11 novembre) e Colombia (8 novembre). Il dato sui singoli Paesi si basa sulle elaborazioni del National Footprint and Biocapacity Accounts, che presenta dati sull’impronta ecologica e sulla biocapacità dal 1961 al 2018. Lo scarto di 4 anni è dovuto alla necessità di elaborare i dati e al processo di rendicontazione delle Nazioni Unite.

Non tutti i Paesi hanno un giorno di superamento della soglia. Consumano meno di quanto la Terra produca i Paesi più poveri: dall’Afghanistan al Bangladesh, dal Camerun alla Costa d’Avorio. È evidente, quindi, che si pone una necessità strategica: coniugare la crescita delle condizioni di vita con la gestione oculata delle risorse. Sostenibilità a 360 gradi.

Spiega il Global Footprint Network: “Il nostro pianeta è finito, ma non le possibilità umane. La trasformazione verso un mondo sostenibile e a zero emissioni di carbonio avrà successo se applicheremo i più grandi punti di forza dell’umanità: la lungimiranza, l’innovazione e l’attenzione reciproca. La buona notizia è che questa trasformazione non solo è tecnologicamente possibile, ma è anche economicamente vantaggiosa e rappresenta la nostra migliore opportunità per un futuro prospero”. Ancora: “Abbiamo identificato cinque aree chiave: Pianeta in salute, Città, Energia, Cibo e Popolazione. Queste stanno definendo con forza le nostre tendenze a lungo termine, tutte plasmate dalle nostre scelte individuali e collettive”.

(Photo credits: Olivier MORIN / AFP)

cingolani

Cingolani: “Il gas costa un botto, acceleriamo sulle rinnovabili”

Non ci sono dubbi: il prezzo del gas è alle stelle. Una drastica conseguenza della guerra russo-ucraina ma anche della forte speculazione presente sul ‘dark web’ dell’economia italiana. “Paghiamo un botto. Già prima della guerra c’era stato un rialzo per vari motivi, anche speculativi, ma passare da 20 centesimi a 1-1,5 euro è troppo”, esclama il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che nel corso di una conferenza stampa al Mite fa il punto su due dei temi di maggior tendenza in questo periodo: gas e rinnovabili.

L’aggiornamento sul ‘work in progress’ delle rinnovabili da parte del ministro arriva subito: “Il lavoro per l’aumento delle energie pulite procede a ritmi serrati“. Parole che, considerando il caos energetico di Gazprom, delle varie manutenzioni ai gasdotti con il piano di risparmio europeo del 15% e l’autunno sempre più vicino, lasciano spazio a un sospiro di sollievo. Premesso, quindi, che sulla transizione energetica i passi avanti l’Italia li sta compiendo, c’è ancora un tassello da mantenere dal quale non possiamo ancora fare a meno. Quello riguardante il rinvio del phase out delle centrali a carbone, perché servirà a risparmiare 2 miliardi metri cubi di gas. E Cingolani avverte: “Farà un po’ di danno ambientale, ma ci consentirà di accelerare sulle rinnovabili“. Detto questo, “le nuove forniture di gas richiederanno un po’ di tempo per andare a regime ma non sono previste drastiche misure di contenimento a livello industriale“, la sottolineatura.

Riprendendo il discorso sui tre rigassificatori galleggianti, “due saranno operativi tra i prossimi 12-24 mesi”, mentre il terzo è in stallo. Si tratta dell’impianto di Piombino: “Ora c’è un po’ di polemica, faremo di tutto per cercare di alleviare i disagi, ma la sicurezza nazionale passa dal Comune toscano“. L’importante, per il responsabile del Mite è che “Il rigassificatore entri in funzione tra il primo quarto del 2023 e il primo quarto del 2024“, stessa cosa per quello di Ravenna che “è pronto ma serve un tubo di raccordo”.

Resta sempre sul tavolo il discorso relativo al tetto al prezzo del gas. Sulla Borsa, spiega il ministro, “sono stato esplicito anche in sede europea, spiegando che non siamo in economia di mercato ma in economia di guerra, quindi il price cap, che abbiamo chiesto e che l’Ue si è impegnata a presentare una proposta a settembre, diventerebbe un normalizzatore importante“.

mario draghi

Dl Aiuti, verso Cdm domani. Oggi Draghi vede sindacati

Il passaggio tecnico è fatto, ora inizia il countdown per il nuovo decreto Aiuti. Dopo il via libera in Cdm alla Relazione per il Parlamento, che aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica e il relativo piano di rientro (che sarà presentata alle Camere per l’autorizzazione), la strada è spianata per portare in Consiglio dei ministri il testo entro la fine di questa settimana, o al massimo la prossima. Sarà una boccata d’ossigeno per famiglie e filiere produttive, schiacciate dal caro bollette, ma non proprio quello che Mario Draghi sperava di portare a casa: in sostanza, sarà una proroga fino al 31 dicembre delle misure già varate in questi mesi. Compreso il taglio di 30 centesimi alle accise sui carburanti, oltre a una prima tranche di interventi per mitigare i danni causati dalla siccità.

Il quadro è molto più chiaro dopo il primo ciclo di incontri voluti dal premier, che a Palazzo Chigi riceve i vertici di Coldiretti, Confagricoltura, Confartigianato, Cna, Confimi, Casartigiani e Confapi, assieme a una parte dei suoi ministri, Daniele Franco (Economia), Giancarlo Giorgetti (Mise), Andrea Orlando (Lavoro), Renato Brunetta (Pa), Stefano Patuanelli (Mipaaf), oltre al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli.

Draghi ribadisce la volontà di “coinvolgere tutti” in questa fase di emergenza, per fronteggiare la flessione dell’economia e in vista di una stagione autunnale che si prevede molto complessa. “Le attività del governo non si fermano” – è stato il ragionamento dell’ex Bce -, perché l’Esecutivo “ha ancora tanto da fare“, sebbene nel perimetro delle funzioni che gli competono in questa fase. Un atteggiamento molto apprezzato dai rappresentanti delle associazioni datoriali del comparto agricolo e artigianato. “L’aumento dei costi energetici impatta drammaticamente sulla vita dei nostri imprenditori, il credito di imposta diventa una misura di fondamentale importanza“, spiega il numero uno di Coldiretti, Ettore Prandini, all’uscita da Palazzo Chigi. Il presidente dei coltivatori diretti chiede che in materia di rinnovabili si arrivi “realmente ad avere i decreti attuativi per gli impianti di biogas e biometano” ma anche per il fotovoltaico “che serve alle imprese agricole“.

L’energia è centrale nei colloqui. “In questo momento è il ‘Covid’ della manifattura“, alza il tiro Maurizio Casasco, presidente di Confapi. Mentre punta sulla “necessità di abbattere il costo per la parte della produzione, considerando l’agricoltura al pari della grande industria alimentare, con gli stessi benefici per quello che riguarda gli oneri fiscali sul costo energetico“, il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. Che mette sul piatto un’altra richiesta: “Le aziende agricole hanno bisogno di avere sempre di più manodopera“, dunque serve mettere mano al “cuneo fiscale e la decontribuzione a favore delle imprese che stabilizzano i dipendenti“, oltre agli interventi “sul costo degli alimentari per consumatori“, quest’ultimo, se possibile, “velocemente“. In realtà la scelta se azzerare l’Iva sui beni di prima necessità, come pane e pasta, e ridurla al 5% per carne e pesce, è ancora al vaglio dei tecnici.

Il decreto che vedrà la luce nelle prossime ore, invece, riparerà di sicuro all’errore sulla norma del de minimis: “Verrà modificato al prossimo Cdm“, assicura il presidente di Confimi, Paolo Agnelli, riportando le informazioni ricevute direttamente da Palazzo Chigi. Draghi, del resto, con i suoi interlocutori garantisce l’impegno del governo a rispondere in modo positivo ai molti punti sollevati dalle associazioni. Non prima di aver completato il giro. Stamattina, infatti, riceverà Cgil, Cisl e Uil, anche se difficilmente potrà portare avanti i propositi esposti a Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri nell’incontro della settimana scorsa: la crisi che ha portato allo scioglimento delle Camere e l’avvio delle procedure per il voto anticipato non permette di andare oltre un certo limite su salario minimo e taglio del cuneo fiscale. Alle 15.30, infine, vedrà Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione, Alleanza cooperative, Federterziario, Confservizi, Confetra e in agenda c’è anche il confronto con Ania e Abi. Dopodiché il testo arriverà in Consiglio dei ministri. Con la speranza – del premier – di convogliare almeno questa volta la responsabilità di tutte (o quasi) le forze politiche. Nonostante la crisi e la campagna elettorale.