Italia quinta in Ue su efficienza energetica, ma per target 2030 mancano 308 mld

L’Italia si posiziona al quinto posto in Europa per efficienza energetica, con un Energy Intensity Index (rapporto tra consumo lordo di energia e Pil) che nel 2024 è migliore del 16% rispetto alla media Ue e consumi residenziali pro capite ridotti dell’8% dall’anno prima. Una buona performance che però procede a ritmo insufficiente: rispetto al 2022, infatti, siamo scesi di una posizione, mentre altri Paesi come Germania, Francia e, in parte, Spagna tra il 2014 e il 2023 hanno risalito la graduatoria, riducendo il gap.

Quanto agli investimenti, nel 2024 sono stimati tra i 58 e i 66 miliardi di euro, decisamente meno dei 75-85 del 2023 e ancora per metà concentrati nel settore residenziale nonostante il calo dovuto alle modifiche al Superbonus. Invece, per allinearci pienamente agli obiettivi energetici dell’Unione Europea, nello scenario più ambizioso, dovremmo ridurre i consumi finali di energia a 93 Mtep entro il 2030 (target poco realistico con le sole misure attualmente previste o attuate) e portare gli investimenti addirittura a 308 miliardi di euro nel 2030.

Sono alcuni dei dati che emergono dall’Energy Efficiency Report 2025, redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano e presentato oggi in un proficuo dibattito con le aziende partner della ricerca. “Secondo le nostre stime, tra il 2024 e il 2030 gli investimenti cumulati in efficienza energetica dovrebbero superare i 240 miliardi di euro negli scenari che si prefissano gli obiettivi PNIEC ed UE – commenta Federico Frattini, vicedirettore di Energy&Strategy e Direttore scientifico del Report -: soprattutto nel settore residenziale, ma anche nel terziario, cosa che riflette il peso strategico del patrimonio edilizio nella riduzione dei consumi energetici. Questo, però, se verranno potenziate e rese stabili le misure incentivanti, che hanno dimostrato di essere determinanti nel guidare gli interventi: l’incertezza normativa finora ha rappresentato un ostacolo alla pianificazione di lungo periodo, mentre è fondamentale disporre di un quadro duraturo e coerente, capace di mobilitare capitali e accompagnare la transizione energetica nei diversi settori”.

“La ‘cassetta degli attrezzi’ di cui dispone l’Italia è ben fornita – aggiunge Vittorio Chiesa, direttore di Energy&Strategy ma occorre un salto di qualità in termini di visione strategica, stabilità delle regole e semplificazione amministrativa per trasformare le misure esistenti in un volano reale di decarbonizzazione”.

Analizzando gli investimenti 2024 in efficienza energetica, si nota il forte calo che ha caratterizzato il settore residenziale, da 44-49 miliardi di euro del 2023 a 29-32 miliardi. Un po’ più stabili gli altri settori: l’industriale ha allocato tra i 2,3 e i 2,7 i miliardi, in particolare per fotovoltaico (+26%), pompe di calore, illuminazione e sensoristica, mentre c’è un rallentamento degli interventi sui processi produttivi e sui sistemi ad aria compressa (rispettivamente -68% e -57%).

A distinguersi per dinamicità e diversificazione sono le aziende di medie dimensioni. In lieve calo anche la PA e il terziario, che ha destinato circa il 70% delle risorse a interventi per ridurre e ottimizzare i fabbisogni termici, invece di integrare sistemi digitali avanzati o tecnologie smart per la gestione attiva dei consumi. Interventi che non si sono dimostrati adeguatamente efficienti: a fronte di un aumento degli investimenti del 14% rispetto al 2023, i risparmi si sono fermati al 13%. Dal rapporto emerge inoltre che per cittadini e imprese inoltre cresce l’interesse verso l’efficienza energetica, ma rimangono barriere all’adozione. L’interesse verso l’efficienza energetica in Italia è diffuso, ma frammentato.

Nell’Energy Efficiency Report 2025 è stata condotta tra aprile e giugno 2025 insieme a Doxa un’indagine su 2.500 cittadini, l’87% dei quali vive in un alloggio di proprietà (il 60% in appartamento, il 30% in case indipendenti), fattore che influisce sulla propensione a investire. Ebbene, l’85% del campione ha effettuato almeno un intervento negli ultimi cinque anni, prediligendo soluzioni semplici come i sistemi di illuminazione efficienti o smart, gli elettrodomestici intelligenti e le caldaie a condensazione. Il report si chiude delineando tre possibili scenari di evoluzione degli investimenti in efficienza energetica al 2030, costruiti tenendo conto di variabili di natura normativa, economica e sociale: uno conservativo, uno coerente con gli obiettivi del PNIEC e uno più ambizioso, orientato agli obiettivi europei. Lo scenario conservativo, basato sulle sole politiche vigenti, prevede una riduzione limitata dei consumi di energia finale (-0,5 Mtep rispetto al 2022) e investimenti pari a circa 137 miliardi di euro nel periodo 2024-2030, insufficienti a raggiungere i target europei. Lo scenario PNIEC – intermedio, ma che comunque necessita di politiche stabili e ben strutturate – propone di ridurre i consumi a 102 Mtep entro il 2030, grazie a misure già attuate o pianificate, e di aumentare gli investimenti fino a circa 243 miliardi di euro tra 2024 e 2030, con un ruolo centrale dei settori residenziale e terziario. Infine, lo scenario con gli obiettivi Ue, il più ambizioso, punta a 93 Mtep di consumi finali al 2030, un traguardo che il PNIEC stesso ritiene irraggiungibile con le sole misure attuali. Gli investimenti dovrebbero salire fino a circa 308 miliardi, trainati soprattutto dal settore residenziale, anche in risposta alla direttiva europea EPBD, e questo è irrealizzabile senza adeguati incentivi. Un quadro stabile e coerente, caratterizzato da continuità delle misure di supporto, è essenziale per mobilitare i capitali e guidare gli interventi.

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Ok Ue a Energy Release 2.0. Pichetto: Sosteniamo industria e acceleriamo su transizione

Disco verde della Commissione europea all”Energy Release 2.0‘ del Mase a sostegno dei grandi energivori. Bruxelles conferma la compatibilità della misura con le regole del mercato interno e con la disciplina in materia di aiuti di Stato.

“Abbiamo costruito un modello che tiene insieme competitività industriale, transizione ecologica e rigore europeo”, rivendica Gilberto Pichetto Fratin. Il sostegno ai grandi consumatori elettrici, osserva il ministro, “non è un privilegio, ma uno strumento per difendere l’occupazione, rafforzare le filiere strategiche e attrarre investimenti”. Il ministero dell’Ambiente risponde così al grido d’aiuto delle imprese, davanti a un caroprezzi che non sembra arrestarsi, vincolando al tempo stesso l’aiuto pubblico a un impegno industriale e ambientale chiaro: “restituire quanto ricevuto con nuova energia pulita”. Pichetto parla di un confronto con la Commissione Europea “leale e costruttivo”: “È una misura che guarda al futuro e rappresenta un esempio di buona collaborazione tra istituzioni nazionali ed europee”, spiega.

Iniziamo a dare una risposta reale a migliaia di imprese, per contenere i costi energetici e affermare le rinnovabili”, fa eco il ministro degli Esteri Antonio Tajani, secondo cui l’Italia si pone come “apripista in Europa di una misura innovativa, che coglie in pieno la necessità di sostenere le aziende energivore, in un’ottica di decarbonizzazione dei settori produttivi”.

Aiutare le aziende “significa tutelare occupazione, filiere strategiche e crescita. Questo risultato dimostra che è possibile unire supporto economico e responsabilità ambientale per rafforzare la competitività italiana”, sostiene la viceministra dell’Ambiente, Vannia Gava.

Il provvedimento si articola in due fasi: una prima di sostegno tramite fornitura di elettricità a prezzo calmierato, 65 euro al MWh, e una seconda fase che prevede l’obbligo, per i beneficiari, direttamente o tramite terzi, di restituire integralmente il vantaggio ricevuto attraverso la costruzione o il finanziamento di nuova capacità da fonti rinnovabili.

A seguito delle interlocuzioni con la Commissione sono state introdotte modifiche, tra cui la facoltà offerta agli energivori di trasferire l’impegno alla restituzione e alla realizzazione della nuova capacità a soggetti terzi individuati tramite una apposita asta da parte del GSE. Il meccanismo, basato sull’utilizzo dell’energia rinnovabile già gestita dal GSE e sull’attivazione di nuova capacità green, consente di sostenere le imprese più esposte al caro energia, contribuendo al tempo stesso agli obiettivi di decarbonizzazione, autonomia energetica e transizione giusta.

Il 97% delle telefonate che riceviamo per le bollette energetiche è una truffa

Secondo un’indagine condotta da A.r.t.e. – Associazione Reseller e Trader dell’Energia – il 97% delle telefonate che i cittadini ricevono da presunti operatori del settore energetico è in realtà una truffa. Il dato è stato presentato durante una conferenza stampa alla Camera dei Deputati e proviene da oltre 10.000 segnalazioni raccolte attraverso il Portale Antitruffa promosso dall’associazione. Lo strumento, realizzato in collaborazione con le principali associazioni dei consumatori e dei call center – tra cui Consumerismo, Assium, Assocontact, O.I.C. e AssoCall – consente agli utenti di denunciare chiamate sospette o ingannevoli legate al mondo dell’energia.

L’analisi delle segnalazioni evidenzia un quadro allarmante. Quasi la metà delle chiamate, il 47,9%, arriva da operatori che si spacciano per il fornitore attuale del cliente, mentre il 15,7% si presenta come appartenente ad altre aziende del mercato libero. Altri ancora fingono di rappresentare i distributori locali, l’Autorità dell’energia o enti inesistenti, millantando ruoli ufficiali a tutela del consumatore. Solo una minima parte delle chiamate – il 3,5% – risulta probabilmente autentica, legata a reali promozioni o tentativi legittimi di recupero clienti.

Secondo A.r.t.e., questi numeri sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più esteso. Molti cittadini, vittime di raggiri, scelgono di non denunciare per sfiducia, rassegnazione o mancanza di consapevolezza. Si delineerebbe quindi un sistema fraudolento strutturato, che andrebbe ben oltre la scorrettezza commerciale, arrivando a configurare vere e proprie ipotesi di reato penale. Le violazioni più comuni includono il trattamento illecito di dati personali, truffe contrattuali con offerte volutamente ingannevoli, e in alcuni casi, la sostituzione di persona, con il truffatore che si presenta come un fornitore ufficiale o addirittura come l’Autorità.

“Serve un Protocollo Antitruffa a livello nazionale. Un impegno condiviso tra operatori, istituzioni e associazioni dei consumatori”, ha dichiarato Marco Poggi, presidente di A.r.t.e.. “Il nostro Portale è già operativo e pronto a sostenere questa battaglia: più aziende aderiranno, più sarà efficace la nostra azione. Bisogna smettere di trattare questi episodi come casi isolati: sono parte di un sistema che va smantellato con trasparenza, responsabilità e collaborazione”. Dello stesso avviso Diego Pellegrino, portavoce di A.r.t.e., che lancia un appello: “Denunciamo l’esistenza di un mercato parallelo dell’inganno che mina la fiducia degli utenti verso il settore energetico. Le aziende fornitrici devono reagire, aderendo al Portale Antitruffa e rafforzando i controlli interni. Solo così potranno inviare un chiaro segnale di trasparenza a tutti i consumatori”.

“Oltre agli aspetti legati alla privacy, tali forme di telemarketing scorretto realizzano dei veri e propri reati penali, dalla frode alla truffa, passando per la sostituzione di persona – spiega infine il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele – L’unica possibilità per arginare il fenomeno e limitare i danni per i consumatori è quella di dichiarare illegittimo il telemarketing in Italia nel settore energetico, togliendo validità legale ai contratti di luce e gas siglati telefonicamente”.

atomo

Studio Bankitalia mette in dubbio effetti positivi da ritorno nucleare in Italia

Nucleare sì, nucleare no? Un nuovo paper dal titolo ‘L’atomo fuggente: analisi di un possibile ritorno al nucleare in Italia‘, curato da Luciano Lavecchia e Alessandra Pasquini, pubblicato sul sito della Banca d’Italia esamina in dettaglio i potenziali vantaggi e le criticità di una possibile reintroduzione dell’energia atomica nel mix energetico nazionale, aggiornando le analisi condotte nel 2012. Il lavoro prende in considerazione anche le linee guida emerse di recente dal Governo, che ha inserito il nucleare tra le opzioni strategiche per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione fissati per i prossimi decenni. Dall’analisi emerge che il nucleare potrebbe contribuire a stabilizzare il prezzo dell’elettricità, soprattutto grazie alla possibilità di stipulare contratti a lungo termine.

Tuttavia, il suo impatto sul contenimento dei prezzi finali pagati dagli utenti appare limitato. Questo è dovuto principalmente alla struttura del mercato elettrico italiano, che comprende componenti tariffarie e oneri fissi poco influenzati dalla fonte di generazione. Sul piano della sicurezza energetica, i possibili effetti sono ambivalenti. Se da un lato la produzione interna di energia nucleare ridurrebbe la dipendenza dalle importazioni di gas e di elettricità — quest’ultima proveniente in gran parte dalla Francia e prodotta con tecnologia nucleare — dall’altro il Paese sarebbe costretto a importare il combustibile e le tecnologie necessarie.

Le riserve mondiali di uranio sono considerate adeguate anche in scenari di espansione della capacità produttiva, ma le fasi più sensibili della filiera — come l’arricchimento e la produzione delle barre di combustibile — restano concentrate in pochi Paesi, tra cui la Russia, che presenta un elevato rischio geopolitico. Questo implica la necessità, già riconosciuta a livello internazionale, di rafforzare una filiera occidentale del combustibile nucleare. Un’altra criticità riguarda la dipendenza tecnologica. Negli ultimi venticinque anni, il primato nella costruzione di impianti nucleari si è progressivamente spostato dall’Occidente verso Russia e Cina. Per ridurre tale dipendenza, l’Italia dovrebbe investire nel proprio capitale umano e rafforzare il collegamento tra industria, università e sistema formativo, avviando collaborazioni con le poche aziende occidentali ancora attive nel settore. Dal punto di vista ambientale, il nucleare offre vantaggi rilevanti rispetto ad altre fonti low carbon. Non solo garantisce basse emissioni di gas serra lungo tutto il ciclo di vita, ma permette anche una produzione continua (carico di base) e un impatto relativamente contenuto in termini di occupazione del suolo. Tuttavia, resta aperta la questione dello smaltimento delle scorie radioattive.

A oggi, l’Italia non ha ancora avviato il processo per la costruzione di un deposito nazionale, necessario sia per le scorie accumulate in passato sia per quelle future, incluse quelle derivanti da usi medici e industriali. In questo contesto, la strategia delineata dal Governo guarda con interesse alle nuove tecnologie modulari basate sulla fissione, note come Smr (Small Modular Reactors), e alle prospettive a più lungo termine della fusione nucleare. Le prime, in particolare, potrebbero rappresentare un punto di svolta grazie alla maggiore flessibilità, ai tempi di costruzione più rapidi e alla possibilità di produzione in serie. Tuttavia, tali benefici restano per ora potenziali: i prototipi attivi o in costruzione sono pochi e localizzati in paesi come Russia e Cina, e il passaggio a una produzione industriale su scala non è ancora avviato. Inoltre, sarà necessario adattare queste tecnologie agli standard di sicurezza italiani, il che potrebbe comportare ulteriori ritardi. Lo scenario delineato nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (il Pniec) prevede un’installazione di 8 gigawatt di capacità nucleare tra il 2030 e il 2050, con un possibile raddoppio a 16 gigawatt, per coprire circa l’11% del fabbisogno elettrico nazionale. Si tratta di un obiettivo ambizioso, che richiederà non solo scelte industriali e tecnologiche mirate, ma anche un significativo coinvolgimento pubblico. In un settore che comporta investimenti elevati e tempi lunghi, lo Stato potrebbe essere chiamato a giocare un ruolo attivo, sia come finanziatore diretto sia tramite partecipazioni in società operanti nel comparto.

Pannelli solari in plastica riciclata: a Pisa nasce fotovoltaico urbano e colorato

Pannelli solari realizzati non con silicio o vetro, ma con plastica riciclata: è questa l’idea alla base del nuovo progetto dell’Università di Pisa, che ha sviluppato e testato una tecnologia innovativa per produrre elettricità dal sole in modo più sostenibile. Si tratta di concentratori solari luminescenti: lastre trasparenti e colorate in materiale acrilico (PMMA) ottenuto da rifiuti plastici rigenerati, capaci di catturare la luce solare e convogliarla verso piccoli moduli fotovoltaici installati sui bordi.

Questa tecnologia, pensata per essere integrata in vetrate, pensiline, serre e facciate trasparenti, unisce prestazioni elevate e ridotto impatto ambientale. “Abbiamo dimostrato che è possibile ottenere concentratori solari per pannelli fotovoltaici efficienti utilizzando plastica rigenerata invece di materie prime fossili – spiega il professor Andrea Pucci, coordinatore della ricerca – il nostro obiettivo è portare il solare dentro le città, in modo colorato e sostenibile”.

La ricerca ha confrontato per la prima volta, in modo sistematico, le prestazioni di pannelli realizzati con plastica acrilica vergine e con quella ottenuta da processi di riciclo chimico. I risultati hanno mostrato che, a parità di prestazioni ottiche ed elettriche, i pannelli in plastica riciclata permettono una riduzione delle emissioni di CO₂ fino al 75%. I test di laboratorio e in condizioni reali (su tetti e facciate esposte al sole) hanno confermato la validità dei materiali e la loro durata nel tempo. Una prima applicazione di questa tecnologia intanto è già visibile nella pensilina fotovoltaica installata a Livorno nel 2023, nata da un progetto dell’Università di Pisa finanziato dalla Regione Toscana, in cui però erano state utilizzate un lastre di acrilico da sintesi, non riciclate. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista RSC Applied Polymers ed è stato selezionato dalla Royal Society of Chemistry per una collezione dedicata agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Il lavoro si è svolto nell’ambito Luce, un progetto Prin finanziato dall’Unione Europea- Next Generation Eu. Per l’Università di Pisa, insieme al Pucci, lavorano a Luce Marco Carlott, e i giovani ricercatori Alberto Picchi e Hanna Pryshchepa, in collaborazione con il Cnr-Iccom di Firenze e l’Università di Napoli Federico II.

bollette

Energia cara per Italia: 15% in più dell’Area Euro. Pesano oneri e tasse

Luce e gas costano caro agli italiani. Purtroppo, non è una novità ma adesso ci sono i dati della Relazione annuale di Arera a certificarlo: nel 2024 i consumatori domestici del nostro Paese hanno pagato il gas il 15,1% in più del resto dell’Area euro (13,1 centesimi al kWh), con tariffe superiori del 5,3 percento rispetto alla media. Non va meglio per quel riguarda l’energia elettrica. Nonostante una diminuzione generalizzata in Europa, sebbene con intensità diverse (la media dell’Area euro è 14%, ma si va dal -2,7% della Germania al -20,2% della Francia), l’Italia ha infatti perso nuovamente competitività rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei.

In entrambi i casi il peso maggiore è quello di oneri, imposte e tasse che, per la luce, sale del 28%annullando le riduzioni registrate dalla componente energia e dai costi di rete”; mentre per il gas è di 3,2 centesimi/kWh, a cui si sommano i costi di rete lievitati a 3 centesimi/kWh. Fattori che giustificano, dunque, l’erogazione di bonus sociali (su base Isee) a 4,5 milioni di famiglie anche nel 2024 (-40,5% rispetto all’anno precedente), cui 2,8 milioni per l’energia elettrica e 1,7 milioni per il gas.

I dati di Arera, comunque, vanno letti in controluce, perché lo scorso anno, nonostante il perdurare delle guerre tra Russia e Ucraina alle porte del Vecchio continente, e tra Israele e Palestina in Medio Oriente, i prezzi sono diminuiti in 17 Paesi, tra cui appunto l’Italia (-8%) e il Lussemburgo (-33%), mentre in 10 sono schizzati in alto, come in Francia (+19%) e Portogallo (+15). Risultati che ci hanno permesso di ridurre di quasi dieci punti percentuali il differenziale dalla media Ue, che oggi passa al 15%. Gli effetti positivi si sono riverberati anche sulle imprese, che lo scorso anno hanno pagato un prezzo lordo “più conveniente rispetto a quasi tutti i principali competitor europei”. Ad esempio, -9,8% nel confronto con la Francia e -7,7% rispetto alla Germania. Solo la Spagna fa meglio (+38%). Buone notizie, per carità, ma la situazione resta comunque complicata per il sistema produttivo di casa nostra.

Spostando i riflettori su altri aspetti dello stesso tema, nel 2024 Arera registra un incremento della produzione mondiale di gas dell’1,4%, che non trova alimento però in Italia, dove il calo è del 4,1% (poco sotto i 2.600 milioni di metri cubi). Di contro, i consumi nel nostro Paese sono risaliti 0,3 miliardi di metri cubi, “riportando la domanda a 61,8 miliardi di metri cubi dai 61,5 del 2023”. Tutt’altra musica, invece, per l’energia elettrica, dove la produzione schizza del 3,2 percento a 273,3 TWh, con un boom delle rinnovabili (+14,9%) sotto la forte spinta dei 52,8 TWh di idroelettrico, che dunque sale del 30,2%. Numeri che permettono di soddisfare l’83,7% della domanda italiana. L’energia, dunque, resta una priorità, per le aziende ma soprattutto per le istituzioni, cui è demandato il compito di trovare le soluzioni per dare ossigeno a chi produce ma anche alle famiglie.

Ragioni che spingono il presidente di Arera, Stefano Besseghini, a plaudire l’iniziativa del governo sul nucleare: “Non perché sia possibile nel breve una rilevante e significativa penetrazione nel mix, ma perché anche lì soffia il vento dell’innovazione e un Paese industrializzato, rilevante, con la competenza tecnico scientifica dell’Italia – sottolinea nella sua Relazione -, non può non avere un contesto normativo in grado di agevolare lo sviluppo delle soluzioni innovative in ogni settore”. Così come il “disaccoppiamento della remunerazione di mercato elettrico fra le fonti di produzione con o senza costi marginali di produzione” diventa un “punto centrale”.

Il numero uno dell’Authority, inoltre, ricorda che “a partire dal prossimo 1 luglio, la bolletta di energia elettrica e gas naturale in Italia cambierà volto” e “ogni operatore sarà tenuto a pubblicare in modo visibile e accessibile le condizioni tecnico-economiche delle proprie offerte”. Un cambiamento che Besseghini definisce “un investimento in trasparenza”. Che fa il paio con il suo monito sul ruolo del regolatore, che a suo modo di vedere “assume anche una funzione comunicativa e culturale: deve informare, spiegare, motivare, educare, accorciando le distanze, alleggerendo il tono e semplificando il linguaggio senza essere fuorvianti e con spirito di servizio”. Non a caso, infatti, il Servizio conciliazione ha permesso di ottenere, sulle oltre 34mila domande presentate, più di 21 milioni di euro “con un tasso di soddisfazione degli utilizzatori del Servizio Conciliazione pari al 95%”. Fattori che in una fase storica di incertezza “che rischia di minare le fondamenta stesse della nostra società”, diventano cruciali per vincere la sfida della transizione energetica.

IA, una sola richiesta a ChatGpt da ogni italiano consuma quanto 37 case in un anno

Una query di ChatGPT consuma energia equivalente a quella di una lampadina a Led da 10 W, accesa per circa 12 minuti, ovvero la stessa quantità di energia di una ricarica del telefono con un caricabatterie da 5 W per 24 minuti. Ma equivale anche a circa 7 secondi di utilizzo del microonde: ipotizzando un tempo di 3 minuti, significa che si potrebbe riscaldare il pranzo con l’energia impiegata da circa 26 query. 50 minuti di tv (da 100 W) consumano all’incirca la stessa quantità di energia di 42 query di ChatGPT. Se ogni italiano facesse una sola richiesta a ChatGPT, si potrebbe fornire energia elettrica a 37 abitazioni per un anno. Sono i dati emblematici di uno studio condotto da Surfshark che mette a confronto il consumo energetico di ChatGPT e attività quotidiane. La popolarità di ChatGPT continua a crescere, come dimostrano notizie come quella sugli Emirati Arabi Uniti, che hanno offerto gratuitamente l’accesso a ChatGPT Plus a tutti i residenti. Tuttavia, cresce anche la preoccupazione per l’impatto ambientale legato all’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale. Surfshark ha confrontato il consumo energetico di ChatGPT con alcune attività quotidiane.

Ogni query (richiesta) produce circa 4,32 grammi di CO2: questo perché alimentare i data center che gestiscono le query richiede elettricità, gran parte della quale è ancora generata da combustibili fossili che emettono anidride carbonica. Moltiplicato per milioni di query giornaliere, questo si traduce in significative emissioni di carbonio. Altro termine di paragone: una singola richiesta consuma circa 10 volte più energia rispetto a una normale ricerca su Google, ovvero circa 0,0029 kWh rispetto ai 0,0003 kWh di Google.

“Queste cifre non sorprendono se consideriamo che le richieste all’AI vengono elaborate da enormi data center, molti dei quali dipendono ancora dall’elettricità prodotta da combustibili fossili, che causano notevoli emissioni di CO2 – spiega Luís Costa, responsabile della ricerca di Surfshark -. Ad esempio, se ogni persona negli Stati Uniti facesse una sola richiesta a ChatGPT in un giorno, si produrrebbero circa 1.479 tonnellate di CO2: l’equivalente delle emissioni annuali di 322 automobili a benzina o dell’impronta di carbonio di 1.500 persone che volano andata e ritorno da Londra a New York”. Chi non guida o non ha in programma di volare oltreoceano può anche vederla in questo modo: anche quest’anno sarà necessario scaldare casa. Se ogni persona che vive negli Stati Uniti inviasse una sola richiesta a ChatGPT, il consumo totale ammonterebbe a circa 119 MWh, Una quantità di energia che basterebbe ad alimentare 63 abitazioni italiane per un intero anno, considerando un consumo domestico medio annuo di 3,25 Mwh.

Inoltre, la situazione non sembra destinata a migliorare, poiché il numero di utenti dell’IA nel mondo dovrebbe aumentare del 20% nel 2025 rispetto all’anno precedente, battendo tutti i record di incremento annuale. Questo aumento significa che solo nel 2025 circa 65 milioni di persone inizieranno a usare l’IA, arrivando a un totale di 378 milioni.

Eolico

Energia, Aie: 3.300 mld di investimenti nel 2025, Cina ed energie green in testa

Gli investimenti nel settore energetico dovrebbero raggiungere i 3.300 miliardi di dollari nel 2025 nonostante le incertezze economiche, con la Cina che consolida la sua posizione di primo investitore mondiale, mentre le energie “pulite” dovrebbero attrarre il doppio dei capitali rispetto a quelle fossili, secondo un rapporto dell’AIE pubblicato giovedì.

“In un contesto di incertezze geopolitiche ed economiche che offuscano le prospettive del mondo energetico, vediamo emergere la sicurezza energetica come un motore chiave della crescita degli investimenti globali quest’anno”, ha dichiarato il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia (AIE). “Oggi la Cina è di gran lunga il maggiore investitore mondiale nel settore energetico, con una spesa doppia rispetto all’Unione europea e quasi pari a quella dell’UE e degli Stati Uniti messi insieme”, aggiunge, ricordando che nel 2015 superava di poco gli Stati Uniti in questo settore.

Gli investimenti nelle energie rinnovabili e nucleare, nello stoccaggio e nei combustibili a basse emissioni, ma anche nell’efficienza energetica e nell’elettrificazione dovrebbero raggiungere il record di 2.200 miliardi di dollari, secondo l’AIE. “Le attuali tendenze di investimento mostrano chiaramente che si sta avvicinando una nuova era dell’elettricità”, sottolinea l’AIE: gli investimenti in questo settore dovrebbero essere circa il 50% superiori al totale degli investimenti in petrolio, gas naturale e carbone. Dieci anni fa, gli investimenti nei combustibili fossili erano superiori del 30% rispetto a quelli nella produzione e nelle reti elettriche, ricorda l’agenzia.

Petrolio, gas naturale e carbone dovrebbero quindi rappresentare 1.100 miliardi di dollari, con una concentrazione della spesa nell’esplorazione di petrolio e gas in Medio Oriente. L’AIE stima che il calo dei prezzi del petrolio e della domanda dovrebbe portare alla prima contrazione degli investimenti nel settore dal Covid nel 2020, principalmente a causa di una forte riduzione della spesa per lo shale oil negli Stati Uniti. Al contrario, gli investimenti in nuovi impianti di gas naturale liquefatto (GNL) cresceranno fortemente. “Tra il 2026 e il 2028, il mercato mondiale del GNL dovrebbe registrare la più grande crescita di capacità di sempre”, stima l’AIE. Secondo l’Agenzia, gli investimenti nel solare dovrebbero raggiungere i 450 miliardi di dollari nel 2025 a livello mondiale, posizionandosi al primo posto, mentre quelli destinati all’energia nucleare dovrebbero ammontare a circa 75 miliardi di dollari, con un aumento del 50% negli ultimi cinque anni. L’AIE è tuttavia preoccupata dal fatto che gli investimenti nelle reti elettriche (cavi, tralicci…), attualmente pari a 400 miliardi di dollari all’anno, “non riescano a tenere il passo con la spesa per la produzione e l’elettrificazione”, il che costituisce un “segnale preoccupante per la sicurezza elettrica”.

Gli investimenti nelle reti dovrebbero aumentare per raggiungere la parità con la spesa per la produzione entro l’inizio degli anni ’30, ma “ciò è frenato da lunghe procedure di autorizzazione e da catene di approvvigionamento tese per i trasformatori e i cavi”. Infine, la forte crescita della domanda di elettricità avvantaggia anche il carbone, soprattutto in Cina e in India. Nel 2024, la Cina ha avviato la costruzione di quasi 100 gigawatt (GW) di nuove centrali elettriche a carbone, portando le approvazioni globali di centrali a carbone al livello più alto dal 2015, sottolinea l’AIE.

Nasce Pioneer, il maxi-sistema stoccaggio Enel-Adr che riutilizza batterie auto elettriche

Un sistema innovativo che immagazzina energia rinnovabile per usarla anche quando il sole non c’è, valorizzando batterie usate di veicoli elettrici e donando loro una seconda vita. Il più grande sistema di stoccaggio energetico italiano che utilizza batterie di auto elettriche è stato presentato questa mattina all’aeroporto internazionale di Roma Fiumicino. Si tratta del progetto Pioneer, realizzato da Enel e Adr con l’obiettivo di applicare concretamente i principi di economia circolare e sostenibilità ambientale nel rispetto della decarbonizzazione dell’hub.

Cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito dell’Innovation Fund, il progetto sfrutta le potenzialità delle fonti rinnovabili e dell’economia circolare riutilizzando 762 batterie esauste, provenienti da tre grandi brand automobilistici (Nissan, Mercedes e Stellantis) grazie all’allacciamento con l’impianto fotovoltaico realizzato in parallelo alla pista 3 dell’aeroporto di Fiumicino.

Pioneer consentirà dunque di alimentare l’infrastruttura con energia pulita prodotta localmente, riducendo la dipendenza dalla rete. I moduli sono stati riconvertiti in un grande sistema di accumulo da 10 megawattora, capace di immagazzinare energia e restituirla quando necessario. Grazie a Pioneer, che sta per ‘airPort sustaInability secONd lifE battEry stoRage’, verranno abbattute 16mila tonnellate di anidride carbonica nell’arco di dieci anni.

Innovazione, sostenibilità ed eccellenza europea sono i tratti distintivi del progetto Pioneer. Gli storage sono infatti ritenuti ormai imprescindibili per la transizione energetica e il sistema realizzato da Enel e ADR accelera il percorso di decarbonizzazione del “Leonardo da Vinci”, recentemente incluso nella Top10 dei migliori scali al mondo da parte di Skytrax, dando nuova vita a batterie ormai inutilizzabili in campo automotive ma ancora molto preziose per applicazioni stazionarie. Il risultato è un progetto di dimensioni industriali che accumula l’energia verde prodotta, per poi rilasciarla quando se ne abbia necessità. “Progetti come questo dimostrano come l’Italia sia in grado di coniugare sostenibilità ambientale e competitività produttiva: una sfida cruciale per il futuro dell’Italia e dell’Europa”, ha dichiarato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Il progetto appartiene ad un modello virtuoso e innovativo di economia circolare riconosciuto anche a livello europeo, che ha visto il progetto Pioneer selezionato tra i vincitori del bando Innovation Fund SSC-2020 promosso dall’Agenzia Europea per il Clima, l’Ambiente e le Infrastrutture (Cinea). Pioneer “mostra che l’innovazione è la prima alleata della transizione energetica, accelera l’elettrificazione su larga scala grazie a un modello di economia circolare che dà nuova vita alle batterie esauste”, ha aggiunto Francesca Gostinelli, Head of Enel X Global Retail di Enel. Si tratta “di un simbolo concreto della nostra strategia – ha dichiarato Marco Troncone, amministratore delegato di Aeroporti di Roma – perché in esso convergono il nostro forte impegno nella sostenibilità ambientale, la capacità di valorizzare l’innovazione tecnologica e la determinazione di fare efficacemente sistema con le eccellenze del Paese, come Enel”.

Giorgetti punta sul nucleare per frenare il caro energia: “In passato scelte scellerate”

L’energia resta un tema cruciale per la crescita economica. Dopo l’appello lanciato da Confindustria all’ultima assemblea nazionale, anche in Senato i rincari trovano spazio nella discussione sulle nuove regole di bilancio. Giancarlo Giorgetti prende appunti, poi risponde: “Sul costo dell’energia dobbiamo guardarci tutti allo specchio” e pensare “alle scelte scellerate che hanno privato questo Paese dell’unica fonte di energia che lo avrebbe reso sovrano e indipendente: il nucleare”.

Proprio per questo motivo, il ministro dell’Economia spera che “davanti a scelte che potranno produrre effetti, ahimè, tra 10 anni, tutto il Parlamento in qualche modo seguirà il nuovo indirizzo che finalmente il governo ha coraggiosamente deciso di dare”. Ogni riferimento alla legge delega è più che voluto.

Il responsabile del Mef, come tutto l’esecutivo, sa che i tempi sono cambiati rispetto agli anni Ottanta. Le bollette che ogni bimestre arrivano nelle cassette postali degli italiani e sulle caselle mail delle aziende sempre più alte, erodendo la capacità di acquisto delle famiglie e quella di fare investimenti delle imprese. Anche i numeri indicano che la strada del nucleare ha molti meno ostacoli rispetto al passato. Secondo quanto emerge dall’ultimo sondaggio condotto da Swg per Fondazione Lottomatica, infatti, il 57% degli italiani guarda con favore al ritorno dell’energia nucleare, mentre il 64% è favorevole a investimenti nella nuova generazione di impianti.

Anche la ricerca ‘Italia: energia sicura?‘, realizzata dall’istituto Gpf Inspiring Research, conferma questa tendenza: “Il 58,4% degli intervistati accetta (con diverse sfumature di opinione) di reinvestire nel nucleare per il fabbisogno energetico nazionale”. Sono soprattutto i giovani ad avere la maggiore apertura verso il nucleare, visto che tra gli under 35 la percentuale arriva al 62,3.

Al di là del nucleare, Giorgetti allarga il ragionamento anche alle energie alternative, anche se solo da un punto di vista economico. Perché il ministro invita a riflettere sulle “dubbie politiche anche in materia di rinnovabili, non per la bontà delle medesime” ma per “come si sono costruiti gli oneri di sistema e quanto pesano nel tempo per capire che si è sbagliato qualcosa su tutta la politica energetica nazionale”. Parole che potrebbero anche preludere a un prossimo intervento del governo in materia. Del resto, le soluzioni per le politiche industriali sono sempre oggetto di studio al Mef. Anche se Giorgetti non cambia idea sui piani quinquennali: “Sono stati un fallimento storico, economico e anche politico. Continuare a concepire la politica industriale in questi termini non potrà che replicare gli stessi esiti”.

L’unica ammenda che il responsabile del Mef concede è sulla difesa: “Siccome la domanda è pubblica, e saremo chiamati a valutare ingenti risorse da destinare alla difesa, l’offerta inevitabilmente deve essere guidata e consigliata”. Il governo assicura che non si farà trovare impreparato nemmeno sui cosiddetti ‘campioni’: “Faremo la nostra parte“.