Boom dei prezzi alimentari in Italia: dal 2021 fare la spesa costa il 25% in più

Prima la ripresa dalla pandemia, poi gli shock energetici causati dalla guerra in Ucraina scatenata dalla Russia. Sono queste quelle che Istat definisce le “principali determinanti” della crescita dei prezzi dei beni alimentari in Italia. Una vera e propria impennata: da ottobre 2021 a ottobre 2025 hanno registrato aumenti del 24,9%, quasi 8 punti sopra l’inflazione generale misurata dall’Ipca (+17,3%). E se l’Italia è messa male, le altre principali economie Ue fanno anche peggio. L’Istat ricorda che i prezzi del cibo sono infatti aumentati, nel periodo in esame, del 29% per l’area euro (+32,3 nella Ue), del 32,8% in Germania, del 29,5% in Spagna. Solo la Francia ha registrato incrementi leggermente inferiori (23,9%).

Nel focus allegato all’ultima ‘Nota di andamento dell’economia italiana’, l’istituto nazionale di statistica rileva che i prezzi degli alimentari iniziano a crescere nella seconda metà del 2021, subiscono un’impennata dall’inizio del 2022 fino alla metà del 2023, e continuano ad aumentare, seppure a tassi più moderati, anche nel periodo successivo. Si arriva a settembre 2025 con prezzi in aumento del 26,8% rispetto all’ottobre 2021 e incrementi molto ampi per i prodotti vegetali (+32,7%), latte, formaggi e uova (+28,1%) e pane e cereali (+25,5%). L’impatto è facile da immaginare, considerando che i beni alimentari rappresentano oltre un quinto del valore economico dei beni e servizi consumati dalle famiglie italiane e che la sola componente cibo rappresenta il 16,6% della spesa media. Istat sottolinea che si tratta di “beni in prevalenza necessari” e si caratterizzano “per la rigidità della loro domanda rispetto ad aumenti di prezzo”. L’impatto risulta dunque “rilevante” sul potere di acquisto delle famiglie, soprattutto quelle a più basso reddito, in considerazione della maggiore quota dei beni alimentari rispetto al totale dei consumi.

Come si è arrivati fin qui lo spiega sempre Istat, con una fotografia plastica: a partire dalla seconda metà del 2021 sono iniziate a manifestarsi pressioni al rialzo dei prezzi internazionali delle materie prime alimentari dovute alla fase di ripresa economica post pandemica. In tale contesto, in presenza di una domanda crescente e di frizioni nell’approvvigionamento dovute ai riassestamenti delle catene globali dopo la pandemia, si è verificata una contrazione dell’offerta mondiale determinata anche da eventi metereologici avversi nei principali paesi esportatori. A partire da febbraio 2022, l’invasione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni internazionali contro la Russia (con il blocco delle importazioni di gas) hanno determinato forti pressioni inflattive sui beni energetici. Nello stesso periodo hanno infatti continuato a crescere i prezzi delle materie prime alimentari. Lo shock energetico ha inoltre colpito anche indirettamente il settore alimentare, attraverso gli incrementi dei prezzi di altri prodotti intermedi, in particolare i fertilizzanti (il cui prezzo – rileva Istat – è più che raddoppiato dall’inizio del 2021 alla fine del 2022).

Un effetto a cascata: gli incrementi del prezzo dei prodotti alimentari non lavorati si sono trasmessi poi a quelli lavorati. Così i prezzi alla produzione dell’industria alimentare sono aumentati del 21,4%, tra il terzo trimestre del 2021 e il terzo del 2023, data un’analoga crescita delle materie prime agricole. Negli ultimi due anni, i prezzi hanno continuato ad aumentare “ma a tassi notevolmente più contenuti”, spiega Istat. A tale dinamica ha contribuito il recupero dei margini di profitto delle imprese del settore agricolo, mantenutisi su livelli particolarmente bassi nel periodo 2021-2022.

Secondo le associazioni dei consumatori sono dati che spiegano la depressione dei consumi. “I maxi rincari nel settore alimentare non solo impoveriscono le famiglie, ma portano a profonde modifiche nelle abitudini degli italiani, al punto che una famiglia su tre è stata costretta nell’ultimo anno a tagliare la spesa per cibi e bevande” spiega il presidente di Assoutenti, Gabriele Melluso, secondo cui gli aumenti dei listini alimentari proseguono ancora oggi: a fronte di una inflazione nazionale all’1,2%, alcuni prodotti registrano “rincari fortissimi”. Ad ottobre la carne balza del +5,8% su anno con punte del +7,9% per la carne bovina, le uova segnano un +7,2%, formaggi e latticini +6,8%, burro +6,7%, riso +4,6%. Per altri prodotti gli aumenti sono addirittura a due cifre: il cioccolato sale del +10,2%, il caffè del +21,1%, il cacao del +21,8%. Insomma, le famiglie italiane spendono sempre di più per un carrello sempre più vuoto: da ottobre 2021 ad oggi le vendite alimentari nel nostro Paese sono crollate in volume del -8,8%. Il Codacons chiama in causa Mister Prezzi e l’Antitrust “affinché avviino una approfondita indagine sull’andamento dei listini alimentari in Italia” dato che i listini “non sono tornati alla normalità” quando le emergenze sono terminate e hanno dato vita “a una forma di speculazione sulla pelle dei consumatori“.

Rapporto Circonomia: Italia arretra in Ue per efficacia transizione energetica

L’Italia resta avanguardia in Europa nell’economia circolare, dal riciclo dei rifiuti all’impiego di materie seconde nell’industria manifatturiera, mentre arretra pesantemente nei ritmi e nell’efficacia della transizione energetica dai fossili alle rinnovabili. La sintesi di queste due opposte dinamiche non è brillante: rispetto allo scorso anno, il Paese retrocede dal terzo al quinto posto quando soltanto tre anni fa era al primo posto. Quest’anno il podio vede in testa la Danimarca, seguita da Austria e Olanda, quarta la Svezia. Questa in sintesi la fotografia contenuta nel Rapporto ‘Circonomia 2025’, curato da Duccio Bianchi dell’Istituto di Ricerche Ambiente Italia ed elaborato come ogni anno nel quadro del Festival dell’economia circolare e della transizione ecologica. Il Rapporto è stato presentato a Rimini, a ‘Ecomondo’, nello stand del Conai (Consorzio per il recupero degli imballaggi). La classifica proposta nel Rapporto si basa su 21 indicatori, suddivisi in tre categorie: impatto sull’uso delle risorse (consumi pro-capite di materia e di energia, emissioni climalteranti), efficienza d’uso delle risorse (consumi di materia e di energia, emissioni climalteranti e produzione di rifiuti per unità di Pil), capacità di risposta (tassi di riciclo e d’impiego di materie seconde). Gli indicatori sono stati normalizzati (min-max scaling) su un intervallo 0-1 e sono equipesati nell’indice generale; nel loro insieme, i 21 indicatori-chiave restituiscono una fotografia attendibile dello stato di circolarità e di transizione ecologica dei vari Paesi dell’Unione europea.

In termini di prestazioni assolute, è da rimarcare come a livello europeo, per il terzo anno consecutivo, quasi tutti gli indicatori mostrino un miglioramento (o quanto meno una stazionarietà) verso la decarbonizzazione e la circolarità. L’arretramento dell’Italia è coerente con l’ulteriore ‘retrocessione’ dal terzo al quinto posto. L’evoluzione positiva che aveva portato l’Italia tra i leader di circolarità e transizione ecologica sembra ormai essersi interrotta. Già nel 2021 e nel 2022 l’Italia ha fatto registrare progressi inferiori alla media europea e a quelli di altri leader della conversione energetica, pur mantenendo invece buone prestazioni negli indicatori di riciclo e circolarità. Questa tendenza si è mantenuta anche nel 2023 (e tutti i dati disponibili suggeriscono che sarà così anche nel 2024 e 2025). Tra il 2023 e il 2022 i progressi dell’Italia sono stati inferiori alla media europea in termini di consumo energetico procapite e per unità di Pil e anche più marcata è la minore riduzione del consumo di fonti fossili. Solo un terzo rispetto alla media europea è stata la crescita della quota di rinnovabili sui consumi energetici ed è impressionante il fatto che la quota di elettricità da solare e vento fosse nel 2014 più alta in Italia che nella media europea (13,6% vs 11,2%) mentre nel 2024 è ben più bassa della media europea (21,9% vs 28,7%).

L’Italia è uno dei pochi casi in Europa dove nel 2023 aumentano le emissioni di CO2 (già superiori alla media europea) dalle nuove auto immatricolate. Anche in termini di riciclo e di circolarità di materia (pur partendo da valori molto elevati) l’andamento dell’Italia è stato in termini assoluti peggiore della media europea. Si tratta ormai di una tendenza consolidata. Negli ultimi 10 anni i miglioramenti dell’Italia sui vari indicatori è stato uno dei più bassi in Europa. L’eccellenza italiana resiste solo nel campo del passaggio da economia lineare a economia circolare, cioè negli indicatori relativi al consumo procapite e per unità di Pil di materia, all’impiego di materia seconda, al tasso di riciclo del totale dei rifiuti e dei rifiuti urbani, alla quota di valore aggiunto da economia circolare. Qui presentiamo sempre una delle cinque migliori prestazioni europee, posizionandoci complessivamente al secondo posto assoluto preceduti solo dall’Olanda. È evidente che questo ‘successo’ italiano ormai consolidato dipende in larga misura dagli ottimi risultati nella raccolta e nel riciclo dei rifiuti conseguiti grazie al sistema dei Consorzi di filiera, a cominciare dai Consorzi che operano nel settore degli imballaggi. Tra questi Cial (alluminio), Ricrea (acciaio) e Biorepack (bioplastica compostabile), partner da sempre del Festival dell’economia circolare. La “nuova frontiera” è poi quella costituita dal recupero dei Raee (Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) e dei materiali preziosi in essi contenuti, di cui si occupa il Consorzio Erion Weee.

In conclusione, l’Italia conferma un notevole ‘talento’ nella trasformazione in senso green della propria economia, come dimostrano i primati nell’economia circolare, e invece arranca nel processo di decarbonizzazione indispensabile per fronteggiare la crisi climatica. Questo non è solo, per il nostro Paese, un problema ambientale, ma un’occasione che rischiamo di perdere per il futuro: “La transizione ecologica – così Francesco Ferrante ed Emanuela Rosio, organizzatori del Festivalè necessaria per impedire il collasso climatico ma se bene governata e orientata è anche una straordinaria occasione che può consentire all’Italia e all’Europa di affermare una leadership economica e tecnologica in un processo globale già in piena corsa, che sta ridisegnando gli assetti del mondo economico di oggi e di domani”.

cingolani

Aumenta trend rinnovabili in Ue ma target 42,5% è lontano. Italia a ritmo lento ma costante

Il numero ‘magico’ per le rinnovabili in Europa è 42,5% entro il 2030. E’ questo l’obiettivo vincolante che l’Ue si è data, con il target di spingersi fino al 45%. In dieci anni la quota è quasi triplicata, passando da 9,6 percento del del 2004 al 24,5 del 2023, ma è evidente che non basta.

C’è più di una speranza, comunque, di recuperare in tempo il gap. Lo dicono i numeri del Power Barometer 2025 di Eurelectric, secondo i quali il 2024 ha segnato un record perché la quota di generazione di energia da fonti fossili è scesa al 28%, minimo storico, con una riduzione di 89 TWh su base annua. In particolare è il carbone a perdere quota, con -50 Twh, mentre il gas è a -35 TWh. La buona notizia è che il rovescio della medaglia vede le rinnovabili salire, e di tanto: +44 TWh dal solare e +43 TWh dall’idroelettrico. È positivo anche che l’eolico sia rimasto stabile a 489 Twh circa, dunque non perdendo terreno. In questo scenario va segnalata, però, anche la performance del nucleare, con una quota del 24% e un aumento di 31 TWh nel 2024.

Secondo i dati Eurostat, nel secondo trimestre di quest’anno il 54% dell’elettricità netta prodotta nell’Ue viene da fonti rinnovabili, in aumento rispetto al 52,7% registrato nello stesso trimestre del 2024. Un aumento dovuto principalmente all’energia solare, che ha generato un totale di 122.317 gigawattora (GWh) nel secondo trimestre del 2025, pari al 19,9% del mix totale di generazione di elettricità. Giugno del 2025 è stato il primo mese nella storia in cui l’energia solare (22%) è stata la principale fonte di elettricità generata nell’Ue, davanti al nucleare (21,6%), all’eolico (15,8%), all’idroelettrico (14,1%) e al gas naturale (13,8%). Tra i paesi dell’Unione, nel secondo trimestre del 2025, la Danimarca, con il 94,7%, ha registrato la quota più elevata di energie rinnovabili nell’elettricità netta prodotta, seguita da Lettonia (93,4%), Austria (91,8%), Croazia (89,5%) e Portogallo (85,6%). Le quote più basse di energie rinnovabili sono state registrate in Slovacchia (19,9%), Malta (21,2%) e Repubblica Ceca (22,1%).

LA SITUAZIONE ITALIANA. Nel quadro generale l’Italia sta facendo passi avanti. Dai dati mensili raccolti da Terna, la società che gestisce la rete nazionale di trasmissione dell’energia elettrica, da gennaio a settembre di quest’anno la capacità rinnovabile in esercizio è aumentata di 4.476 MW (di cui 4.078 MW di fotovoltaico). Negli ultimi dodici mesi, la capacità installata di fotovoltaico ed eolico è aumentata di 6.576 MW (+13,7%), raggiungendo i 54.542 MW complessivi. Al 30 settembre 2025, inoltre, si registrano in Italia 17.417 MWh di capacità di accumulo (valore in aumento del 49,3% rispetto allo stesso mese del 2024), che corrispondono a 7.069 MW di potenza nominale, per circa 849.000 sistemi di accumulo. A settembre, gli accumuli elettrochimici di grande taglia hanno prodotto ben 176 GWh, a conferma della rilevanza che tale tecnologia ha ormai raggiunto per la gestione del sistema in economia e sicurezza. Nel dettaglio, da gennaio a settembre la capacità di impianti utility scale è aumentata di 2.794 MWh, che corrispondono a 709,1 MW di potenza nominale.

Le statistiche periodiche dell’Enea, comunque, mostrano uno scenario ancora carente, sia per l’Europa che per l’Italia. Perché nel primo semestre 2025 i consumi energetici dell’area euro sono rimasti stazionari, con un aumento dei consumi di gas naturale (+5%) mentre si sono contratti i prodotti petroliferi (-3%) e le fonti rinnovabili (-3%). Continua, invece, il trend di ripresa della produzione da nucleare (+2%) dai minimi del 2023. Anche le emissioni di CO₂ sono stimate stazionarie, in contrasto con la traiettoria necessaria per il target 2030, che richiede un calo annuo del 7%.

I CONSUMI. Nel nostro Paese i consumi di energia primaria – stimati secondo la metodologia Eurostat – sono in aumento marginale, in coerenza con la dinamica dei principali driver della domanda. Sono aumentati – riferisce ENEA – i consumi di gas naturale (+6%), sostenuti dalla maggiore domanda della termoelettrica (+19%) e dal clima più rigido del primo trimestre. In flessione invece i consumi di petrolio e prodotti petroliferi (-2%). In calo anche le fonti rinnovabili (-3%), penalizzate dal calo della produzione idroelettrica (-20%) e dalla flessione dell’eolico, mentre è proseguito l’aumento del solare (+20%). In termini di settori i consumi si sono contratti nei trasporti (-1%), sono aumentati nel civile (+3%), per la domanda di gas per riscaldamento e la domanda elettrica del terziario. Il modesto aumento della domanda elettrica (+0,3%) conferma la stazionarietà del grado di elettrificazione dei consumi. L’aumento delle fonti fossili (+1,5% nel semestre) si è riflesso nella dinamica delle emissioni di CO₂ (+1,3%), che sono rimaste sul trend di ripresa iniziato nell’ultimo trimestre 2024. Dopo due anni e mezzo di cali consecutivi sono tornate ad aumentare anche le emissioni calcolate sull’anno scorrevole (+1,2%).

ECOMONDO. E di Energia si parlerà anche a Ecomondo, che si svolge a Rimini Fiera dal 4 al 7 novembre. Giovedì 6 novembre, ad esempio, è in programma la quinta edizione dell’Africa Green Growth Forum, che metterà in luce le iniziative per l’accesso all’energia pulita e sostenibile nel continente africano promosse nell’ambito del Piano Mattei e del Programma “Mission 300”, un programma multilaterale guidato dalla Banca Mondiale e dalla Banca Africana di Sviluppo che punta a fornire elettricità pulita e affidabile a 300 milioni di persone nell’Africa subsahariana entro il 2030.

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A settembre +1,2% consumi energia elettrica. Produzione nazionale regge, rinnovabili 41%

Passata la ‘tregua’ estiva, a settembre tornano a crescere i consumi di energia elettrica. Secondo i dati raccolti da Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione nazionale, l’incremento è dell’1,2% nel confronto allo stesso periodo del 2024. In termini assoluti, invece, il consumo è stato di 26 miliardi di kWh, con uno scarto di 1,3 miliardi di kilowattora in più rispetto ad agosto.

A livello territoriale, la differenza si avverte soprattutto al Centro (+1,3 percento) e al Nord (+1,2), ma il Sud e le isole fanno segnare comunque +1,1. “La variazione è stata raggiunta con un giorno lavorativo in più (22 invece di 21) e una temperatura media sostanzialmente stabile rispetto a quella di settembre dello scorso anno – specifica Terna -. Il dato della domanda elettrica, corretto dagli effetti di calendario e temperatura, porta la variazione a +0,4 percento rispetto a settembre 2024”.

Allargando il quadro, però, da gennaio a settembre il fabbisogno nazionale è calato dell’1,2% su base annua. Si conferma buona la performance della produzione nazionale, che lo scorso mese è risultata pari a 22,5 miliardi di kWh, coprendo l’85,3% della domanda, mentre il restante 14,7 percento è frutto del saldo scambiato con l’estero. Import che comunque, nei primi nove mesi dell’anno diminuisce dell’8,9%, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un contributo importante a soddisfare il fabbisogno di energia elettrica italiana viene ancora dalle rinnovabili (40,9%), nonostante i cali di idrico (-4,1%), termico (-2,6 percento), ma soprattutto eolico (-23,4%).

Di contro, sono in terreno positivo la geotermia (+1,2 percento) e il fotovoltaico (+30,7%), che fa segnare un incremento di produzione di 982 Gwh), “dovuto al contributo positivo dell’aumento di capacità in esercizio (+556 Gigawattora) e del maggiore irraggiamento (+426 Gwh)”.

Da gennaio a settembre di quest’anno, ad ogni modo, la capacità rinnovabile in esercizio è aumentata di 4.476 Megawatt e negli ultimi dodici mesi la capacità installata di fotovoltaico ed eolico è salita di 6.576 MW (+13,7%), raggiungendo i 54.542 MW complessivi. In questo senso confortano anche i dati di Terna sulla capacità di accumulo, che al 30 settembre scorso si attestano sui 17.417 Mwh, in aumento del 49,3 percento rispetto all’anno precedente. In potenza nominale si tratta di 7.069 MW per circa 849mila sistemi di accumulo.

Nucleare, via libera al ddl Pichetto. Il ministro: “Guardiamo al futuro con realismo”

Il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via definitiva, il Ddl Pichetto in materia di energia nucleare sostenibile. “Con questo provvedimento – spiega il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin – l’Italia si dota di uno strumento fondamentale per guardare al futuro con realismo e ambizione. Vogliamo essere protagonisti delle nuove tecnologie, dagli SMR e AMR fino alla fusione, nel quadro della neutralità tecnologica e della transizione energetica europea. Il nucleare sostenibile è una scelta di innovazione, sicurezza e responsabilità verso i cittadini, imprese e verso l’ambiente”.

Il provvedimento è stato già esaminato preliminarmente lo scorso 28 febbraio ed è stato acquisito il parere favorevole della Conferenza unificata. Le Regioni e le Province autonome hanno espresso parere favorevole a maggioranza, condizionato all’intesa sui decreti legislativi attuativi, mentre l’ANCI ha chiesto e ottenuto che i Comuni siano coinvolti nelle consultazioni qualora si proceda all’individuazione ex ante di aree aventi le caratteristiche per ospitare gli impianti, con la valutazione di adeguate misure di compensazione per i territori interessati.

Il testo ha l’obiettivo di intervenire in modo organico sulla produzione di energia da fonte nucleare sostenibile e da fusione, inserendola nel “mix energetico italiano” per raggiungere l’indipendenza energetica e gli obiettivi di decarbonizzazione. Il provvedimento supera le precedenti esperienze nucleari e si concentra sull’uso delle migliori tecnologie disponibili, incluse quelle modulari e avanzate.

Più in particolare, il disegno di legge conferisce al Governo una delega per disciplinare in modo organico l’introduzione del nucleare sostenibile, nel quadro delle politiche europee di decarbonizzazione al 2050 e degli obiettivi di sicurezza energetica. La delega prevede, tra l’altro, l’elaborazione di un Programma nazionale per il nucleare sostenibile, l’istituzione di una Autorità per la sicurezza nucleare indipendente, il potenziamento della ricerca scientifica e industriale, la formazione di nuove competenze e lo svolgimento di campagne di informazione e sensibilizzazione. I decreti legislativi attuativi dovranno essere adottati entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge.

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L’Ue avverte l’Italia: “Fare di più per contrastare cambiamento climatico e povertà energetica”

Positivi l’agricoltura biologica, la crescita delle fonti rinnovabili, la riduzione delle emissioni a gas serra. Problematici la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche, l’adattamento ai cambiamenti climatici e la povertà energetica. E’ la fotografia dell’Italia scattata dall’Agenzia europea dell’Ambiente (Aea) nel suo Rapporto sullo stato dell’ambiente.

“L’Italia sta compiendo passi significativi verso la sostenibilità, ma deve affrontare numerose sfide”, evidenzia. Più nel dettaglio, vanno bene “lo sviluppo dell’agricoltura biologica, la crescita delle fonti rinnovabili, che supera il traguardo 2020 e punta al 38,7% entro il 2030, e la riduzione delle emissioni di gas serra”, elenca il documento. “Ampia” è anche l’estensione delle aree protette, sebbene “per contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei sarà necessario compiere ulteriori passi avanti”.

Sul fronte dell’economia circolare, “l’Italia registra un tasso elevato di utilizzo dei materiali”, ma “occorre ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche, rafforzando il riciclo e il riutilizzo delle risorse già presenti sul territorio nazionale”. Dunque, per l’Agenzia, “restano aperte questioni importanti” per l’Italia che vanno “dalle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici alla gestione dei rifiuti, fino alle sfide socio-economiche legate al divario generazionale, alla scarsa mobilità sociale e alla diffusa povertà energetica”. In particolare, “le sfide ambientali si intrecciano con quelle sociali ed economiche, richiedendo un approccio integrato capace di coniugare tutela ambientale, innovazione e benessere collettivo”, precisa il report e, sotto questa luce, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è visto come “strumento decisivo per sostenere sostenibilità, innovazione e competitività”, mentre “la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, in coerenza con l’Agenda 2030, resta il quadro di riferimento per garantire politiche coerenti e di lungo periodo”.

Allargando lo sguardo, il report dell’Agenzia – il settimo quest’anno, dato che viene pubblicato ogni cinque anni a partire dal 1995 – descrive come “non buono” lo stato di salute dell’ambiente europeo perché “continua a subire degrado, sfruttamento eccessivo e perdita di biodiversità”. Non solo: le prospettive per la maggior parte delle tendenze ambientali sono “preoccupanti” e “comportano gravi rischi per la prosperità economica, la sicurezza e la qualità della vita in Europa”.

All’indice ci sono cambiamenti climatici e degrado ambientale che rappresentano una “minaccia diretta per la competitività dell’Europa”. Circa l’81% degli habitat protetti si trova in condizioni mediocri o pessime, dal 60 al 70% dei suoli è degradato e il 62% dei corpi idrici non è in buone condizioni ecologiche. Il cambiamento climatico sta aggravando la scarsità di risorse idriche e, sul fronte energetico, si registra l’impossibilità per il 19% degli europei di mantenere una temperatura confortevole nelle proprie case.

E mentre la frequenza delle ondate di calore estreme è in aumento, solo 21 dei 38 Paesi membri dell’Aea (i Ventisette Ue a cui si aggiungono Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Turchia, Svizzera e i 6 dei Balcani occidentali) dispongono di piani d’azione per la salute in caso di ondate di calore. Inoltre, gli eventi climatici e meteorologici estremi (ondate di calore, alluvioni, frane, incendi boschivi) hanno causato oltre 240 mila morti tra il 1980 e il 2023 nell’Ue, con perdite economiche medie annue che sono state 2,5 volte superiori tra il 2020 e il 2023 rispetto al periodo compreso tra il 2010 e il 2019.

Per queste ragioni, il Rapporto – che arriva in un momento in cui i Paesi Ue hanno approvato un compromesso minimo sulla riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2035 e non sono riusciti a raggiungere un accordo su sulla proposta della Commissione europea di ridurre le emissioni del 90% entro il 2040 rispetto al 1990 – esorta ad accelerare l’attuazione di politiche e azioni, per una sostenibilità a lungo termine, già concordate nell’ambito del Green deal europeo. Un invito subito rimarcato dalla vicepresidente esecutiva della Commissione europea per la Transizione, Teresa Ribera: “Ritardare o rinviare i nostri obiettivi climatici non farebbe altro che aumentare i costi, aumentare le disuguaglianze e indebolire la nostra resilienza. Proteggere la natura non è un costo ma un investimento, nella competitività, nella resilienza e nel benessere dei nostri cittadini”, ha affermato. Mentre per Leena Ylä-Mononen, direttrice esecutiva dell’Aea, “non possiamo permetterci di ridimensionare le nostre ambizioni in materia di clima, ambiente e sostenibilità”.

Mattarella in Kazakistan e Azerbaigian, per Italia partnership cruciali in Asia centrale

Una doppia tappa diplomatica dall’alto valore geopolitico, ma anche geoeconomico. Dal 30 settembre all’1 ottobre il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà in visita ufficiale per la prima volta in Kazakistan e a seguire in Azerbaigian, dove è già stato nel 2018.

Corposa l’agenda degli appuntamenti nei due Paesi, che rappresentano un esempio virtuoso in un contesto globale caratterizzato dagli scenari di guerra, in Ucraina come in Medio Oriente. Kazakistan e Azerbaigian, invece, sono aree del mondo che hanno saputo ritrovare e percorrere sentieri di pace, dialogo e diplomazia, ponendosi come stella polare lo sviluppo delle rispettive potenzialità. Non a caso per l’Unione europea sono interlocutori preziosi e per l’Italia due partner di grande importanza, sul piano energetico ma anche per l’approvvigionamento di materie prime e le infrastrutture, ma non solo. Le relazioni sono molto strette, al punto che lo scorso maggio la premier, Giorgia Meloni, ha partecipato, ad Astana, al Vertice Italia-Asia Centrale.

Per entrambi i Paesi l’influenza della Russia è storicamente forte, ma le evoluzioni che hanno saputo compiere ormai già da qualche anno, ha permesso ad Astana e Baku di compiere passi decisivi verso una visione globale. Certo, Mosca resta un interlocutore importante a livello economico, ma non l’unico. Così come questo cammino ha permesso di sganciarsi anche dall’Iran e dalla Cina. Inoltre, questi due Paesi stanno portando avanti un’opera di dialogo con le altre regioni dell’Asia centrale.

Alla luce dei progressi compiuti, gli orizzonti che si aprono sono decisamente ampi. Con potenzialità di grande livello, che possono rivelarsi vincenti nel contesto in cui si trova l’Occidente, l’Europa e ovviamente il nostro Paese.

Procedendo con ordine, i campi di collaborazione tra Italia e Kazakistan spaziano dal petrolio ai metalli di base, ai cereali: settori che insieme fanno quasi il 90% dell’export kazako verso il nostro Paese. Forte è anche la presenza delle aziende italiane sul territorio: grandi gruppi come Eni, Ferrero, Saipem, Iveco sono realtà consolidate nell’area.

Con l’Azerbaigian la cooperazione è di lunga data, al punto che l’Italia è il primo partner commerciale. Con il gasdotto trans-adriatico, conosciuto con l’acronimo Tap, arriva sulle sponde di Melendugno una consistente quantità di gas che parte dal giacimento Shah Deniz II, dopo aver attraversato Grecia, Albania e Adriatico. Il collegamento funziona così bene che sembra ormai tutto pronto per il raddoppio. Non solo, perché l’ultimo scambio di rilievo è avvenuto proprio alla vigilia del viaggio del capo dello Stato, con il colosso azero Socar che ha rilevato da Api Holding le stazioni di servizio della Italiana Petroli, con closing che dovrebbe avvenire all’inizio del prossimo anno. Senza contare che per mesi Baku Steel è stato in procinto di acquisire l’ex Ilva, ma alla fine ha scelto di ritirarsi dalla corsa per gli stabilimenti di quella che era la più grande azienda siderurgica del nostro Paese.

Per tutte queste ragioni, la visita di Mattarella, accompagnato dal vice ministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, assume una grande importanza. Entrando nel dettaglio, il capo dello Stato incontrerà lunedì 19 settembre il presidente della Repubblica kazaka, Kassym-Jomart Tokayev, per poi trasferirsi nel palazzo del Senato, dove sarà ricevuto dal presidente, Maulen Ashimbayev. A seguire il capo dello Stato vedrà una delegazione della collettività italiana.

Il giorno dopo, 30 settembre, Mattarella terrà un’allocuzione alla Scuola Nazionale per la Pubblica Amministrazione kazaka, istituzione che richiama il vanto di un Paese che ha scelto la strada della modernizzazione e delle riforme, a partire proprio dalla Pa. L’impulso decisivo per la Scuola è arrivato proprio da Tokayev, che ha segnato così un segno di profonda discontinuità dal suo predecessore, Nursultan Nazarbaev, dimessosi nel 2019 dopo essere rimasto in carica per ben 29 anni di fila. Sarà un momento importante della visita del capo dello Stato, che nel suo discorso ripercorrerà lo sviluppo delle relazioni bilaterali tra i nostri Paesi, ma toccando anche temi come lo sviluppo tecnologico, l’arrivo dell’Intelligenza artificiale e come questi strumenti possono essere applicati ai servizi per la cittadinanza.

A seguire, Mattarella visiterà l’Astana Hub, il più grande parco tecnologico internazionale per startup dell’Information Technology dell’Asia centrale, che ospita realtà internazionali. Sarà l’occasione per presentargli alcune iniziative del settore, che contribuiscono all’avanzamento del Kazakistan, aprendo potenziali canali di collaborazione e partenariato economici.

Nel pomeriggio del 30 settembre, poi, il capo dello Stato partirà per Baku, dove in serata parteciperà al pranzo offerto in suo onore dal presidente della Repubblica azera, Ilham Aliyev, con il quale sarà il giorno dopo, 1 ottobre, alla Ada-Azerbaigian Diplomatic Academy, dove è stato realizzato dal 2022 il progetto universitario Italia-Azerbaigian. Sarà un appuntamento di grande valore simbolico, visto che l’istituzione prende spunto proprio grazie ai colloqui tra Mattarella e Aliyev ed è stata fondata in collaborazione la Luiss, l’Università di Bologna, il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino e La Sapienza, si pone come obiettivo quello di rafforzare lo scambio di conoscenze tra i due Paesi, concentrando l’offerta formativa nei campi del design e architettura, agricoltura e scienze alimentari, economia e ingegneria.

Prima di rientrare a Roma, il presidente della Repubblica farà tappa al Cimitero dei Martiri per deporre una corona. Poi l’aereo decollerà in direzione Italia.

Trump show all’Onu: “Cambiamento climatico più grande bufala mai raccontata”

Il cambiamento climatico? “Una truffa, la più grande bufala mai raccontata”. Le politiche green? “Una follia”. L’impronta di CO2? “Non esiste”. In quasi un’ora di discorso senza contradditorio – a fronte dei 15 minuti concessi agli altri capi di Stato e di governo – è dal Palazzo di Vetro dell’Onu – in occasione dell’80esima Assemblea generale delle Nazioni Unite – che l’uragano Donald Trump fa piazza pulita di decenni di ricerche, progetti, politiche internazionali e accordi. Il climate change, per il repubblicano, non esiste affatto e, anzi, agire per contrastarlo significa, soprattutto per l’Europa, “continuare ad autoinfliggersi delle ferite”. La posizione di The Donald in tema ambientale è sempre stata chiara, ma mai in un discorso pubblico aveva messo sul piatto tutto ciò che ruota intorno al clima, dalle politiche energetiche alla salute, dalla manifattura alla Cina, passando per l’Accordo di Parigi al petrolio e al carbone “buono e pulito”.

L’assunto di base è evidente: “Il cambiamento climatico è la più grande truffa mai perpetrata al mondo” da un gruppo di “stupidi”, nel quale rientrano anche le “Nazioni Unite”. Il riscaldamento del pianeta, insomma, è “una bufala”, ed è per questo che “mi sono ritirato dal falso accordo di Parigi sul clima, dove tra l’altro l’America stava pagando molto più di ogni altro paese”. Mettere in campo azioni per non superare +1,5°C è, per Trump, troppo. Il presidente Usa fa un esempio legato all’attualità. Recenti ricerche hanno stimato che il caldo abbia causato almeno 175mila vittime solo in Europa. Negli Usa, invece, si registrano “circa 1.300 decessi all’anno” per la stessa ragione. “Ma dato che il costo” dell’energia “è così elevato” nel Vecchio Continente, “non si può accendere l’aria condizionata. Tutto in nome della finzione di fermare la bufala del riscaldamento globale”. In sostanza per il repubblicano, “l’intero concetto globalista di chiedere alle nazioni industrializzate di successo di infliggersi dolore e sconvolgere radicalmente le loro intere società deve essere respinto totalmente”.

Gli sforzi messi in campo dall’Europa, dalle organizzazioni internazionali, dal mondo delle imprese, dalle Cop sono “una follia”. L’effetto principale di queste “brutali politiche energetiche verdi non è stato quello di aiutare l’ambiente, ma di ridistribuire l’attività manifatturiera e industriale dai paesi sviluppati che seguono le folli regole imposte ai paesi inquinanti che le infrangono e stanno facendo fortuna”. Favorire, quindi, in primis, la Cina, che ora produce “più CO2 di tutte le altre nazioni sviluppate del mondo”.

Quindi, sulla scia dell’ormai celebre ‘Drill, baby drill’, il presidente Usa stronca ogni apertura verso le rinnovabili perché “sono costose da gestire. Sono un grandissimo scherzo”. Per l’Agenzia internazionale dell’Energia (Aie), invece, il 96% delle nuove energie rinnovabili ha un costo di produzione inferiore rispetto ai combustibili fossili. Meglio ripiegare sul “carbone pulito”, che “ci permette di fare qualsiasi cosa”, sul “gas” e sul “petrolio”, dal momento “che ne abbiamo più di ogni altro Paese al mondo”. E poco importa se poco prima il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, aveva parlato di una crisi climatica che “sta accelerando”, sottolineando che “il futuro dell’energia pulita non è più una promessa lontana. È già qui. Nessun governo, industria o interesse particolare può fermarlo. Ma alcuni ci stanno provando”. Appunto.

Dal palco, di fronte a centinaia di delegazioni internazionali, Trump fa la sua predica: “Se non usciamo da questo scherzo che io chiamo il green, non avremo scampo. I vostri paesi non ce la faranno”. Gli Stati Uniti, ne è certo, sono invece “in una nuova età dell’oro”.

“Alcuni passaggi” del lunghissimo discorso del leader Usa convincono la premier Giorgia Meloni, il cui intervento all’Onu è previsto per domani alle 20 (orario di New York). “Sono d’accordo sul fatto che un certo approccio ideologico al Green Deal abbia finito per non rendersi conto che stava minando la competitività dei nostri sistemi e quindi ci sono dei passaggi di Trump che ho assolutamente condiviso”, dice in un punto stampa a margine dell’Assemblea.

La politica di Trump sulle rinnovabili minaccia migliaia di imprese e penalizza Sud

Negli Stati Uniti l’occupazione nel settore dell’energia pulita è cresciuta 3 volte più velocemente rispetto all’economia nel suo complesso nel 2024, aggiungendo quasi 100.000 nuovi posti di lavoro e portando il numero totale di lavoratori nel settore green energy a 3,56 milioni. Tuttavia, a fronte dell’incertezza politica e di un rallentamento generale della crescita economica e delle assunzioni, l’anno scorso la crescita dei posti di lavoro nei settori green ha raggiunto il ritmo più lento dal 2020, creando circa 50.000 posti  in meno rispetto al 2023. E un’ulteriore spallata potrebbe arrivare dalle politiche dell’attuale amministrazione.

Secondo il decimo rapporto annuale ‘Clean Jobs America’ pubblicato da E2, oltre il 7% di tutti i nuovi posti di lavoro creati negli Stati Uniti e l’82% di tutti i nuovi posti di lavoro creati nel settore energetico lo scorso anno riguardavano professioni legate all’energia pulita. Nonostante questo rallentamento, i posti di lavoro nei settori del solare, dell’eolica, delle batterie, dell’efficienza, dello stoccaggio e delle reti e in altri sottosettori dell’energia pulita hanno continuato a crescere più rapidamente dell’economia in generale, rappresentando una quota sempre maggiore della forza lavoro complessiva degli Stati Uniti.

Gli analisti spiegano che sebbene non siano riflessi nei dati del 2024, le recenti azioni politiche del Congresso e dell’amministrazione Trump “hanno già causato ingenti perdite di posti di lavoro nel settore, e si prevede che ne seguiranno altre”. Alcune organizzazioni stimano che oltre 830.000 posti di lavoro potrebbero essere persi solo a causa delle modifiche alla politica energetica contenute nel One Big Beautiful Bill Act, firmato il 4 luglio.

Negli ultimi 5 anni, i settori dell’energia pulita e dei veicoli puliti hanno creato più di 520.000 posti di lavoro, con un incremento del 17%, superando di gran lunga l’aumento dell’occupazione nei settori dei combustibili fossili, dei veicoli a motore a benzina e diesel e nell’economia statunitense in generale. Il settore dell’energia pulita Usa naviga insomma nell’incertezza, scosso dalle recenti decisioni politiche federali di bloccare progetti, revocare crediti d’imposta, cancellare permessi e aggiungere nuova burocrazia normativa e ostacoli legali volti a ostacolare l’energia solare, eolica, i veicoli elettrici e altri settori.

“Questi attacchi alle politiche federali si verificano proprio mentre l’Ufficio di Statistica del Lavoro degli Stati Uniti afferma che le professioni in più rapida crescita in America sono i tecnici di manutenzione delle turbine eoliche e gli installatori di impianti solari fotovoltaici” spiega lo studio di E2, associazione di imprenditori e finanzieri con 100 miliardi di dollari di investimenti in portafoglio. I posti di lavoro nel settore delle energie pulite rappresentano ormai il 42% del totale nel settore energetico in America e il 2,3% della forza lavoro nazionale complessiva.

Attualmente, le persone impiegate in professioni legate alle energie pulite sono più numerose di quelle impiegate come infermieri, cassieri, camerieri e cameriere, o insegnanti di scuola materna, elementare e media. “Questi numeri dimostrano che questo era uno dei settori occupazionali più promettenti e promettenti del Paese alla fine del 2024 – ha affermato Bob Keefe, direttore esecutivo di E2 -. Ora la crescita dell’occupazione nel settore delle energie pulite è seriamente a rischio, e con essa, la nostra economia in generale”.

L’efficienza energetica rimane il settore principale per l’occupazione green Usa. Impiega quasi 2,4 milioni di lavoratori a livello nazionale dopo aver creato 91.000 posti di lavoro nel 2024. Seguono la generazione di energia rinnovabile (569.000 in totale, +9.000 nel 2024) e i veicoli a basse o zero emissioni dirette (398.000 in totale, -12.000 nel 2024). Nonostante un calo generalizzato dell’automotive, i posti di lavoro in quest’ultimo segmento sono infatti cresciuti del 52% dal 2020, creandone 137.000. “Ogni anno, i posti di lavoro nel settore dell’energia pulita diventano sempre più interconnessi e cruciali per la nostra economia nel suo complesso – ha affermato Michael Timberlake, direttore della Ricerca di E2 -. Questi posti di lavoro rappresentano ormai un punto fermo fondamentale per la forza lavoro del settore energetico americano. La solidità del mercato del lavoro statunitense e il futuro della nostra economia energetica sono ormai inscindibili dalla crescita dell’energia pulita”.

E2 rileva peraltro un paradosso politico-economico. Dal 2020 nessuna regione ha creato più posti di lavoro nel settore dell’energia pulita e a un ritmo più rapido del Sud: dal Texas alla Virginia, Stati che si sono rivelati cruciali per l’elezione di Trump nel 2024, le imprese hanno creato 41.000 posti di lavoro contro gli oltre 20mila della West Coast e del New England e i 13mila del Midwest. In totale, 17 Stati hanno visto la loro forza lavoro nel settore dell’energia pulita aumentare di almeno il 20% negli ultimi cinque anni.

Patto Italia-Usa per l’energia: più Gnl americano e Italia hub Mediterraneo

L‘impegno dell’Italia ad acquistare più gas naturale liquido dagli Stati Uniti è siglato in una dichiarazione congiunta firmata Gilberto Pichetto Fratin e dal segretario all’Interno e presidente del Consiglio nazionale per il dominio energetico della Casa Bianca, Doug Burgum. Nero su bianco, Roma riconosce il “ruolo vitale” del gnl degli States per “assicurare la sicurezza nel settore energetico, soprattutto alla luce del panorama geopolitico in evoluzione e dell’importanza di una fornitura adeguata all’Italia e all’Europa di una cruciale fonte energetica di transizione come il GNL e il gas naturale“. Ma nel documento viene anche riconosciuto il “ruolo strategico” dell’Italia come hub nel Mediterraneo.

Nel dossier, c’è l’impegno per la competitività, con semplificazioni normative, per costruire un futuro in campo energetico “più prospero, sicuro e a prezzi sostenibili in linea con le rispettive priorità, obiettivi e piani dei nostri due paesi, all’interno e all’estero”. Un accordo stretto nell’ottica di diversificazione delle fonti e delle vie di trasporto dell’energia. “È una priorità che il Governo si è data anche per rispondere alla domanda dei nostri cittadini e delle nostre imprese cui dobbiamo garantire energia sicura e sostenibile grazie a prezzi accessibili che sostengano la competitività delle nostre industrie, che resta l’obiettivo centrale anche per l’Europa”, osserva Pichetto, che illustra al segretario Usa le iniziative legislative del Governo per riaprire al nucleare. Il Gnl americano “contribuisce alla sicurezza degli approvvigionamenti anche grazie alla maggiore affidabilità della rotta che conduce dagli Usa all’Italia e all’Europa rispetto ai rischi geopolitici che si registrano su altre rotte”, ribadisce il ministro.

Centrale nella dichiarazione congiunta anche il ruolo dell’intelligenza artificiale per l’ottimizzazione e la sicurezza delle reti energetiche. Uno strumento in grado di “rivoluzionare” il settore dell’energia.

Il segretario americano è anche ricevuto dall’inquilino del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, con cui discute di cooperazione nel settore minerario, di progetti congiunti lungo l’intera catena del valore delle materie prime critiche e di investimenti reciproci. “Vogliamo rafforzare la nostra autonomia attraverso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, per raggiungere un ruolo chiave nella duplice transizione, green e digitale”, spiega Urso. Per l’Italia, Washington può diventare un partner strategico per lo sviluppo della value-chain mineraria: si aprono opportunità di cooperazione con aziende statunitensi attive nel campo dell’estrazione, della raffinazione e del riciclo delle materie prime critiche. Roma ha già adottato una legge in materia per analizzare la domanda e i fabbisogni del Paese e rilanciare il settore minerario del Paese, che conta circa la metà delle 34 materie prime considerate critiche dall’Unione Europea. Una delegazione del Mimit parteciperà alla Conference on Critical Minerals and Materials in programma nei prossimi giorni a Chicago.