L’Italia mette al minimo le centrali a carbone, primo passo verso lo spegnimento totale

L’Italia si avvia verso il phase out dal carbone. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha infatti firmato l’atto di indirizzo a Terna, all’Autorità di Regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) e al Gestore servizi energetici (Gse) per la rimodulazione della produzione di energia elettrica da carbone, olio combustibile, bioliquidi sostenibili e biomasse solide, invertendo quindi l’atto dello scorso 31 marzo, che aveva l’obiettivo di ottimizzare l’utilizzo dei combustibili diversi dal gas al fine di generare un risparmio di questa materia prima strategica si è ravvisata l’opportunità di rimodulare il piano di massimizzazione del carbone.

Ho firmato l’atto di indirizzo a Terna, coinvolgendo Arera, che prevede una riduzione al minimo delle centrali a carbone e anche la cessazione dell’utilizzo di olio combustibile“, annuncia il ministro, a margine dell’assemblea di Cida. Spiegando che “questo determina un passaggio verso il nuovo, verso una prospettiva, speriamo, di abbandono poi totale del carbone, naturalmente con gradualità“, continua Pichetto, specificando che “al momento vengono tenute al minimo per ragioni di sicurezza, perché il quadro internazionale è ancora tale che non sappiamo quale potrà essere il futuro sul fronte energetico.

Nel frattempo, però, “le politiche di diversificazione messe in atto dal Governo – aggiunge il ministro – ci hanno consentito di raggiungere in anticipo l’obiettivo di risparmiare 700 milioni di metri cubi di gas entro il 30 settembre del 2023. Gli stoccaggi riempiti all’82% già a fine giugno e la maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili – conclude Pichetto – ci hanno consentito di attivare queste nuove disposizioni che riescono a tenere insieme due dei grandi obiettivi: velocizzare la decarbonizzazione garantendo la sicurezza energetica del nostro Paese”.

La Danimarca è sempre più green: ora punta alle isole energetiche

Che tutti vogliano la transizione green è ormai ovvio. Ma c’è chi, fra i Paesi europei, ha trasformato la volontà in fatti, già a partire dagli anni ‘70. E’ la Danimarca, che proprio in quel periodo iniziò ad accorgersi, con largo anticipo, che per proteggersi dai rigidi inverni del Nord l’energia proveniente dal Medioriente non era abbastanza. E, soprattutto, non era sicura. Così è iniziata la ricerca, con la convinzione che “sicurezza energetica equivale a sicurezza nazionale”, secondo Magnus Hojber Mernil, capo della comunicazione di State of Green, partnership pubblico-privata senza scopo di lucro tra il governo danese e le tre principali associazioni imprenditoriali del Paese (Confederazione dell’industria danese, Green Power Denmark e Consiglio danese per l’agricoltura e l’alimentazione).

La forza della Danimarca nel perseguire la transizione è stata la sua stabilità interna. Dagli anni ‘70 a oggi si sono susseguiti molti governi, l’uno in contrasto con l’altro, di destra e di sinistra. Ma una cosa non è mai cambiata: la politica energetica. E così, nel 2019 il clima è diventato addirittura il tema più importante della campagna elettorale: ognuno voleva essere considerato il partito più green, e la gara continua ancora oggi. Il tutto con l’obiettivo di abbandonare gas e carbone, puntando sull’eolico, per essere completamente indipendenti a livello energetico. Cosa che è sostanzialmente accaduta, mantenendo esclusivamente come backup le importazioni da Norvegia, Svezia e Paesi Bassi. Senza aperture al nucleare, come deciso negli anni ‘80. Anche se, pure qui, con la possibilità di quello di quarta generazione qualche discussione politica inizia a nascere. Ma, al momento, spiega Mernil, “produciamo l’energia che ci serve, non abbiamo blackout. Siamo un Paese piccolo”, ammette.

Nel 2020 il Paese ha deciso di ridurre del 70% le emissioni di CO2 entro il 2030. Incredibilmente a oggi sono già calate del 40%. E per quell’ultimo 30% rimanente come si può fare? Secondo la Danimarca la chiave di volta sta proprio nelle partnership pubblico-privato. E dopo lo sviluppo dell’eolico offshore, ora l’orizzonte è quasi visionario: costruire delle vere e proprie isole dell’energia. Con queste, le turbine eoliche per la produzione dell’energia potrebbero essere posizionate più distanti dalla costa, rispetto a quanto lo sono oggi, e ciò permetterebbe non solo di incrementare lo sfruttamento dei venti presenti, ma anche di distribuire l’energia generata dai parchi eolici in maniera più efficiente tra diversi Paesi, in quanto le isole avrebbero anche la funzione di hub per la raccolta dell’energia prodotta dai diversi parchi eolici offshore. Senza considerare che più lontane le turbine sono dalla costa, meno danno fastidio ai cittadini. Anche se, chiosa Mernil, “bisogna avere il coraggio di dire che la transizione green è più importante di un puntino in lontananza che ‘rovina’ il paesaggio”.

Inoltre, gli architetti danesi hanno aiutato gli esperti di costruzioni idriche a sviluppare un progetto per la costruzione di isole energetiche con il minor impatto negativo possibile sull’ambiente marino circostante, utilizzando materie prime, come la sabbia, già disponibili sul sito. E pare che questo addirittura possa contribuire a migliorare la biodiversità dell’area, non solo a preservarla. Il progetto di sviluppo si basa su un approccio unico che percepisce le forze marine, come le onde e le maree, come opportunità esterne che possono essere utilizzate per mantenere le spiagge artificiali – in contrasto con l’approccio tradizionale, in cui l’ambiente marino è considerato un generatore di problemi. Questo approccio, noto anche come ‘ingegneria dolce’, “riduce l’impatto negativo sull’ambiente e crea soluzioni più sostenibili rispetto ai progetti di ingegneria dura, come la costruzione di dighe, pennelli e altre strutture“, spiega il dottor Nicholas Grunnet, responsabile della Dinamica costiera ed estuarina dell’Istituto idraulico danese.

Teleriscaldamento urbano green? In Danimarca è possibile

Un teleriscaldamento verde è possibile? La risposta è sì, e l’esempio è visivile in Danimarca. Din Forsyning è un’azienda multiutility che opera nei comuni di Varde ed Esbjerg. Nell’ambito delle attività di Din Forsyning nel comune di Esbjerg, l’azienda si occupa della produzione e della distribuzione di teleriscaldamento in alcune zone del comune. Din Forsyning contribuisce attivamente, attraverso il dialogo e la cooperazione, a una gestione efficiente e sostenibile delle risorse della società, tra cui acqua potabile, acque reflue, calore e riciclo dei rifiuti.

Din Forsyning ha lanciato un importante piano verde per sostituire la produzione di calore della sua centrale a carbone con una produzione di calore sostenibile. La soluzione complessiva è costituita da una serie di soluzioni individuali più piccole collegate a una rete di distribuzione centrale, con l’obiettivo di avere molti piccoli impianti, invece di quelli più grandi.

Una di queste soluzioni, ad esempio, è l’utilizzo del calore in eccesso proveniente da aziende di produzione locali, dal trattamento delle acque reflue o da futuri centri dati. Se un’unità non può produrre a causa di un guasto o di problemi di servizio, sarà possibile, attraverso la rete, collegare i clienti con altre unità.

L’eolico si produce in casa: l’esempio della Danimarca

Se il vento è una fonte energetica, per sua stessa natura, ‘prodotta in casa’ e non implica alcuna dipendenza da Paesi esteri, diverso può essere il caso delle turbine necessarie a immagazzinarlo. Lo sa bene la Danimarca, che nell’eolico, soprattutto offshore, è leader mondiale. Per questo nel Paese si è deciso di produrre internamente le tecnologie e i materiali necessari per sostenere l’uso di elettricità interno con l’energia eolica.

Ecco perché SEMCO, produttore di piattaforme eoliche offshore, ha deciso di aprire i suoi stabilimenti e Esbjerg. Qui facilita la progettazione, la fabbricazione, l’installazione, l’assistenza e la manutenzione di impianti offshore, fornendo una gestione completa di tutte le fasi dei progetti energetici. In collaborazione con i suoi partner, SEMCO Maritime ha completato con successo la progettazione e la costruzione di oltre 20 sottostazioni offshore, diventando così leader nelle soluzioni e nei servizi EPCI (Engineering, Procurement, Construction, Inspection) per l’industria eolica offshore. I loro specialisti interni coprono tutti gli elementi coinvolti nella connessione dell’impianto eolico offshore alla rete terrestre.

Sempre a Esbjerg ha poi deciso di aprire il suo magazzino Vattenfall, un’azienda energetica internazionale che ha l’obiettivo di rendere possibile una vita senza fossili entro una generazione, trasformando le proprie attività e aiutando altre aziende a farlo. Nata in Svezia, Vattenfall collabora con l’industria e i governi di Svezia, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, Francia, Danimarca e Finlandia.

Dopo la chiusura delle centrali a carbone di Amsterdam e Amburgo, e oltre alla costruzione di Hollandse Kust Zuid, il primo parco eolico offshore al mondo esente da sovvenzioni, Vattenfall smetterà di utilizzare il carbone in tutte le sue attività, investirà in più energia eolica e solare e aiuterà a elettrificare i processi industriali.

Il magazzino di Vattenfall al porto di Esbjerg è il più grande del Nord Europa con i componenti principali e i pezzi di ricambio critici per le turbine eoliche. Lo scopo del magazzino centrale di Esbjerg è quello di rifornire i parchi eolici di Vattenfall in Nord Europa di componenti critici per le turbine eoliche, come riduttori, generatori, trasformatori, alberi e pale, nonché dei componenti principali necessari per portare l’elettricità a terra, come i cavi degli array e i quadri elettrici. Vattenfall gestisce più di 1.300 turbine eoliche onshore e offshore nell’Europa settentrionale, distribuite in parchi che vanno dalla Svezia settentrionale alla Danimarca, alla Germania e ai Paesi Bassi. I parchi sono monitorati dalla sala di controllo locale di Vattenfall a Esbjerg.

Le tre vite di Esbjerg: da porto peschereccio a hub mondiale eolico

Esbjerg, città portuale nell’Ovest della Danimarca, ha già vissuto tre vite. Nata come principale porto peschereccio del Paese, è stata in grado negli anni Settanta-Ottanta di adattarsi al declino del settore della pesca cogliendo le opportunità legate all’esplorazione alla ricerca di gas e petrolio nel Mare del Nord. Negli ultimi anni, invece, seguendo le ambizioni di una transizione green, ha deciso di rinnovarsi ancora una volta, emergendo come uno dei principali hub mondiali per l’eolico offshore. Non solo installando al largo il proprio parco eolico in mare aperto, ma costruendo intorno una vera e propria industria, un indotto, che porta la città a produrre ed esportare componenti per turbine in tutto il mondo.

Non a caso Esbjerg, nel 2022, ha ospitato il primo vertice sul Mare del Nord, che ha riunito i leader dei Paesi della regione e ha portato ad una dichiarazione congiunta che prevede di “sviluppare il Mare del Nord come centrale elettrica verde d’Europa, un sistema di energia rinnovabile offshore che collega Belgio, Danimarca, Germania e Paesi Bassi, ed eventualmente altri partner del Mare del Nord”.

E Esbjerg, oggi, è veramente il luogo dove si può toccare con mano la transizione energetica. Oltre a quella che ha vissuto e sta vivendo la città stessa. E’ riuscita a sfruttare le dimensioni del suo porto per diventare leader nel mercato delle turbine: pochissimi altri posti al mondo possono maneggiare strutture di tali dimensioni. Basta pensare che, a oggi, la turbina più grande, da 15 gigawatt è alta all’incirca 250 metri, ossia come la Torre Eiffel. Difficile immaginare altri luoghi dove poter mobilitare simili grandezze, a meno di costruirli da zero con enormi costi economici e ambientali. Il ricollocamento del porto come hub energetico, inoltre, ha creato circa 10mila posti di lavoro. La stima è che a ogni gigawatt di energia prodotta corrispondano 9,45 posti di lavoro della durata di circa 30 anni. Un’ottima opportunità per una piccola città che avrebbe altrimenti rischiato di scomparire.

Danimarca verso le isole energetiche del vento: e pensa già all’export

Per essere sempre più indipendente a livello energetico, oltre che 100% green, nel 2020 il Parlamento della Danimarca ha raggiunto l’accordo per uno dei più ambiziosi progetti di energia rinnovabile esistenti. Si tratta della nascita delle prime due isole energetiche basate sull’eolico al mondo, una naturale e una artificiale, che sorgeranno a circa 100 chilometri dalle coste del Paese: la costruzione della prima isola energetica artificiale, che sorgerà sull’isola esistente di Bornholm, nel Mar Baltico, sarà attiva dal 2030 e avrà una capacità di 3 GW, assicurando il fabbisogno energetico di 3 milioni di famiglie; la seconda, costruita artificialmente nel Mare del Nord, e quindi di fattura un po’ più complessa, avrà una capacità di 3 GW nel 2033 e di 10 GW nel lungo periodo. Mentre il primo progetto avanza spedito, però, il secondo negli ultimi giorni ha subito una battuta d’arresto. La Danimarca ha infatti deciso di rivalutarlo a causa degli alti costi e dei rischi. “Alla luce delle sfide finanziarie, dovrebbero essere esplorate alternative in grado di rendere il progetto redditizio“, ha affermato il ministero dell’Energia.

Intanto, prosegue velocemente il progetto dell’isola energetica nel Mar Baltico. A svilupparlo è Energinet, impresa pubblica indipendente di proprietà del ministero danese per il Clima, l’energia e i servizi pubblici. Energinet possiede, gestisce e sviluppa i sistemi di trasmissione dell’elettricità e del gas in Danimarca. La missione sociale di Energinet è quella di convertire il sistema energetico con l’obiettivo di garantire che i cittadini e le imprese utilizzino energia rinnovabile per ogni necessità, con un alto livello di sicurezza di approvvigionamento e a un prezzo accessibile.

Il vantaggio delle isole energetiche sta nel fatto che possono mettere in comune l’energia proveniente da più parchi eolici offshore e indirizzarla direttamente a diversi Paesi. Facilmente comprensibile, in un Paese di poco più di 5 milioni di abitanti: se l’energia prodotta con l’eolico offshore potrà effettivamente coprire il fabbisogno di oltre 10 milioni di persone, l’export diventerà quasi una tappa obbligata. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla filosofia precedente, che prevedeva la costruzione di parchi eolici offshore isolati con una connessione elettrica a una sola area. Per questo sono già stati stipulati accordi politici con Germania, Belgio e Paesi Bassi per avviare l’analisi dei collegamenti con le isole energetiche. Un accordo vantaggioso per i Paesi che vi parteciperanno, ma anche per la Danimarca stessa che con le sue isole-hub potrà anche ricevere energia dagli altri Stati per assicurarsi un sistema stabile e la sicurezza delle forniture. L’ambizione è, quindi, diventare un hub dell’energia per il Nord Europa. Il vantaggio geografico c’è, appuntamento al 2030 per verificare l’effettiva nascita dell’infrastruttura.

L’eolico offshore: pilastro della transizione energetica

L’inesorabile marcia verso la neutralità climatica è ormai iniziata nell’Unione Europea. L’Ue ha fissato l’ambizione a lungo termine di diventare neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Si è inoltre impegnata a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 (in particolare attraverso una serie di proposte pubblicate nel 2021, con il pacchetto Fit for 55). Al centro di questo impegno c’è il concetto di riduzione del consumo energetico (attraverso misure di efficientamento) e l’aumento della produzione e dell’utilizzo di energia rinnovabile al posto dei combustibili fossili.

I ministri dell’Energia e i membri del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico su un nuovo obiettivo per le energie rinnovabili per il 2030, che impegna l’Ue a raggiungere almeno il 42,5% di energie rinnovabili nel mix energetico, e idealmente il 45%, entro la fine di questo decennio. Si tratta di una cifra all’incirca doppia rispetto a quella del 2021. Ma spetta a ciascun Paese dell’Ue decidere come intende raggiungere questo obiettivo.

Molti Paesi stanno già investendo nell’eolico onshore. Tuttavia, la capacità di generazione dell’eolico offshore tende a essere significativamente più alta, in buona parte grazie a un vento più costante in assenza di ostacoli come colline, edifici o alberi. WindEurope, l’associazione che rappresenta le tecnologie eoliche in Europa, stima che i fattori di capacità per i nuovi parchi eolici onshore siano tra il 30-35%. Per i nuovi parchi eolici offshore, questa cifra oscilla tra il 42 e il 55%.

Nel 2020, la Commissione ha delineato le numerose opportunità di generazione di energie rinnovabili offshore nella Strategia dell’Ue per le energie rinnovabili offshore. La strategia evidenzia l’enorme potenziale dell’Ue sia per l’energia eolica offshore che per l’energia oceanica, con i suoi 5 bacini marini. La strategia conclude che “l’energia rinnovabile proveniente dai mari può essere sfruttata da una grande varietà di tecnologie, rendendola una pietra miliare della transizione energetica pulita“.

La capacità eolica offshore installata nell’Ue era di 14,6 GW nel 2021. La sfida è ora quella di accelerare l’aumento della capacità fino a raggiungere una cifra che, secondo le stime dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), potrebbe essere 25 volte superiore entro la fine del decennio.

Ok alla remissione in bonis per il Tax credit luce e gas

È possibile avvalersi della “remissione in bonis” al fine di sanare la mancata trasmissione della comunicazione che, originariamente, doveva essere trasmessa entro il 16 marzo 2023 al fine di poter proseguire nella compensazione dei tax credit luce e gas relativi al III e IV trimestre 2023 a partire dal 17 marzo 2023.
“La tanto attesa notizia arriva con la risoluzione n. 27 del 2023 dell’Agenzia delle Entrate – spiega Rosa Santoriello, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – con cui precisa che il mancato invio della comunicazione entro il 16 marzo 2023 non rappresenta un elemento costitutivo dei crediti richiamati. La sua omissione, infatti, non ne inficia l’esistenza, ma ne inibisce l’utilizzo in compensazione, qualora lo stesso non sia già avvenuto entro il 16 marzo 2023. Si tratta, dunque, di un adempimento di natura formale”.
“Per salvare i crediti non compensati – prosegue Santoriello – si rende quindi necessario presentare, prima di effettuare compensazioni, la comunicazione originariamente omessa e versare la sanzione dovuta, pari a 250 euro tramite F24 ELIDE”.

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Bollette, bonus sociale prorogato fino al 30 settembre 2023

Prorogato fino al 30 settembre 2023 il Bonus sociale per aiutare i meno abbienti a pagare le bollette.

Ricordiamo che l’art.1, commi da 17 a 19, della legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio 2023) ha modificato i requisiti di accesso nel settore elettrico e in quello del gas aumentando da 12.000 a 15.000 euro il valore soglia dell’ISEE per accedere alle agevolazioni per l’anno 2023 con riferimento ai clienti domestici economicamente svantaggiati.

Sono state prorogate le agevolazioni relative alle tariffe per la fornitura di energia elettrica – sostiene Marco Cuchel, presidente dell’Associazione Nazionale Commercialisti – riconosciute ai clienti domestici economicamente svantaggiati o in gravi condizioni di salute e la compensazione per la fornitura di gas naturale deve essere rideterminata dall’Arera”.

La misura prevede inoltre la riduzione dell’aliquota IVA al 5% alle somministrazioni di gas metano usato per combustione per usi civili e industriali contabilizzate nelle fatture emesse per i consumi stimati o effettivi nei mesi di luglio, agosto e settembre 2023.

Prevista la riduzione al 5 per cento dell’aliquota IVA anche in relazione alle forniture di servizi di teleriscaldamento nonché somministrazioni di energia termica prodotta con gas metano in esecuzione di un contratto servizio energia.

“Per tutto il terzo trimestre inoltre – prosegue Cuchel – è previsto l’azzeramento delle altre aliquote degli oneri generali di sistema per il settore gas”.

Nessuna proroga per il contributo straordinario, sotto forma di credito d’imposta, a favore delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale.

Meloni: “Sostenibilità, ma senza smantellare l’economia”. In arrivo il Piano Transizione 5.0

Transizione ecologica sì, ma “con criterio“. All’assemblea generale di Assolombarda, la premier Giorgia Meloni tranquillizza gli industriali e ribadisce che la strategia del governo è quella di puntare a una sostenibilità ambientale che cammini di pari passo con quella sociale ed economica: “Vogliamo difendere la natura, ma con l’uomo dentro – spiega -. Non si può ritenere che per avviare la transizione ecologica si possano smantellare la nostra economica e le nostre imprese”.

Il governo a Bruxelles è impegnato sul nuovo fronte della governance, la riforma del Patto di stabilità e crescita: “La sfida è sugli investimenti. Se l’Europa fa delle scelte strategiche, come transizione verde, digitale ma anche difesa, poi non si possono punire le nazioni che investono su questi temi con regole che non riconoscano il valore aggiunto di quegli investimenti“, afferma la premier. In altre parole, si tratta di scomputare le spese per gli investimenti dal calcolo del rapporto deficit/Pil.

Quanto ai soldi del Pnrr, “li metteremo a terra, costi quel che costi. Faremo tutto ciò che va fatto e metteremo tutti ai remi”, garantisce.

Mi è piaciuto sentire dalle parole del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: una narrazione diversa nei confronti dell’industria“, plaude il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Approva una visione di investimenti “con l’uomo al centro, che è quindi l’industria 5.0“.

Tra le prime misure che verranno finanziate con i fondi europei, per almeno 4 miliardi di euro, c’è proprio il Piano Transizione 5.0, per “avere un credito fiscale significativo, come quello che si aveva fino al 31 dicembre dello scorso anno per investimenti in green e digitale delle imprese. Fondamentale per incentivare le imprese a investire“, fa sapere il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.

E’ reduce da un trilaterale importante a Berlino con i ministri di Francia e Germania, Bruno Le Maire e Robert Habeck, sulle materie prime critiche: “Stiamo agendo in sede europea per la politica industriale“, afferma. Lo definisce l’inizio di un nuovo format, in cui Roma, Parigi e Berlino, “le tre grandi economie europee“, decideranno insieme sulle grandi sfide della politica economica e industriale del Continente e sui dossier all’esame delle istituzioni europee, sia per il settore dell’Automotive sia sugli altri dossier che hanno un impatto sul sistema industriale.
Il ministro delle Imprese porterà in Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, nei primi giorni di agosto, anche il ddl sulla microelettronica, che “definirà il Piano Nazionale italiano in similitudine al chips act europeo per fare dell’Italia il paese ideale in cui investire sull’economia digitale e la tecnologia green“.

La politica sui semiconduttori “si inserisce in un piano più ampio che volto a rendere l’Italia competitiva in settori ad alto contenuto tecnologico“, conferma Meloni, che fa sapere di voler dare all’Hi-tech “particolare attenzione“, per attrarre nuove imprese dall’estero ed evitare fughe di quelle che operano in Italia.

L’inizio di agosto sarà anche il momento in cui Urso darà l’avvio ad altri due dossier fondamentali per la politica industriale italiana: il piano nazionale siderurgico per le principali acciaierie italiane (Terni, Piombino, Taranto in testa) e l’accordo con Stellantis sulla transizione per l’automotive. “Penso che nelle prossime settimane sia doveroso e possibile invertire la tendenza. Nello scorso anno in Italia si sono prodotte solo 473mila autovetture, quando 10 o 20 anni fa c’erano ben altri numeri – ricorda il ministro -. Il delta sul mercato interno è di un terzo di produzione nazionale e due terzi realizzate e importate dall’estero. In Francia siamo ai 2/3 di produzione interna, la Germania produce internamente il 119% delle auto. Questo delta italiano va assolutamente ridotto“. E nell’accordo con l’unica casa produttrice di auto in Italia, è convinto, lo spazio per “invertire la tendenza c’è“.