Da inizio anno 51,2% produzione elettricità da rinnovabili, ma record import energia

Dall’inizio dell’anno il 51,2% della produzione elettrica italiana è da fonti rinnovabili, ma l’import di energia elettrica è a livelli record. Secondo i dati forniti da Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione nazionale, il fabbisogno di elettricità in Italia a ottobre è stato di 25,5 miliardi di kWh, con un aumento marginale dello 0,6% destagionalizzato nei confronti dello stesso mese di un anno fa e differenze territoriali significative: mentre al nord la domanda è aumentata dell’1%, al sud e nelle isole si è registrato un calo del 1,4%. La domanda nel centro Italia è rimasta pressoché invariata (-0,2%).

Guardando ai primi dieci mesi del 2024, il fabbisogno di energia elettrica ha visto una crescita del 2,3% rispetto allo stesso periodo del 2023, con una correzione destinata ad eliminare l’effetto delle fluttuazioni stagionali e del calendario che porta il dato rettificato al +1,4%.

Per quanto riguarda i consumi industriali, lo scorso mese il cosiddetto indice IMCEI (indice mensile dei consumi elettrici industriali), che monitora i consumi delle imprese ‘energivore’, ha registrato una contrazione del 2,3% rispetto a ottobre 2023. Nonostante il dato negativo, alcuni settori hanno segnato performance positive, tra cui la cartaria, i metalli non ferrosi, la siderurgia e l’alimentare. In flessione invece i settori della chimica, dei mezzi di trasporto, del cemento e delle ceramiche.
Sul fronte dei servizi, l’indice Imser, che analizza i consumi di energia nei vari comparti del settore terziario, ha invece mostrato una crescita del 7,6% a partire dai dati di agosto 2024 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Questo incremento si è manifestato in quasi tutti i comparti, a eccezione di quelli dell’informazione, della comunicazione e dei trasporti, che hanno registrato flessioni.

Nel solo ottobre l’energia elettrica consumata in Italia è stata coperta per l’83,7% dalla produzione nazionale, con la restante parte (16,3%) soddisfatta tramite importazioni dall’estero. Il saldo estero è stato inferiore rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, segnando una riduzione del 12,8%. Tuttavia, se si considerano i dati progressivi da gennaio a ottobre, l’import netto è aumentato dell’1,6% rispetto allo stesso periodo del 2023. Record storico con 42,851 miliardi di Kwh.

Per quanto riguarda la produzione, quella nazionale netta ha raggiunto i 21,5 miliardi di kWh. Le fonti rinnovabili hanno contribuito con il 41,2% della domanda elettrica, in netto aumento rispetto al 35,3% di ottobre 2023. Nei primi dieci mesi dell’anno, le rinnovabili hanno coperto il 42,8% del fabbisogno nazionale, contro il 37% dello stesso periodo del 2023. La fonte termica ha visto una diminuzione del 6%, con una marcata riduzione della produzione da carbone (-30,1%). In crescita, invece, le fonti idrica (+55,9%) e fotovoltaica (+1,4%). Il fotovoltaico ha beneficiato di un incremento della capacità in esercizio, che ha più che compensato il calo dell’irraggiamento solare. Nonostante una diminuzione nella produzione eolica (-26,5%), principalmente a causa di scarse condizioni di vento, e della geotermica (-4,8%), le fonti rinnovabili hanno continuato a giocare un ruolo sempre più rilevante nel mix energetico nazionale.

La capacità installata da fonti rinnovabili ha registrato un aumento significativo di 6.042 MW nei primi dieci mesi del 2024, di cui ben 5.482 MW derivanti dal fotovoltaico. Questo incremento supera del 33% quello registrato nello stesso periodo dell’anno precedente e ha già superato il dato complessivo dell’intero 2023, che era stato pari a circa 5.800 MW. Alla fine dello scorso mese l’Italia contava una potenza installata da fonti rinnovabili di 75,2 GW, con il fotovoltaico che ha raggiunto i 35,8 GW e l’eolico i 12,9 GW.

idrogeno

Report authority Ue: “Produzione idrogeno verde lontana da obiettivi europei al 2030”

Il mercato dell’idrogeno verde in Europa sta iniziando a prendere forma, sostenuto da strategie ambiziose a livello dell’Unione Europea e politiche nazionali. Tuttavia, nonostante i progressi significativi, permangono sfide per raggiungere gli obiettivi. E’ quanto emerge dal report di Acer, l’autorità di regolamentazione dell’energia dell’Unione europea. La Ue si è posta come obiettivo strategico di arrivare a consumare 20 milioni di tonnellate (Mt) di idrogeno rinnovabile entro il 2030. Tuttavia, il consumo attuale si attesta a 7,2 Mt, con il 99,7% dell’idrogeno ancora derivante da fonti fossili. La produzione tramite elettrolisi però è ancora marginale, pari a circa 22 kilotonnellate (kt). Anche se gli obiettivi europei in ambito energetico e di decarbonizzazione sono molto chiari, l’adozione di idrogeno rinnovabile da parte di settori come il trasporto e l’industria è lenta, rendendo difficile il raggiungimento del target per il 2030.

Attualmente, l’Europa conta su una capacità installata di elettrolizzatori di poco più di 200 MW. Tuttavia, progetti in costruzione porteranno una capacità aggiuntiva di 1,8 GW entro il 2026, e altri 60 GW di capacità sono stati annunciati, con inizio operazioni previsto entro il 2030, ma molti di questi sono in attesa di decisioni finali sugli investimenti. Sebbene gli strumenti di finanziamento stiano diventando sempre più accessibili, l’incertezza sulla domanda e sulle previsioni di costi dell’idrogeno rappresentano ancora rischi significativi per la loro realizzazione tempestiva.

Gli Stati stanno fissando i propri obiettivi di produzione di idrogeno, capacità degli elettrolizzatori e piani di espansione delle infrastrutture, concentrandosi principalmente sull’idrogeno rinnovabile. Certo è che i livelli di ambizione variano da paese a paese, portando a piani di sviluppo disomogenei. Questa frammentazione si riflette anche negli approcci regolatori: nessun Paese ha ancora integrato nel proprio ordinamento nazionale il pacchetto di decarbonizzazione del gas e dell’idrogeno recentemente pubblicato dall’Ue, sebbene ad esempio Danimarca e Germania abbiano avviato consultazioni su pianificazione delle reti e tariffe di accesso.

Uno degli ostacoli principali alla crescita dell’idrogeno rinnovabile è il suo costo. Attualmente, l’idrogeno prodotto tramite elettrolisi costa da due a tre volte di più rispetto a quello prodotto dal gas naturale. Ma la prima asta della Banca Europea dell’Idrogeno – sottolinea Acer – ha rivelato sviluppi promettenti, con alcuni acquirenti disposti a pagare prezzi vicini ai costi dell’idrogeno rinnovabile, anche sotto i 3 euro/kg. Questo dimostra che ci potrebbero essere riduzioni dei costi in futuro. Tuttavia, l’attuale gap di costo pone rischi per i primi investitori, causando ritardi nelle decisioni e nella presa di impegni a lungo termine.

Un elemento chiave per il successo del mercato dell’idrogeno sarà lo sviluppo di infrastrutture che colleghino i siti di produzione con i centri di domanda, anche se molte delle attuali pianificazioni delle reti si basano su proiezioni di domanda future, anziché su esigenze di mercato immediate, il che potrebbe portare a un sovradimensionamento delle infrastrutture e a un loro scarso utilizzo. E poi, conclude Acer, per raggiungere l’obiettivo di produzione di 10 Mt di idrogeno rinnovabile, l’Europa dovrà fare affidamento su quasi tre quarti dell’elettricità rinnovabile attualmente prodotta nell’Ue. Una necessità che comporterà investimenti significativi nelle infrastrutture di idrogeno ed elettricità per connettere gli elettrolizzatori con i siti di produzione di energia rinnovabile.

Enel cresce ancora in nove mesi 2024: utile +16,2%, produzione a zero emissioni per l’82%

In nove mesi del 2024 Enel raggiunge nuovi risultati positivi. Una crescita trainata dalle rinnovabili e le reti per quel che riguarda l’Ebitda, ma soprattutto dall’azione manageriale degli ultimi mesi in Sudamerica, che ha portato a ottimi successi per il Gruppo.

Entrando nel dettaglio, il margine operativo lordo si attesta a 17,4 miliardi di euro, con un incremento del 6,5% rispetto allo stesso periodo del 2023. “L’andamento è attribuibile al positivo contributo dei business integrati, guidati dalla performance delle energie rinnovabili, che ha beneficiato della progressiva normalizzazione del mercato delle commodity, nonché della buona disponibilità delle risorse rinnovabili, compensando ampiamente la contrazione dei margini nei mercati finali e nella generazione da fonte termoelettrica”, spiega Enel. Rimarcando: “Positivo, al netto delle variazioni di perimetro, anche l’apporto delle attività di gestione delle reti di distribuzione, grazie al maggior volume di investimenti”. L’Ebitda, invece, è 18.5 miliardi (+22,2%).

Il risultato netto ordinario del Gruppo è 5,8 miliardi (+16,2%), un aumento “principalmente riconducibile all’andamento positivo della gestione operativa ordinaria, unitamente alla riduzione degli oneri finanziari netti e alla minore incidenza delle interessenze dei terzi”. Cala ancora anche l’indebitamento finanziario netto, unico segno meno ‘gradito’ all’azienda: 58,1 miliardi (-3,3%). Per quanto riguarda i ricavi il risultato è 57,6 miliardi (-17,1%), mentre il Cda ha deliberato un acconto sul dividendo 2024 di 0,215 euro per azione, che sarà in pagamento dal 22 gennaio 2025.

Nei nove mesi del 2024 abbiamo registrato solidi risultati, guidati dalla resilienza e dal bilanciamento geografico del nostro portafoglio di asset e da un maggior presidio delle iniziative di advocacy in America Latina – commenta il Cfo di Enel, Stefano De Angelis -. Vorrei inoltre evidenziare come il completamento del Piano di dismissioni entro la fine dell’anno ci consente di prevedere per il 2024 un rapporto tra indebitamento finanziario netto ed Ebitda pari a circa 2,4x, valore che si colloca al di sotto della media del settore”.

L’azienda, inoltre, conferma la guidance relativa all’esercizio 2024con la previsione di un Ebitda ordinario compreso tra 22,1 e 22,8 miliardi di euro e un utile netto ordinario compreso tra 6,6 e 6,8 miliardi di euro”.

Altri dati molto positivi sulla produzione di energia, che in 9 mesi dell’anno energia sale a 147,24 Twh, con le Rinnovabili che fanno un balzo a 8,03 Twh. Così come la produzione a zero emissioni raggiunge l’82% della generazione totale del Gruppo Enel, che conferma “l’ambizione a lungo termine di azzerare le emissioni dirette e indirette entro il 2040”.

Le 5 proposte della chimica italiana per evitare una lenta agonia

L’industria chimica in Italia è rappresentata da oltre 2.800 imprese e 112.000 addetti, un settore strategico con un valore di produzione di 67 miliardi di euro e quasi 40 miliardi di export. Tuttavia, uno studio di The European House Ambrosetti, presentato durante questa mattina durante l’assemblea di Federchimica, evidenzia come una politica industriale mirata potrebbe generare un incremento di 22,2 miliardi di valore aggiunto, apportando benefici economici all’intero sistema manifatturiero, stimati in 33,3 miliardi di euro e creando oltre 50mila nuovi posti di lavoro. Questa analisi, ha spiegato Francesco Buzzella, presidente di Federchimica, durante la sua relazione, “rappresenta una proposta corale che tutte le parti sociali di settore mettono a disposizione del Governo per promuovere iniziative a favore di un settore strategico come la chimica”, che “vive in anticipo e in modo amplificato il nuovo scenario di ‘policrisi’ che condiziona tutta l’industria”.

Pesano le stringenti regole ambientali Ue. “Paghiamo un prezzo carissimo, quello di una normativa che favorisce il primato ecologico dell’Europa a dispetto della competitività industriale”, ha evidenziato ancora Buzzella. Il gap competitivo è evidente, con il costo dell’energia in Italia ben superiore rispetto ad altri Paesi europei. “Serve un mercato unico europeo dell’elettricità,” ha affermato sottolineando il potenziale dell’Italia come hub energetico nel Sud Europa, integrando anche fonti rinnovabili e nucleari di nuova generazione. E proprio la chimica, ha proseguito Buzzella, si configura come una soluzione fondamentale per la transizione ecologica. “Senza chimica non c’è industria”, ha detto mettendo in risalto il fatto che i prodotti chimici sono essenziali nel 95% dei manufatti quotidiani e nelle applicazioni strategiche. “La transizione ecologica richiederà non meno, ma più chimica”, con necessità di investimenti in tecnologie innovative come il riciclo chimico e l’idrogeno rinnovabile.

Cinque sono le proposte concrete avanzate alle istituzioni, e non solo, da Federchimica. La prima, appunto è quella ci creare un mercato unico europeo dell’Elettricità, perché è essenziale garantire l’accesso a forniture energetiche a costi competitivi, mantenendo l’energia elettrica a livelli pari o inferiori rispetto agli altri Paesi europei. E in questo senso – sostiene l’associazione – l’Italia dovrebbe essere valorizzata come hub energetico per il Sud Europa, promuovendo gas, stoccaggio di CO2 e rinnovabili. Poi – seconda proposta – il settore chimico, deve essere accompagnato nella transizione ecologica evitando regolamentazioni eccessive. È necessaria una spinta verso investimenti in tecnologie innovative, come il riciclo chimico e l’idrogeno rinnovabile. Altra idea sul tavolo: per facilitare la decarbonizzazione della chimica, occorre rafforzare i finanziamenti provenienti dai permessi per le emissioni di CO2, raggiungendo anche in Italia il limite massimo di compensazione del 70%, come previsto dalla normativa europea. È inoltre cruciale – come emerge dalle proposte presentata all’assemblea di Federchimica – stabilire un quadro normativo che contempli obiettivi ambiziosi ma realizzabili, rispettando il principio di neutralità tecnologica. Qualsiasi restrizione sull’uso di sostanze deve considerare l’efficacia della gestione del rischio e la mancanza di valide alternative. L’Italia – in questo ambito – deve valorizzare la sua posizione di “eccellenza” nel riciclo, creando un vero Mercato Unico per la circolarità e migliorando la qualità delle materie prime seconde. Inoltre, si devono stimolare pratiche come l’Ecodesign e la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR). Infine, è fondamentale investire nella formazione e nelle competenze del settore, promuovendo programmi formativi e aumentando l’orientamento verso le professionalità tecnico-scientifiche nelle scuole.

“Urgono cambiamenti radicali e massicci investimenti per rifondare l’economia nel segno dello sviluppo sostenibile e dell’innovazione high-tech. Altrimenti – ha sintetizzato Buzzella usando le parole di Mario Draghi‘sarà una lenta agonia’. La chimica, per la sua natura virtuosamente pervasiva in tutti i processi manifatturieri, può esserne il volano per tutto il Made in Italy”.

Assovetro, Ravasi: Ridurre consumi energia è missione, obiettivo net zero tra 2040-2050

“Siccome siamo un settore energivoro consumiamo l’1,5% del metano nazionale e l’1% di elettricità nazionale, l’obiettivo è quello di ridurre significativamente i consumi energetici. Ma soprattutto è una missione”. Lo dice il presidente di Assovetro, Marco Ravasi, a margine del convegno ‘La transizione ecologica del vetro. Innovazioni e tecnologie per decarbonizzare l’intera filiera produttiva’. “Negli ultimi venticinque anni li abbiamo già ridotti del 50% passando dal gasolio al metano, efficientando i nostri impianti – aggiunge -. Ora bisogna veramente fare un salto utilizzando idrogeno e tecnologie quali la carbon capture, quindi la cattura della Co2 emessa dai nostri fumi. L’obiettivo finale è essere net zero tra il 2040 e il 2050. Cioè, non avere emissioni di Co2”.

Utilitalia-Svimez: “Filiere di acqua, energia e ambiente valgono il 4,7% del Pil del Sud”

La dimensione economica delle utility meridionali è quantificabile in 11,5 miliardi di euro (2023), circa il 24% del valore aggiunto realizzato dall’intero comparto italiano. Considerando il contributo offerto dalle imprese che operano sull’intera filiera delle utility, si sale a circa 16,1 miliardi: pari al 4,7% del Pil del Mezzogiorno. Rispetto alle altre filiere, quella delle utility si contraddistingue al Sud per una marcata vocazione industriale: le imprese estrattive e manifatturiere realizzano infatti oltre il 52% del valore aggiunto complessivo. Lo rivela il ‘Rapport Sud’, di Utilitalia e Svimez, presentato a Palermo, che che valuta gli impatti economici e occupazionali del settore delle utility (ambientale, idrico ed energetico) nelle regioni del Mezzogiorno. Questa quarta edizione, inoltre, contiene una valutazione sulle principali sfide che il comparto dovrà affrontare nei prossimi anni.

“Il sistema delle imprese dei servizi di pubblica utilità, in sostanza, riveste una posizione centrale rispetto ai temi della crescita economica, dell’accessibilità ai diritti essenziali, del cambiamento climatico e dell’autonomia strategica sulle forniture energetiche. Per superare dunque le criticità residue, promuovendo lo sviluppo industriale, un esempio positivo è dato dalle reti d’impresa”, si legge in una nota.

Lo scorso luglio è stato firmato da 9 utilities del Mezzogiorno il Contratto di Rete che ha costituito la Rete Sud, l’iniziativa attraverso la quale le imprese associate a Utilitalia hanno deciso di fare squadra per migliorare i servizi offerti ai cittadini ed affrontare congiuntamente le principali sfide operative, finanziarie e regolatorie del momento”.

“Con questa iniziativa – spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – la Federazione ha voluto fornire un contributo concreto per un maggiore sviluppo dei servizi pubblici al Sud, che soffrono una eccessiva frammentazione e una ancora troppo diffusa presenza di gestioni in economia. Fare rete tra i gestori è un passo importante per rafforzare il sistema delle imprese dei servizi pubblici secondo una logica industriale, un percorso obbligato per migliorare i servizi forniti ai cittadini e per generare impatti positivi sull’occupazione e sull’indotto locale”.

Transizione energetica, economia circolare e adattamento ai cambiamenti climatici: sono questi i pilastri su cui si fondano le sfide e le azioni per rilanciare l’economia delle utility nel Mezzogiorno. “Le utility – evidenzia Luca Bianchi, direttore generale della Svimez – assumono un ruolo decisivo nel supportare i segnali di ripresa dell’economia meridionale, favorendo la trasformazione strutturale che i sistemi economici territoriali dovranno avviare per contrastare e vincere le sfide legate al cambiamento climatico e ai nuovi equilibri economici globali. Il rapporto fa emergere il ruolo effettivo e potenziale del settore delle utility nell’attivare e qualificare le connessioni economiche locali, attirare investimenti e migliorare i servizi per cittadini e imprese, in un’ottica evolutiva per cui è necessario partire dalle vocazioni produttive territoriali per sostenere i processi di sviluppo, ammodernamento e diversificazione”.

Il Sud Italia, del resto, ha il maggiore potenziale su scala nazionale di produzione da fonti rinnovabili (eolico e solare). Oggi il Mezzogiorno gioca un ruolo decisivo nel settore fotovoltaico, contribuendo per circa il 35% della capacità totale installata, che è in crescita in tutte le regioni del Sud: per raggiungere i target del Fit for 55, la capacità fotovoltaica addizionale (53,6 GW) prevista entro il 2030 si concentrerà per il 61% nel Mezzogiorno. Tra le misure suggerite dalla Federazione per implementare il settore figurano l’integrazione verticale della filiera, lo sviluppo di soluzioni integrate per offrire servizi innovativi, l’incoraggiamento dell’autoproduzione e il ricorso a investimenti in digital e tecnologie innovative.

In tema di rifiuti il Sud Italia sconta ancora un importante gap dal punto di vista impiantistico, per cui è difficile chiudere il ciclo ed evitare l’export verso altre regioni o l’estero nonché il conferimento in discarica. Per quanto riguarda i rifiuti indifferenziati, per centrare i target europei al 2035 sull’economia circolare, il fabbisogno impiantistico a livello nazionale e principalmente concentrato nelle regioni centro-meridionali è stimato da Utilitalia in 2,5 milioni di tonnellate; migliore è la situazione per quanto concerne i rifiuti organici, grazie ai numerosi impianti recentemente attivati o in costruzione, grazie anche ai finanziamenti del Pnrr.

La siccità del 2023-2024 che ha colpito il Sud Italia e sta interessando ancora duramente la Sicilia, mette in risalto le vulnerabilità del sistema infrastrutturale idrico. Per uscire dalle logiche emergenziali e rendere il settore più resiliente agli effetti dei cambiamenti climatici in corso, è necessario superare alcune criticità dal punto di vista della governance e delle infrastrutture. “Sono ancora troppe le gestioni in capo agli enti locali nelle regioni del Sud Italia che, con una bassissima capacità di investimento (appena 11 euro per abitante nel 2022, contro una media nazionale di 70 euro), non consentono una rapida attuazione degli interventi necessari. Bisogna dunque incentivare la crescita orizzontale e verticale dei gestori, per migliorare la capacità gestionale anche attraverso il controllo degli enti di governo d’ambito”, prosegue il comunicato.

Carlos Mendes Pereira nuovo responsabile Comunicazione e Public Affairs Italia di Dri

Carlos Alberto Mendes Pereira è il nuovo responsabile Comunicazione e public affairs per l’Italia di DRI la società con sede ad Amsterdam che opera nel settore delle rinnovabili in Europa, parte del gruppo energetico ucraino DTEK. Dopo quasi un anno, durante il quale é stato il portavoce di ICE, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, e del presidente Matteo Zoppas, Mendes Pereira torna a occuparsi di energia dove ha lavorato prima al Forum Nucleare Italiano e poi a lungo all’Enel dove é stato Responsabile Media Italia.

DRI è impegnata nella realizzazione di impianti solari, eolici e sistemi di accumulo in Italia, Croazia, Polonia e Romania. Attualmente la società ha impianti già attivi in Romania mentre altri sette sono in fase di sviluppo. DRI prevede la realizzazione di 5GW di impianti rinnovabili e batterie in Europa di cui 2GW in Italia entro il 2030 dove ha quattro progetti in diverse fasi di sviluppo e uffici a Milano e Roma.

Aie avverte: “Picco domanda combustibili fossi entro il decennio ma ancora lontani da target”

Più della metà dell’elettricità mondiale proverrà da fonti a basse emissioni di carbonio entro la fine del decennio, ma il mondo, ancora dipendente dai combustibili fossili, è ancora “lontano da una traiettoria allineata” con gli obiettivi di neutralità del carbonio, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia.

Abbiamo vissuto l’era del carbone e del petrolio e ora stiamo entrando ad alta velocità nell’era dell’elettricità, che definirà il sistema energetico globale in futuro e sarà sempre più basata su fonti pulite”, afferma il direttore esecutivo dell’Aie Fatih Birol, citato nella pubblicazione del rapporto annuale dell’organizzazione, World Energy Outlook 2024. In questo rapporto, basato sulle politiche attuali, l’Aie conferma la sua previsione di un picco della domanda di tutti i combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) “entro la fine del decennio”, contrariamente alle stime dell’industria del petrolio e del gas e dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec).

Con l’energia nucleare, oggetto di un rinnovato interesse in molti Paesi, e l’ascesa del solare e delle batterie, le fonti (energetiche) a basse emissioni dovrebbero produrre più della metà dell’elettricità mondiale entro il 2030”, afferma l’Aie. L’agenzia per l’energia dell’Ocse descrive una sete di elettricità determinata dall’industria, dalla mobilità elettrica, dalle esigenze dell’intelligenza artificiale e degli 11.000 centri dati nel mondo, nonché dalla climatizzazione. Sebbene vi sia un “crescente slancio per le transizioni energetiche pulite”, “il mondo è ancora lontano da una traiettoria allineata agli obiettivi di neutralità delle emissioni di carbonio per il 2050”, sottolinea l’Aie, invitando ad accelerare.

Il rapporto precede di un mese la conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la COP29, che si terrà a Baku dall’11 al 22 novembre. Mentre questa conferenza si concentrerà sui finanziamenti per il clima, quella tenutasi a Dubai nel 2023 ha prodotto un accordo che apre la strada alla graduale eliminazione dei combustibili fossili, le cui emissioni stanno riscaldando il pianeta. Alla COP28, i governi si sono impegnati ad agire per triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030, un obiettivo ritenuto essenziale se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Secondo il rapporto dell’Aie, la capacità di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili passerà dagli attuali 4.250 GW a quasi 10.000 GW nel 2030, una cifra certamente “inferiore” all’obiettivo di triplicare, ma “più che sufficiente, in totale, a coprire la crescita della domanda globale di elettricità e a spingere la produzione di energia elettrica da carbone verso il declino”.

Con l’aumento delle “tecnologie pulite”, l’Aie prevede che le emissioni globali di CO2 raggiungeranno il picco “prima del 2030”. Ma “in assenza di un forte calo successivo, il mondo è sulla buona strada per raggiungere un aumento di 2,4°C della temperatura media globale entro la fine del secolo”, ben al di sopra dell’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi, fissato a +1,5°C. “Il 2024 ha dimostrato che la domanda di elettricità è insaziabile e l’Aie presume che rimarrà tale (…) Questo significa che il mondo non sta ancora abbandonando i combustibili fossili e riducendo le emissioni di CO2 nel settore energetico”, ha commentato Dave Jones, direttore del programma di prospettive del think tank Ember.

Secondo l’Aie, “nel 2023 è stato installato un livello record di energia pulita in tutto il mondo, ma due terzi dell’aumento della domanda di energia sono stati ancora soddisfatti dai combustibili fossili”.

Questi ultimi copriranno poco meno dell’80% della domanda globale di energia nel 2023, una quota che è diminuita molto gradualmente dal 2011, quando si attestava all’83%. Soprattutto nei Paesi del Sud del mondo, l’aumento del fabbisogno energetico ha continuato a spingere i combustibili fossili, compreso il carbone, che ha raggiunto un consumo record nel 2023, l’anno più caldo mai registrato. L’Aie prevede inoltre che la capacità di esportazione di gas naturale liquefatto (GNL) aumenterà di quasi il 50% nel prossimo futuro. Secondo l’Aie, si tratta di una “impennata”, ma anche di un “eccesso di capacità” per questo gas, che viene trasportato via nave ed è molto richiesto dopo i drastici tagli alle forniture russe a terra.

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Diminuiscono gli edifici inquinanti in Italia: per la prima volta sotto il 50%

Migliorano in modo significativo le prestazioni energetiche del parco edilizio nazionale certificato nel 2023, con una percentuale di edifici nelle classi energetiche meno efficienti (F e G) che scende sotto il 50% per la prima volta dall’inizio delle rilevazioni. È quanto emerge dal V Rapporto annuale sulla Certificazione Energetica degli Edifici, realizzato da Enea e Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente sulla base degli Attestati di Prestazione Energetica (Ape) registrati nel Siape e presentato oggi a Roma in un evento che ha visto la partecipazione, tra gli altri, dei presidenti di Enea e Cti, Gilberto Dialuce e Cesare Boffa. Nel 2023 sono stati registrati sul Siape 1,1 milioni di Ape, di cui la quota più consistente è stata emessa in Lombardia (21,7%), con a seguire Piemonte (9,2%), Veneto (8,7%), Emilia-Romagna (8,5%) e Lazio (8,3%).

A conferma del miglioramento delle prestazioni energetiche, nel residenziale il Rapporto evidenzia un incremento di circa il 6% delle classi energetiche più efficienti (A4-B) rispetto al 2022. Un’ulteriore tendenza positiva è la crescita della percentuale di Ape emessi conseguenti a riqualificazioni energetiche e ristrutturazioni importanti, che rappresentano rispettivamente il 7,9% e il 6,4% (+2,3% e +2,4% nel confronto con il 2022). Questo è confermato anche dagli attestati collegati a passaggi di proprietà e locazioni che risultano in calo rispetto al 2022 (-5,3%), pur continuando a rappresentare il 54,2% del campione analizzato.

L’edizione 2024 del Rapporto si è concentrata anche sui nuovi strumenti e metodi di analisi sviluppati per migliorare la qualità degli Ape, in particolare sulle metodologie di controllo utilizzate dai certificatori, sia durante la fase di predisposizione dell’Ape che in quella successiva. Il Report presenta anche dei focus sul percorso di perfezionamento dei Catasti Energetici Unici regionali, in funzione del possibile sviluppo del Catasto Unico Nazionale, del Portale nazionale per la Prestazione Energetica degli Edifici e delle altre applicazioni informatiche predisposte da Enea.

Infine, il Rapporto, illustra, evidenziando un generale consenso, i risultati di un sondaggio a cui hanno risposto oltre 10 mila certificatori, chiamati a esprimersi sugli aspetti significativi del processo di redazione dell’Ape, dalla qualifica del professionista, al reperimento dei dati, ai rapporti con gli altri attori del processo, alla percezione dell’utilità di questo importante strumento.

Il Rapporto Enea-Cti evidenzia come la certificazione energetica non rappresenti soltanto un strumento tecnico per valutare le prestazioni degli immobili e più in generale del patrimonio edilizio italiano, ma anche uno strumento per migliorarne l’efficienza, favorendo l’adozione di soluzioni tecnologiche innovative che riducano i consumi”, dichiara il presidente Enea, Gilberto Dialuce. “In un contesto di grandi sfide come quelle della transizione energetica e della decarbonizzazione, l’Ape offre la possibilità di diffondere una cultura energetica più matura, di incentivare comportamenti virtuosi e investimenti mirati al miglioramento di efficienza e sostenibilità”.

La nuova edizione del Rapporto mette in risalto come il meccanismo della certificazione energetica funzioni e produca risultati rilevanti. Ed è proprio questa la sua funzione. Costituire un importante strumento di lavoro che con il periodico monitoraggio della situazione consente al legislatore e agli operatori, ma anche a noi Enea e Cti che l’abbiamo elaborato, di valutare l’evoluzione e i risultati delle strategie nazionali a supporto della transizione energetica e della decarbonizzazione e di individuare sempre nuovi spunti di miglioramento. Tutto questo è confermato dai risultati positivi mostrati nel Rapporto 2024”, spiega il presidente del Cti, Cesare Boffa.

Nucleare, Pichetto: “A inizio 2025 in Parlamento il disegno di legge”. Il Governo valuta l’uso degli impianti esistenti per le scorie

La road map è chiara: entro fine ottobre i risultati del lavoro della Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile, poi entro la fine del 2024 una bozza di testo per la legge-delega che possa abilitare la produzione da fonte nucleare tramite le nuove tecnologie nucleari sostenibili e, nei primi mesi del 2025, il vaglio del Parlamento proprio sul testo. Nel mezzo, lo studio del quadro giuridico, avanti con la ricerca e l’ipotesi di “ammodernare le strutture esistenti, eventualmente ampliandole”, per il deposito delle scorie radioattive. Senza dimenticare la valutazione della “necessità di istituire un soggetto attuatore nazionale, in grado di mettere a sistema il lavoro sin qui sviluppato”.

DECARBONIZZAZIONE AL 2050. L’audizione presso le Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera è l’occasione per il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, per fare il punto sul ruolo dell’energia nucleare nella transizione energetica. E su questo il titolare del Mase non ha dubbi: “sarà centrale anche in un’ottica di decarbonizzazione al 2050” in modo “sostenibile, sicuro e competitivo”, senza “preconcetti ideologici o politici” e “abilitando tutte le tecnologie, sia quelle esistenti sia quelle future”. Buone sarebbero anche “le ricadute sul Pil”, perché produrre energia nucleare in Italia consentirebbe di “aumentare l’occupazione”, e di rappresentare “un motore per il settore industriale nazionale”, capace anche di ridurre la dipendenza dalla Cina, leader nei settori “del fotovoltaico e dei sistemi di accumulo elettrochimici”. Inoltre, “non produce emissioni di CO2” e “tutela il paesaggio” perché richiede uno scarso consumo di suolo.

PICCOLI IMPIANTI MODULARI. Pichetto garantisce che non si sta ragionando per “riaprire le centrali nucleari di grandi dimensioni della prima o seconda generazione”, ma solo sui “piccoli impianti modulari, i cosiddetti Small Modular Reactor, che presentano livelli di sicurezza molto superiori alla grande maggioranza” delle strutture esistenti. Nucleare di terza o quarta generazione, dunque, da integrare – come ricorda “la letteratura scientifica” – con le rinnovabili “non programmabili (eolico e fotovoltaico)”, per arrivare a una quota tra l’11% e il 22% del totale dell’energia richiesta al 2050. “In base ai dati tecnici forniti dalla Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibiledice Pichettoè stato possibile prevedere anche una piccola quota di energia da fusione a ridosso dell’anno 2050″.

IL GRUPPO DI LAVORO.  Il lavoro da fare, però, è tanto. Entro la fine del mese la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile presenterà i suoi risultati che “rappresenteranno una base oggettiva di dati e valutazioni tecniche, non politiche” per tracciare la strada del governo. La Piattaforma è stata istituita presso il Mase in collaborazione con Enea e Rse ed è articolata in sette gruppi di lavoro. Collaborano aziende, industrie, università, enti regolatori, istituti di ricerca e associazioni di categoria. La scelta del nucleare, ricorda Pichetto, non solo è “sostenibile”, ma anche economicamente vantaggiosa. In uno scenario al 2050, integrare il nucleare con le fonti rinnovabili consentirebbe di risparmiare almeno 17 miliardi di euro.

GLI ASPETTI GIURIDICI. Il governo sta lavorando anche sugli aspetti giuridici legati all’utilizzo di questa forma di energia, perché “è necessario un quadro legislativo e normativo chiaramente definito”. Nell’ambito della Piattaforma per il nucleare sostenibile, ha ricordato Pichetto, “sono già state definite una serie di proposte di revisione di aspetti essenzialmente autorizzativi, ma serve un riordino complessivo della normativa del settore, integrandola in un quadro unificato”. Il primo passo del gruppo di esperti, ha annunciato il ministro, è la presentazione entro la fine del 2024 una bozza di testo per la legge-delega che possa abilitare “la produzione da fonte nucleare tramite le nuove tecnologie nucleari sostenibili come gli SMR, AMR e microreattori”. Questo disegno di legge-delega “sarà quindi sottoposto al vaglio parlamentare nei primi mesi del 2025”.

DEPOSITO DELLE SCORIE NUCLEARE. Tasto dolente è quello del Deposito nazionale delle scorie radioattive, la cui mancata definizione è già costata all’Italia una procedura di infrazione da parte della Commissione europea. Ma il processo è lungo, perché per le 51 aree idonee per la costruzione del Deposito serve il completamento della procedura di Valutazione Ambientale Strategica. passaggi burocratici che si uniscono anche alle proteste dei territori. Ma, dice Pichetto, si tratta di una questione “cruciale “per il nostro futuro, che dobbiamo affrontare con la massima serietà e trasparenza”. Ecco perché, annuncia, “negli ultimi tempi stiamo anche valutando soluzioni alternative, con pari livello di sicurezza”, che è quella di “ammodernare le strutture esistenti, eventualmente ampliandole, sfruttando la possibilità di farlo in località potenzialmente già idonee alla gestione in sicurezza di rifiuti radioattivi, anche nell’ottica del rientro dall’estero dei rifiuti ad alta attività che lì si trovano per riprocessamento da diversi anni”. Si tratta di 100 depositi su 22 siti, distribuiti su tutto il territorio nazionale “perché in Italia di producono dai 300 ai 500 metri cubi di rifiuti medicali di bassa e media attività all’anno”. “Spesso si tratta di strutture, presenti al Sud, al Centro e al Nord, isole comprese – ricorda – con le quali il territorio convive da molti anni e che in alcuni casi necessitano semplicemente di un ammodernamento in termini strutturali e tecnologici”.

LA REPLICA DELL’OPPOSIZIONE. Per Angelo Bonelli, portavoce di Europa Verde e parlamentare di Avs, Pichetto “non ha risposto” in merito agli “impatti economici che graveranno sulla finanza pubblica” e “ha omesso di sottolineare che i reattori SMR sono ancora solo prototipi e che gli Stati Uniti hanno abbandonato il progetto Nuscale a causa dei costi eccessivi”. Sul piede di guerra anche il Movimento 5 Stelle. “La narrazione del ministro Pichetto Fratin sugli scenari del nucleare in Italia non ha alcun supporto tecnico”, attacca il deputato Enrico Cappelletti, secondo il quale effettivamente resta il nodo dei costi. “Alcune stime –dice – parlano di 50 miliardi di investimenti, e chi sarà a pagare l’ipotesi di riavviare la produzione di energia nucleare, consapevole che importanti istituti finanziari indicano questa tecnologia tra le più costose?”.

Per il Pd si tratta di “un progetto irrealizzabile, gravato da costi enormi e difficoltà tecniche insormontabili”, ma anche “di un percorso insostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico, senza contare i tempi decisamente più lunghi rispetto a quanto finora dichiarato dal governo”, dicono i capigruppo democratici nelle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, Marco Simiani e Vinicio Peluffo e i deputati Christian Di Sanzo e Augusto Curti.