Cina impone dazi provvisori su import carne suina da Ue. Bruxelles: “Non ci risulta dumping”

La Cina ha annunciato l’imposizione di dazi antidumping provvisori sulle importazioni di carne suina dall’Unione Europea come ultimo atto delle tensioni commerciali e politiche tra le due potenze economiche. In risposta, la Commissione Europea adotterà “tutte le misure necessarie per difendere i suoi produttori e fabbricanti”, ha fatto sapere un portavoce. Le relazioni diplomatiche tra Pechino e Bruxelles sono difficili da anni, aggravate dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, dato che il gigante asiatico è un partner economico e diplomatico chiave di Mosca.

Con grande irritazione degli europei, infatti, Pechino non ha mai condannato la guerra in Ucraina, nonostante la Cina si presenta ufficialmente come parte neutrale e potenziale mediatore nel conflitto. Ma gli alleati di Kiev accusano Pechino di aiutare Mosca ad aggirare le sanzioni occidentali, in particolare consentendole di acquisire i componenti tecnologici necessari per la sua produzione di armi. La controversia commerciale tra Pechino e Bruxelles è scoppiata la scorsa estate, quando l’Ue ha imposto pesanti dazi sui veicoli elettrici di fabbricazione cinese, accusando i sussidi statali cinesi di distorcere la concorrenza. La Cina ha respinto queste accuse e, in risposta, nel giugno 2024 ha avviato indagini, ampiamente considerate misure di ritorsione, contro carne di maiale, cognac e prodotti lattiero-caseari importati dall’Ue. “L’autorità inquirente ha stabilito in via preliminare che le importazioni di carne suina e derivati ​​dall’Unione Europea sono oggetto di dumping”, ha annunciato oggi il Ministero del Commercio cinese. L’industria cinese “ha subito un danno significativo”, ha aggiunto. Le autorità di Pechino hanno quindi deciso di attuare “misure antidumping provvisorie sotto forma di cauzioni” da depositare presso la dogana.

Questi dazi, che vanno dal 15,6% al 62,4%, entreranno in vigore il 10 settembre. Tuttavia, le misure annunciate rimangono “provvisorie” perché si prevede che l’indagine del Ministero del Commercio continui fino a dicembre. Per quella data si attendono i risultati definitivi. “Prendiamo atto di questa decisione della Cina. Come sempre, dovremo esaminare i dettagli in modo analitico prima di decidere i prossimi passi”, ha dichiarato Olof Gill, portavoce della Commissione europea. La Commissione, ha spiegato, ha seguito questi procedimenti “in modo completo e molto attento in tutte le fasi, in piena collaborazione con i nostri produttori esportatori dell’Ue e le autorità dei nostri Stati membri. Secondo la nostra valutazione, questa indagine si basava su accuse discutibili e prove insufficienti e quindi non era in linea con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio per l’avvio di un’indagine”. Quindi, ora, “studieremo i dettagli, decideremo i prossimi passi, ma posso assicurarvi categoricamente che adotteremo tutte le misure necessarie per difendere i nostri produttori e la nostra industria“. La Cina è il maggiore consumatore mondiale di carne di maiale, una carne ampiamente utilizzata nella cucina locale. Ad esempio, lo scorso anno ha importato prodotti a base di carne di maiale dalla Spagna, uno dei principali produttori europei, secondo dati diffusi dalla dogana cinese. “Questa è una pessima notizia per l’industria suina nel suo complesso, e non solo per le esportazioni, perché avrà sicuramente un impatto al ribasso sui prezzi alla produzione in Europa”, ha dichiarato Thierry Meyer, vicepresidente di Inaporc, l’associazione francese dell’industria suinicola. “Non si sono mai verificate pratiche di dumping europee in Cina, perché se vengono vendute lì è perché i prezzi sono buoni. Questa indagine è nata in seguito alla questione delle tasse sulle auto elettriche“, ha aggiunto.

Ucraina, Macron: “Sostegno militare da 26 Paesi, anche Italia”. Meloni: “Non invieremo truppe”

Ventisei Paesi si impegnano a sostenere militarmente l’Ucraina, “via terra, mare o aria“, dopo un cessate il fuoco con la Russia. Ma ognuno con modalità proprie: “Il loro contributo andrà dalla rigenerazione dell’esercito ucraino, al dispiegamento di truppe o la messa a disposizione di basi”, spiega Emmanuel Macron dopo il vertice dei volenterosi di Parigi.

L’inquilino dell’Eliseo non entra nei dettagli per non dare vantaggi a Mosca, ma precisa che Italia, Polonia e Germania sono tra i 26. “L’Italia è indisponibile a inviare soldati in Ucraina“, si affretta a precisare Giorgia Meloni in una nota, confermando però l’apertura a supportare un eventuale cessate il fuoco con “iniziative di monitoraggio e formazione al di fuori dei confini ucraini”. La premier, collegata con Parigi in videoconferenza, rilancia la proposta di un meccanismo difensivo di sicurezza collettiva ispirato all’articolo 5 del Trattato di Washington, come “elemento qualificante” della componente politica delle garanzie di sicurezza. Per Meloni una pace giusta e duratura può essere solo raggiunta con un approccio che unisca il continuo sostegno all’Ucraina, il perseguimento di una cessazione e il “mantenimento della pressione collettiva sulla Russia“. Anche attraverso le sanzioni, e “solide e credibili garanzie di sicurezza”, da definire in “uno spirito di condivisione tra le due sponde dell’Atlantico“, mette in chiaro.

Il nodo resta infatti il contributo degli Stati Uniti alle garanzie. Che ci sarà, assicura Macron, ma verrà definito nei prossimi giorni. Del sostegno o “backstop” americano si è parlato nella videoconferenza con Trump dopo il vertice, alla quale ha partecipato in parte anche il suo inviato speciale Steve Witkoff, presente all’Eliseo. La speranza degli europei è che Washington contribuisca in “modo sostanziale”, riferisce il portavoce del cancelliere tedesco Friedrich Merz. Di certo, Trump spinge l’Europa a interrompere l’acquisto di petrolio russo, che a suo dire aiuterebbe Mosca a proseguire la guerra. E’ “molto scontento che l’Europa acquisti petrolio russo”, ribadisce in conferenza stampa il presidente ucraino Volodomyr Zelensky, dopo il collegamento del Tycoon con il vertice, citando in particolare Slovacchia e Ungheria

. In base ai piani dei volenterosi, di cui Macron rifiuta di specificare i contributi paese per paese, il giorno in cui il conflitto cesserà “saranno messe in atto le garanzie di sicurezza”, fa sapere il presidente, sia attraverso un “cessate il fuoco”, un “armistizio” o un “trattato di pace”. Intanto, se Mosca non accetterà la pace, l’Europa adotterà nuove sanzioni “in collaborazione con gli Stati Uniti” e misure punitive contro i paesi che “sostengono” l’economia russa o aiutano la Russia ad “aggirare le sanzioni”. La Cina è nel mirino.

Gli europei chiedono sanzioni americane da mesi, finora senza successo. Trump, dicendosi “molto deluso” da Putin, aveva avvertito nei giorni scorsi che “succederà qualcosa” se Mosca non risponderà alle sue aspettative di pace. La Russia ribadisce che non accetterà alcun “intervento straniero di qualsiasi tipo”, con la portavoce della diplomazia russa Maria Zakharova che definisce le protezioni richieste da Kiev “garanzie di pericolo per il continente europeo”. “Non spetta a loro decidere”, replica Mark Rutte a nome della Nato. Quella di oggi è stata una “riunione cruciale“, rimarca la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che sull’importanza del dossier non ha dubbi: “Sappiamo tutti che la posta in gioco è il futuro e la sicurezza dell’intero continente”.

Via libera dell’Ue all’accordo con il Mercosur: rafforzate clausole di salvaguardia

Via libera da parte della Commissione europea all’accordo di partenariato Ue-Mercosur e all’accordo globale modernizzato Ue-Messico. Ora, dopo l’adozione da parte del collegio dei commissari, il trattato di libero scambio dovrà essere sottoposto agli Stati membri e ai deputati europei. L’obiettivo, come spiega il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, è quello di arrivare a un accordo tra i 27 entro la fine dell’anno, cioè finché il presidente brasiliano Lula ricoprirà la presidenza di turno del Mercosur.

L’intesa (“La più grande zona di libero scambio al mondo, che coprirà un mercato di oltre 700 milioni di consumatori”, per l’esecutivo Ue) rappresenta per Bruxelles un’opportunità per l’export e per l’occupazione. Il commercio bilaterale Ue-Mercosur oggi vale 112 miliardi di euro e oltre 30mila piccole e medie imprese europee esportano verso Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay. Con l’entrata in vigore dell’accordo, dice Sefcovic, “prevediamo che le esportazioni cresceranno del 39% arrivando a 50 miliardi di euro e un guadagno in termini di Pil di 77,6 miliardi di euro entro il 2040 per l’Ue”. Oltre 440mila i posti di lavoro che dovrebbero essere garantiti.

Notevoli i risparmi anche sul fronte delle imposte doganali. Per la Commissione, l’accordo ridurrà i dazi “spesso proibitivi” del Mercosur sulle esportazioni dell’Ue, compresi quelli sui prodotti industriali chiave, come le automobili (attualmente al 35%), i macchinari (14-20%) e i prodotti farmaceutici (fino al 14%). E con il Mercosur si punta anche ad aumentare del 50% le esportazioni agroalimentari europee, dal momento che si riducono “le elevate tariffe sui principali prodotti”, in particolare vino e alcolici (fino al 35%), cioccolato (20%) e olio d’oliva (10%)”. Le imprese europee e il settore agroalimentare dell’Unione “trarranno immediatamente vantaggio dalla riduzione delle tariffe doganali e dei costi, contribuendo alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro”, precisa la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Anche l’accordo modernizzato tra l’Ue e il Messico punta a “cancellare i dazi proibitivi” ancora in vigore sull’export europeo. Complessivamente, spiega Sefcovic, saranno eliminate imposte doganali per un valore di 100 milioni di euro all’anno.

Uno dei punti più contestati nei mesi scorsi e sul quale ancora oggi persistono delle riserve – a cominciare dalla Polonia – è quello relativo alle clausole di salvaguardia, sulle quali la Francia ha guidato una ‘rivolta’ all’interno dei Ventisette. Il timore era che facilitare l’ingresso in Ue di prodotti come carne bovina, pollame, zucchero, etanolo, riso o miele potesse indebolire alcuni settori agricoli europei. Ecco perché Parigi – e molti altri Stati membri – hanno chiesto alla Commissione di rafforzare le tutele e, dopo mesi di negoziati, Bruxelles ha annunciato misure di protezione aggiuntive su “prodotti agricoli sensibili”.

In primo luogo, spiega l’esecutivo europeo, l’intesa limita le importazioni preferenziali di prodotti agroalimentari dal Mercosur a una frazione della produzione dell’Ue (ad esempio, l’1,5% per le carni bovine e l’1,3% per il pollame). In secondo luogo, “istituisce solide misure di salvaguardia che proteggono i prodotti europei sensibili da qualsiasi aumento dannoso delle importazioni dal Mercosur”. In questo senso, la Commissione propone di integrare l’accordo con un atto giuridico che renda operativo il capitolo sulle misure di salvaguardia bilaterali del partenariato. Questo atto, che dovrà essere adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio, “mira in particolare a proteggere i settori agricoli cruciali e più sensibili dell’Ue, riconoscendo le preoccupazioni degli agricoltori europei”.

“So che sussistono delle preoccupazioni, soprattutto dal mondo degli agricoltori, ma abbiamo prestato ascolto a tutti”, assicura Sefcovic. L’accordo, dice il vicepresidente esecutivo della Commissione, Raffaele Fitto “sarà accompagnato da misure concrete: controlli e verifiche rafforzati nei Paesi partner, standard di sicurezza alimentare più rigorosi e ulteriori strumenti a tutela dei nostri standard ambientali e sociali”. Ma non solo. “Se ci fossero delle turbolenze nel mercato, proponiamo 6,3 miliardi di euro provenienti dalla rete di sicurezza nell’ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale che sosterrà il settore agricolo”, precisa Sefcovic.

Difesa, nel 2024 spesa a 343 miliardi di euro in Ue: è record. E nel 2025 crescerà ancora

Nel 2024, la spesa totale per la Difesa dei 27 Stati membri dell’Ue ha raggiunto i 343 miliardi di euro, con un aumento del 19% rispetto al 2023, portandola all’1,9% del Pil. E’ quanto emerge dal report ‘Defence data 2024-2025’ della European Defence Agency (Eda). I dati stimati suggeriscono che nel 2025 gli Stati membri potrebbero superare la soglia del 2% fissata dalla Nato, raggiungendo i 392 miliardi di euro (a prezzi correnti, 381 miliardi di euro a prezzi costanti del 2024) o il 2,1% del Pil. Gli investimenti, spiega l’agenzia, hanno raggiunto un livello “record” nel 2024, superando per la prima volta la soglia dei 100 miliardi di euro e raggiungendo i 106 miliardi di euro. Hanno rappresentato il 31% della spesa totale per la difesa, la quota più elevata registrata dall’Eda dall’inizio della raccolta dei dati. Si prevede che la tendenza continuerà nel 2025, portando la spesa per gli investimenti nella Difesa a circa 130 miliardi di euro. “L’Europa sta spendendo somme record per la sua difesa, per garantire la sicurezza dei nostri cittadini, e non ci fermeremo qui”, spiega la responsabile della diplomazia dell’Unione europea Kaja Kallas, che presiede l’Eda.

I paesi europei hanno aumentato notevolmente le loro spese militari dall’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e, ancora di più, dopo l’invasione dell’Ucraina lanciata dal Cremlino nel febbraio 2022. I paesi della Nato, di cui fanno parte anche 23 Stati dell’Ue, hanno inoltre deciso di intensificare ulteriormente i loro sforzi, destinando almeno il 5% del loro prodotto interno lordo alla sicurezza nei prossimi dieci anni, di cui il 3,5% a spese strettamente militari. Per raggiungere quest’ultimo obiettivo “sarà necessario raddoppiare gli sforzi e spendere in totale più di 630 miliardi di euro all’anno” nell’Ue, dice André Denk, direttore dell’Eda.

Come negli anni precedenti, anche nel 2024 la spesa per l’acquisto di attrezzature di difesa è stata il principale motore dell’aumento degli investimenti complessivi nel settore, con 88 miliardi di euro, registrando una crescita record del 39% rispetto al 2023.  La spesa per la ricerca e lo sviluppo (R&S) è aumentata del 20% e ha raggiunto i 13 miliardi di euro nel 2024, segnando un forte aumento della crescita. Nel 2025 si prevede un ulteriore aumento della spesa, che raggiungerà i 17 miliardi di euro.

Le spese per la ricerca e la tecnologia sono salite a 5 miliardi di euro nel 2024. Si tratta di un forte aumento del 27% rispetto al 2023 e rappresenta il terzo più consistente registrato dall’Agenzia, dopo una crescita del 46% nel 2020 e del 41% nel 2021. Si prevede che questa tendenza porterà la spesa per la R&T a 6 miliardi di euro nel 2025. L’Eda osserva che l’aumento della spesa per la Difesa, insieme alla quota relativamente modesta degli sforzi di collaborazione nella spesa degli Stati membri, “evidenzia l’opportunità unica di sfruttare appieno le possibilità di collaborazione, avvalendosi delle possibilità di finanziamento dell’UE e migliorando così l’efficienza della spesa e l’interoperabilità dei sistemi d’arma nei paesi europei”.

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Metsola sprona Ue: “Siamo leader, non follower. Cambiamo o saremo irrilevanti”

Essere leader e non follower. Dal palco del Meeting di Rimini, Roberta Metsola sprona l’Europa a essere protagonista in un mondo che è in continua evoluzione. Gli Stati Uniti sono “più complicati di un tempo”, osserva, e la guerra in Ucraina ha messo in luce la dipendenza del Vecchio continente dalla Russia. La “terribile situazione” a Gaza ha mostrato a una nuova generazione “quanto abbiamo bisogno di un’Europa più forte che promuove la pace”.

La presidente dell’europarlamento cita Mario Draghi per ricordare che la forza economica e il soft power non bastano più a garantire che l’Europa resti un leader globale. “Lo status quo significa arrendersi, significa lasciare l’Europa ai margini“, ribadisce, invitando ad avere il coraggio di “prendere le decisioni”, per non cadere in una “lenta e dolorosa spirale verso l’irrilevanza“.

Bisogna quindi porsi domande difficili: “Vogliamo essere in grado di difenderci? Vogliamo davvero integrare i nostri mercati e sbloccare il grande potenziale che conosciamo? Vogliamo sostenere le nostre imprese e nostri imprenditori? Vogliamo garantire il nostro modello di libera impresa e di reti di protezioni sociali?”.

Il primo passo per non essere irrilevanti è creare le condizioni per una crescita stabile e sostenibile, “semplificando le regole, rafforzando il mercato unico e sviluppando il commercio”, la ricetta della presidente. Sulla semplificazione, Bruxelles fa progressi, ma ammette: “Sappiamo che approvare 13.000 provvedimenti legislativi nella scorsa legislatura contro i solo 3.000 negli Stati Uniti frenerebbe chiunque dal poter guidare la strada verso il futuro”.

Meno moralismo e più azione è il suggerimento: “In Europa le industrie sostengono milioni di posti di lavoro”, ricorda Metsola, rimarcando che bisogna “sostenerle, non ostacolarle”. In definitiva il principio è semplice: “Dove possiamo semplificare dobbiamo farlo, dove occorre correggerci e adattarci alle nuove realtà dobbiamo farlo. Questa è la direzione che stiamo dando al nostro lavoro”.

Sul lavoro fatto finora in Ucraina, la presidente non ha dubbi: “Kiev non sarebbe libera senza il sostegno europeo“. Ringrazia Meloni e Tajani per il “contributo determinante dell’Italia nel difendere i valori europei” e insiste: “Abbiamo sempre spinto per la pace, una vera pace che nasce dalla capacità dell’Ucraina di restare forte, dobbiamo continuare a spiegare perché il nostro sostegno all’Ucraina è così determinato e questo perché non è solo altruismo, è l’aspirazione dell’Europa a vivere libera, un principio che non dimenticheremo mai“.

Avanti quindi sulle “vere” garanzie di sicurezza: “Vogliamo una pace duratura, che mantenga tutti noi al sicuro, che si fondi sul principio del ‘niente sull’Ucraina senza l’Ucraina‘”. E perché ciò accada, scandisce, “nulla sull’Europa può essere deciso senza l’Europa”.

Dazi, definita intesa Usa-Ue: 15% su auto e farmaci. Nessuna esenzione sul vino

Oltre 10 viaggi transatlantici, 120-130 ore di colloqui, per “l’accordo migliore che potevamo sperare”. Il commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, annuncia in conferenza stampa la pubblicazione della dichiarazione congiunta Ue-Usa sugli accordi commerciali reciproci, a meno di un mese dall’intesa raggiunta in Scozia il 27 luglio tra la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

Un documento che definisce un quadro “equo, equilibrato e reciprocamente vantaggioso”. L’obiettivo è chiaro: consolidare le relazioni “e contribuire – dice Sefcovic – alla reindustrializzazione su entrambe le sponde dell’Atlantico. Vogliamo liberare appieno il potenziale della nostra forza economica combinata”. Von der Leyen ricorda che “di fronte a una situazione difficile, abbiamo mantenuto gli impegni assunti nei confronti dei nostri Stati membri e dell’industria e abbiamo ripristinato la chiarezza e la coerenza nel commercio transatlantico”.

Per Bruxelles, insomma, il risultato è positivo perché il limite tariffario globale del 15% per l’Unione europea è “l’accordo commerciale più favorevole che gli Stati Uniti abbiano mai concesso a un partner”, dice il Commissario, anche perché “l’alternativa, una guerra commerciale con dazi altissimi e un’escalation politica, non giova a nessuno. Danneggia l’occupazione, la crescita e le imprese sia nell’Ue che negli Stati Uniti. E non si tratta di una teoria, poiché sarebbero a rischio quasi 5 milioni di posti di lavoro in Europa, molti dei quali nelle Pmi. Questo accordo evita questa strada”. Soddisfatta anche la controparte. Per il segretario Usa al Commercio, Howard Lutnick, l’accordo ha permesso all’agenda commerciale statunitense di ottenere “una vittoria importante per i lavoratori americani, le industrie statunitensi e la nostra sicurezza nazionale. “Dazi” dovrebbe essere una delle parole preferite dell’America”, aggiunge.

Per il governo italiano anche se “non si tratta ancora di un punto di arrivo ideale o finale”, l’intesa ha permesso di raggiungere “alcuni punti fermi importanti a partire dall’aver evitato una guerra commerciale e dall’aver posto le basi per relazioni commerciali mutualmente vantaggiose”.

E un’ampia gamma di settori, tra cui industrie strategiche come l’automobile, i prodotti farmaceutici, i semiconduttori e il legname, beneficeranno di questo limite massimo. Ma per Business Europe, l’associazione imprenditoriale europea, questo non dovrebbe essere il risultato finale, perché l’impatto sulla competitività delle imprese Ue “sarà comunque negativo” e per questo bisogna “raddoppiare gli sforzi” riducendo “gli oneri normativi e il costo dell’energia e portando avanti il ​​suo programma di diversificazione commerciale”. Per quanto riguarda le auto – ora soggette a un dazio del 27,5% – la nuova imposta dovrebbe entrare in vigore retroattivamente dal 1° agosto perché, spiega Sefcovic.

Nessuna esenzione, invece, per il vino, i distillati e la birra su cui “stiamo lavorando da quando abbiamo avviato i negoziati”, con gli Usa, cioè da febbraio. Purtroppo, ammette Sefcovic, “non siamo riusciti” a inserirli nell’accordo, “ma le porte non sono chiuse, perché entrambe le parti hanno concordato di valutare altri settori in futuro, e questi sono una nostra priorità”. Per l’Unione Italiana Vini, si tratta sostanzialmente di una sconfitta perché il danno stimato per le imprese è di circa 317 milioni di euro cumulati nei prossimi 12 mesi, mentre per i partner commerciali d’oltreoceano il mancato guadagno salirà fino a quasi 1,7 miliardi di dollari.

Numerosi gli impegni presi dall’Ue. L’accordo prevede anche una forte cooperazione energetica, nell’ambito della quale l’Ue acquisterà gas naturale liquefatto, petrolio e prodotti energetici nucleari dagli Stati Uniti, con un volume di acquisti previsto di 750 miliardi di dollari entro il 2028. Bruxelles, inoltre, acquisterà chip di intelligenza artificiale statunitensi per un valore di almeno 40 miliardi di dollari per i suoi centri di calcolo. Ma non solo. Le aziende europee investiranno ulteriori 600 miliardi di dollari in settori strategici negli Stati Uniti entro il 2028.

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Ue, accordo tecnico Italia-Germania: No solo elettrico per decarbonizzare flotte aziende

Un “punto di svolta” in Europa. Così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, saluta l’intesa tra il Mimit e il Bmwe, il ministero tedesco per gli Affari Economici e l’Energia, sull’iniziativa della Commissione Europea per la decarbonizzazione delle flotte aziendali. Si tratta, per Palazzo Piacentini, di un “passo avanti decisivo“, successivo all’incontro che si è svolto a Berlino lo scorso 21 luglio tra Urso e l’omologa tedesca Katherina Reiche.

I due Paesi chiedono all’Europa una linea d’azione flessibile ed equilibrata, fondata sulla neutralità tecnologica, insieme a incentivi e strumenti che facilitino il processo di transizione.

Con questa intesa ribadiamo il nostro impegno per una transizione sostenibile che favorisca l’innovazione e la competitività dell’industria europea. Si tratta di una svolta storica in Europa: abbiamo il dovere di sostenere misure efficaci e flessibili, capaci di accompagnare le imprese nel percorso verso la decarbonizzazione, senza gravare con regolamentazioni rigide e penalizzanti. Con il Bmwe lavoriamo insieme per guidare questa trasformazione, ponendo la neutralità tecnologica e la sostenibilità al centro del futuro della mobilità europea”, spiega Urso. Qualsiasi misura o strumento proposto dovrebbe, sulla base dell’approccio condiviso tra i due Ministeri, promuovere o sostenere la transizione verso veicoli a basse emissioni nelle flotte aziendali, non limitandosi solo ai veicoli elettrici. Occorre quindi un approccio tecnologicamente neutrale nel computare l’intensità delle emissioni di CO2, che consideri la resilienza e la competitività dell’UE, garantendo che l’efficienza economica, la concorrenza e la trasparenza rimangano obiettivi centrali. I Ministeri dei due Paesi, inoltre, suggeriscono che tale approccio possa essere preso in considerazione per tutti i tipi di flotte: autovetture, veicoli commerciali leggeri e veicoli pesanti.

Per il senatore di Fratelli d’Italia Gianpietro Maffoni, della commissione Industria, quello siglato tra Italia e Germania non è solo un accordo tecnico, ma un “chiaro segnale politico”: “Con questa intesa si afferma una visione comune che rimette al centro la sovranità industriale europea e la necessità di una transizione green sostenibile anche dal punto di vista economico”, afferma, definendolo un “passo avanti che potrebbe segnare una nuova fase nei rapporti di forza all’interno dell’Unione, dove l’interesse strategico dell’Europa deve prevalere sulle forzature ideologiche di Bruxelles”.

Di “svolta strategica che può cambiare gli equilibri a Bruxelles e restituire all’Europa una politica industriale all’altezza delle sue ambizioni” parla Silvio Giovine, deputato di Fratelli d’Italia in commissione Attività Produttive alla Camera. “Finalmente due grandi potenze industriali come Italia e Germania parlano con una voce sola, chiedendo all’Unione Europea una transizione ecologica realistica, che non distrugga il tessuto produttivo ma lo accompagni verso il futuro”, commenta Giovine, per cui neutralità tecnologica e flessibilità normativa sono “le chiavi per difendere la competitività del nostro sistema industriale, evitando imposizioni ideologiche che avvantaggiano solo alcuni player globali a scapito delle nostre imprese”.

Trump (per ora) vince e Pichetto riavvolge il nastro: Ci fosse Kamala…

L’Europa è spaccata, il Parlamento è spaccato, nel mondo delle imprese non tutti sono uniti. L’effetto Trump, al riparo dalla reazioni di pancia sui dazi imposti al 15%, è questo. Ed è anche piuttosto preoccupante. Germania e Italia sono considerati i Paesi più ‘deboli’ di fronte alle minacce del Tycoon americano, da più parti si chiedono le dimissioni della presidente Ursula von der Leyen, qualcuno (Renzi) azzarda addirittura dell’intera Commissione, il commissario Sefcovic viene considerato un lacchè, né più né meno del segretario della Nato Rutte, prono di fronte al presidente americano quando il tavolo negoziale era quello della Difesa. E si potrebbe continuare così, perché ci sono reazioni di tutti i tipi all’intesa raggiunta nella club house di un campo da golf (esclusivo) in Scozia, tra chi dice che poteva andare molto peggio e chi sostiene che si poteva fare molto meglio usando il famigerato bazooka contro il capo della casa Bianca. Su tutte le riflessioni ne enucleiamo una: quella di Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energia. “Avesse vinto Kamala Harris forse questo problema non lo avremmo avuto”.

La riflessione di Pichetto è banale e geniale al tempo stesso e, di rimbalzo, attribuisce a Trump una valenza superiore ai dazi al 15%. E’ vero che se si ascoltano i pareri di illuminati economisti la tassazione coatta si ritorcerà contro l’economia americani e gli americani medesimi, però la realtà dei fatti, al momento, è che il presidente Usa con il suo comportamento indecifrabile, con la sua capacità strategica di cambiare idea dalla sera alla mattina, ha messo in ginocchio più di un Paese. Allargando il concetto, addirittura un continente, quello europeo, vittima delle proprie debolezze e soffocato dalla mania di regolamentare tutto, anche l’irregolamentabile. Così, mentre tra Bruxelles e Strasburgo ci si parla addosso , a Washington si finge di essere matti per ottenere qualcosa di più e di diverso dal passato.

Tornando a Pichetto, non è scritto da nessuna parte che con la signora Harris sarebbe andata più morbida, però è un dato di fatto che la presidentessa si sarebbe mossa con andamento più felpato e non avrebbe squassato la quiete di molti dormienti (Canada, Giappone, Europa) con dichiarazioni e minacce che qualcuno ha accostato ai bulli di periferia, però è fuori discussione che Trump ha messo a segno il primo colpo, anche se (forse) la lotta è ancora lunga.

Alleanza Ue-Cina sul clima: “Dimostriamo insieme leadership per guidare la transizione giusta”

Il verde è il colore delle relazioni tra Unione europea e Cina e le due parti mirano a guidare gli sforzi globali su clima e ambiente in nome di una transizione giusta. Al vertice a Pechino, i leader asiatici ed europei hanno rilasciato – in occasione del 50esimo anniversario dell’instaurazione delle loro relazioni e del decimo anniversario dell’adozione dell’Accordo di Parigi – una dichiarazione congiunta sulla via da seguire. Bruxelles e Pechino riconoscono che “nell’attuale situazione internazionale fluida e turbolenta, è fondamentale che tutti i Paesi, in particolare le principali economie, mantengano la continuità e la stabilità delle politiche e intensifichino gli sforzi per affrontare il cambiamento climatico”.

In questo contesto, “riconoscono che il rafforzamento della cooperazione Cina-Ue in materia di cambiamento climatico influisce sul benessere dei popoli di entrambe le parti ed è di grande e speciale importanza per il sostegno del multilateralismo e il progresso della governance climatica globale” e sottolineano che la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) e l’Accordo di Parigi sono “la pietra angolare della cooperazione internazionale in materia di clima”. Cina e Ue evidenziano che “tutte le parti dovrebbero aderire al principio di responsabilità comuni ma differenziate e rispettive capacità” e attuare l’Unfccc e l’Accordo di Parigi “in modo completo, in buona fede ed efficace”. E mentre gli Stati Uniti d’America abbandonano il tema e l’impegno, Ue e Cina sottolineano che quella verde “è una parte importante” del loro partenariato, tanto che “il verde è il colore caratterizzante della cooperazione Cina-Ue” e “le due parti dispongono di solide basi e di un ampio spazio di cooperazione nel campo della transizione verde”. Dunque, non solo non gettano la spugna, ma Pechino e Bruxelles rilanciano e vogliono “dimostrare insieme la propria leadership per guidare una transizione globale giusta nel contesto dello sviluppo sostenibile e dell’eradicazione della povertà”.

In quest’ottica, nella dichiarazione congiunta spiegano di impegnarsi a “sostenere il ruolo centrale dell’Unfccc e dell’Accordo di Parigi e attuarne pienamente e fedelmente gli obiettivi e i principi”; a “rafforzare le azioni orientate ai risultati e trasformare i rispettivi obiettivi climatici in risultati tangibili attraverso politiche sistematiche e azioni e misure concrete” e a “collaborare con tutte le parti per sostenere il Brasile nell’organizzazione di una 30esima Conferenza delle Parti dell’Unfccc (Cop30) di successo e promuovere risultati ambiziosi, equi, equilibrati e inclusivi della conferenza”.

Pechino e Bruxelles si adopereranno per “accelerare la diffusione globale delle energie rinnovabili e facilitare l’accesso a tecnologie e prodotti verdi di qualità, in modo che siano disponibili, accessibili e vantaggiosi per tutti i Paesi, compresi i paesi in via di sviluppo” e per “rafforzare gli sforzi di adattamento e il supporto, al fine di accelerare un’azione rapida su larga scala e a tutti i livelli, da quello locale a quello globale”. Inoltre, le due parti mirano a “presentare prima della Cop30 i rispettivi Ndc (Contributi Nazionali per il 2035) che coprano tutti i settori economici e tutti i gas serra e siano in linea con l’obiettivo di temperatura a lungo termine dell’Accordo di Parigi” e a “rafforzare la cooperazione bilaterale in settori quali la transizione energetica, l’adattamento, la gestione e il controllo delle emissioni di metano, i mercati del carbonio e le tecnologie verdi e a basse emissioni di carbonio, per guidare insieme i rispettivi processi di transizione verde e a basse emissioni di carbonio”.

Insomma, per quanto la relazione commerciale dell’Unione con il colosso asiatico sia complessa e, come ha commentato il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, “non sostenibile” perché “sempre più unilaterale”, quella in materia ambientale e climatica mira a diventare punto di riferimento globale. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha definito “eccellente” la cooperazione dell’Ue con la Cina sul clima. “Abbiamo un intenso dialogo su come utilizzare al meglio i nostri sistemi di scambio di quote di emissione, ad esempio. Abbiamo un interesse comune nel promuovere l’economia circolare, per trasformare i rifiuti in un tesoro. E vorremmo anche collaborare con voi per il successo della Cop30 in Brasile. Unire le forze in questa sede manderà un messaggio forte al mondo”, ha affermato nella riunione con il premier cinese, Li Qiang.

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Dazi, Ue verso intesa al 15% con Usa. Ma Paesi preparano contromisure e guardano a bazooka

Dopo il Giappone, anche l’Unione europea va verso il 15% nella trattativa con gli Stati Uniti d’America sui dazi commerciali e la partita starebbe per chiudersi. Intanto, a Bruxelles, a quanto si apprende da fonti diplomatiche Ue, la situazione attuale sul tavolo prevede una percentuale base del 15% – inclusa la clausola di Nazione più favorita (Npf) che corrisponde a una media del 4,8% per gli scambi commerciali tra Ue e Usa – con alcune esenzioni ancora da definire. L’Ue potrebbe a sua volta ridurre i suoi dazi a livello di Npf, dunque al 4,8%, o allo 0% per alcuni prodotti nell’ambito dell’accordo. “La decisione finale spetta al presidente Usa, Donald Trump”, spiegano le fonti.

Nel frattempo, rispetto alle contromisure che Bruxelles sta affilando, il portavoce della Commissione europea responsabile per il Commercio, Olof Gill, ha spiegato che l’esecutivo ha deciso di accorpare i due elenchi in uno solo, che resterebbe sospeso fino al 7 agosto: il primo, in risposta ai dazi Usa del 25% (poi saliti al 50%) su acciaio e alluminio, che colpisce 21 miliardi di euro di prodotti Usa e che è in stand-by; il secondo, in risposta alle imposte doganali reciproche, che mira a 72 miliardi di beni a stelle e strisce e che è in fase di definizione. Dunque, un totale di 93 miliardi di euro di prodotti statunitensi che verrebbero colpiti con tariffe fino al 30%, in risposta alla lettera con cui Trump ha annunciato la stessa percentuale sulle merci europee a partire dal primo agosto dazi.

“Sebbene la nostra priorità siano i negoziati, continuiamo parallelamente a prepararci a tutti gli esiti, comprese eventuali contromisure aggiuntive. Per rendere le nostre contromisure più chiare, semplici e più efficaci, uniremo le liste 1 e 2 in una unica che non entrerà in vigore prima del 07 agosto e la sottoporremo agli Stati membri per l’approvazione”, ha annunciato Gill. E proprio giovedì i Ventisette voteranno, nel comitato per le barriere commerciali dell’Ue – un organismo della comitologia Ue che prevede che la Commissione consulti i Paesi prima di adottare un atto di esecuzione – la lista unica di misure Ue da 93 miliardi di euro, “con dazi fino al 30%, in linea con quelli degli Stati Uniti”.

Il portavoce della Commissione ha comunque ribadito che “l’obiettivo principale dell’Ue è raggiungere un risultato negoziato con gli Stati Uniti” e che “sono in corso intensi contatti a livello tecnico e politico”, con il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, che nel pomeriggio di mercoledì ha avuto un confronto con il Segretario Usa al Commercio, Howard Lutnick, e con la Commissione che, in una riunione dei Ventisette ambasciatori dei Paesi membri (Coreper) ha informato gli Stati Ue sullo stato del percorso.

Ma i Paesi guardano anche al futuro e rispetto al possibile impiego dello Strumento Anti-Coercizione (Aci), ribattezzato ‘bazooka’, fonti diplomatiche registrano che “l’umore è cambiato” tra i Paesi membri, dopo la minaccia di Trump di dazi del 30%. Tanto che ora, in caso di mancato accordo, “sembra esserci un ampio voto a maggioranza qualificata per stabilire l’anticoercizione”. Su questo punto, la Commissione ha condiviso una scheda informativa sui passi da intraprendere in preparazione al processo Aci. Mentre, per ora, “solo la Francia ha chiesto l’immediata istituzione” dello strumento che permette di imporre restrizioni all’importazione e all’esportazione di beni e servizi, ma anche di diritti di proprietà intellettuale e investimenti esteri diretti. Inoltre, l’Aci consente l’imposizione di diverse restrizioni all’accesso al mercato dell’Ue, in particolare agli appalti pubblici, nonché all’immissione sul mercato di prodotti soggetti a norme chimiche e sanitarie.

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