A Bruxelles tavolo ministri Energia: sul piatto price cap e mercato elettrico

Le prime idee della Commissione europea di riforma del mercato elettrico europeo potrebbero arrivare sul tavolo dei ministri dell’energia già oggi, lunedì 19 dicembre, al Consiglio che li vedrà impegnati a sbloccare lo stallo sul ‘price cap’. “Questo è un tema su cui stiamo lavorando molto intensamente ed è uno dei punti all’ordine del giorno del Consiglio Energia di lunedì prossimo”, ha chiarito il portavoce della Commissione Ue per l’energia, Tim McPhie, nel corso del briefing quotidiano con la stampa venerdì scorso, rispondendo a una domanda sulle tempistiche di presentazione del documento di consultazione sulla riforma del mercato, di cui una proposta è attesa entro il primo trimestre 2023.

A detta del portavoce, alla riunione dei ministri dell’energia, la commissaria Kadri Simson presenterà “alcune delle nostre idee iniziali su come potrebbe essere la futura riforma dei mercati dell’elettricità”. Dovrebbe essere presentato un non-paper (documento informale) dal momento che i documenti scritti “contribuiranno allo scambio di vedute con i ministri, come sempre. Ma in questa fase non posso dirvi se (il documento) è stato inviato agli Stati membri e non posso dirvi se è qualcosa che potremmo condividere”, ha precisato il portavoce. I documenti informali vengono trasmessi alle capitali per contribuire alle discussioni ma generalmente non vengono resi pubblici.

In un primo tempo scettica sull’argomento, è dalla scorsa primavera che Bruxelles ha pienamente “abbracciato” l’idea di una riforma del mercato elettrico europeo che non sia solo una risposta alle necessità immediate, ma una soluzione a lungo termine per ottimizzarne il funzionamento. Ha promesso una proposta legislativa a inizio 2023, ma con la prospettiva di pubblicare entro la fine dell’anno un documento di consultazione perché gli Stati membri possano contribuire a elaborarla. I quattro pilastri della riforma del mercato elettrico erano stati anticipati qualche settimana fa in una audizione all’Europarlamento da Mechthild Worsdorfer, vicedirettrice generale della DG ENER della Commissione europea, che ha confermato che nella proposta di riforma ci sarà disaccoppiamento dei prezzi del gas e dell’elettricità per evitare il cosiddetto ‘effetto contagio’.

Priorità sarà disaccoppiare il più possibile le bollette dei consumatori dal costo delle tecnologie inframarginali (come le rinnovabili e il nucleare, che costano di meno), dei prezzi dell’energia elettrica prodotta dal gas da quella prodotta da altre fonti di energia, per evitare l’effetto contagio dei costi. La seconda priorità indicata dalla funzionaria è quella di ridurre la volatilità dei prezzi, migliorare la liquidità del mercato. In terzo luogo, sarà necessario garantire “gli scambi commerciali (di energia) tra gli Stati membri”, per cui Bruxelles continua a guardare alle interconnessioni “ma dobbiamo anche assicurare che la nuova riforma sia integrata nel mercato interno”. In ultimo, c’è la necessità di introdurre “sistemi di regolamentazione per portare tutti i benefici della transizione energetica nel settore dell’elettricità’”, ha concluso.

Per Bruxelles una riforma del mercato elettrico è necessaria perché va adattato alle condizioni di oggi, essendo “disegnato” sulle esigenze di 20 anni fa, quando le energie rinnovabili avevano un costo molto più elevato rispetto a oggi e rispetto al gas. Oggi il mercato è completamente diverso, sono le rinnovabili ad essere più convenienti a livello di prezzi, con il gas più costoso che però finisce per definire l’intero prezzo (dell’energia) sul mercato. Il disaccoppiamento dei prezzi dovrebbe intervenire proprio su questo. Gli Stati membri hanno mantenuto a lungo posizioni diverse sulla revisione del mercato elettrico in una situazione di estrema volatilità dei prezzi. Se sono diverse le delegazioni a essersi convinte della necessità di un intervento sul mercato, nei fatti si trovano su posizioni molto diverse tra di loro su come realizzarlo. Più restii all’idea su un intervento massiccio sul mercato (come anche sul tetto al prezzo del gas, il ‘price cap’) la Germania e i Paesi Bassi, contrari in generale a un intervento sul mercato.

Quello di oggi dovrebbe essere il primo scambio di pareri, con l’idea di arrivare poi alla proposta vera e propria a inizio 2023. Il punto sarà affrontato in maniera marginale dai ministri, essendo tra le “varie ed eventuali” dell’agenda. Saranno impegnati a strappare un accordo politico sul tetto al prezzo del gas, sbloccando a loro volta anche i regolamenti sull’accelerazione dei permessi alle rinnovabili e sugli stoccaggi di gas, legati al tetto al prezzo del gas in una logica ‘a pacchetto’.

Meloni spinge sul price cap al gas: Ue verso “accordo pieno e positivo”

Un accordo “pieno e positivo” sul price cap al gas. Usa proprio questi due aggettivi il ministro per gli Affari europei con delega al Pnrr, Raffaele Fitto, per spiegare le sensazioni del governo italiano sul prossimo Consiglio energia, che dovrà fare un passo avanti decisivo sulla misura attesa ormai da mesi per mitigare gli effetti dei rincari. “Ci sono dettagli tecnici che potrebbero essere risolutivi“, si limita a dire per spiegare che mancano le classiche limature, su cui lavoreranno i ministri competenti e i tecnici nel prossimo fine settimana.

Del resto la premier, Giorgia Meloni, lo aveva detto chiaro e tondo nelle comunicazioni alle Camere prima del Consiglio europeo che avrebbe sollevato il tema, visto che dal Consiglio energia di inizio settimana non sono arrivate “novità sostanziali“. Anzi, in un passaggio più articolato aveva riferito che non c’era “nessuna novità apprezzabile“: giudizio che fa il paio con l’insoddisfazione della precedente proposta avanzata dalla Commissione Ue. La presidente del Consiglio ha sempre sostenuto la necessità che l’Europa si dotasse di un tetto massimo al prezzo del gas, per mettere un freno all’azione degli speculatori. E prima di volare a Bruxelles lo ha ribadito chiaro e tondo: “Credo che si tratti di un errore l’incapacità di trovare una soluzione efficace in tempi rapidi sulla vicenda energetica, perché c’è in ballo la tenuta del nostro sistema produttivo, delle nostre aziende, delle nostre famiglie. Ma c’è in ballo anche la capacità dell’Ue di agire come attore politico nel contesto internazionale“.

Ecco perché ieri al tavolo con gli altri leader Ue ha chiesto un soluzione rapida al problema del caro-energia. Da quanto è trapelato, Meloni avrebbe insistito per un meccanismo di riduzione del prezzo del gas, rilanciando impegno e dibattito sul price cap. Inoltre, avrebbe fatto notare ai partner europei come il tempo perso nel trovare un’intesa sul meccanismo di riduzione del prezzo sia in realtà in contraddizione rispetto alla discussione sulla competitività dell’industria europea nei confronti degli altri concorrenti globali, sollevando anche nel consesso continentale le critiche all’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti.

In attesa che Bruxelles muova le sue mosse, la premier continua a tessere la tela delle relazioni internazionali. Con il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, ha avuto un “cordiale e fruttuoso incontro” per “confermare la stretta cooperazione tra Italia e Grecia sui temi al centro dell’agenda europea e internazionale, con particolare attenzione al Mediterraneo“. Non solo, perché Meloni rilancia sui social la foto assieme ai primi ministri di Repubblica Ceca e Polonia, Petr Fiala e Mateusz Morawiecki, scrivendo di aver “degli ultimi sviluppi riguardo l’aggressione russa all’Ucraina e della questione energetica. Lavoriamo insieme per affrontare le difficili sfide globali e costruire un futuro di pace e sicurezza“. L’idea di creare un nuovo ‘Piano Mattei’ e fare del nostro Paese l’hub di approvvigionamento energetico dell’Europa, insomma, inizia a prendere corpo.

Von der leyen

Intesa Ue sui nuovi capitoli Pnrr per indipendenza energetica

Intesa Ue per aggiornare i piani di ripresa e resilienza con capitoli aggiuntivi dedicati a centrare gli obiettivi del ‘REPowerEU’, il piano presentato a maggio scorso per affrancare l’Unione dai combustibili fossili russi.

Dopo neanche sette mesi dalla proposta della Commissione, i negoziatori del Consiglio e del Parlamento europeo hanno raggiunto nella notte un accordo provvisorio sul ‘REPowerEU’, per dare modo agli Stati membri di aggiungere un nuovo capitolo dedicato a centrare gli obiettivi di indipendenza energetica (ad esempio, aumentare l’efficienza energetica negli edifici e nelle infrastrutture energetiche critiche o aumentare la produzione di biometano sostenibile) ai loro piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr) varati nel quadro del fondo di ripresa Next Generation Eu.

Accolgo con favore l’accordo politico sul REPowerEu. Mentre l’Europa sta voltando le spalle al gas russo, REPowerEU è il nostro piano per garantire un futuro di energia pulita. Questo accordo sblocca risorse significative per implementare il nostro piano, a beneficio dell’intera Ue”, ha salutato l’accordo in un tweet la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

L’intesa tra colegislatori – che deve essere formalizzata da entrambe le istituzioni – chiarisce come il piano dovrebbe essere finanziato. Nell’idea della Commissione Europea, il piano dovrà essere finanziato con quasi 300 miliardi di euro, di cui circa 72 miliardi in sovvenzioni che arriveranno in sostanza dalla possibilità concessa ai governi (facoltativa) di dirottare fino a 26,9 miliardi di euro dai fondi di coesione e fino a 7,5 miliardi di euro dalla Politica agricola comune (Pac).

Le uniche sovvenzioni fresche in senso proprio saranno 20 miliardi di euro che colegislatori dell’Ue hanno deciso di finanziare per il 60% con risorse dal Fondo per l’innovazione (12 miliardi di euro) e per il 40% dall’anticipazione delle quote del mercato del carbonio, il sistema Ets (8 miliardi), che oggi sono ferme nella riserva di stabilità del mercato.

Tutte queste risorse saranno in maniera obbligatoria vincolate, spiegano fonti comunitarie, all’attuazione del capitolo aggiuntivo al PNRR che tutti gli Stati membri dovranno redigere per l’attuazione del REPower. Quanto alla chiave di ripartizione dei fondi – spiega una nota del Consiglio – sarà una formula che terrà conto della politica di coesione, della dipendenza degli Stati membri dai combustibili fossili e dell’aumento dei prezzi degli investimenti.

Gli Stati membri avranno la possibilità di trasferimenti volontari dalla Riserva di aggiustamento della Brexit. Oltre alle sovvenzioni, la proposta della Commissione punta a mettere a disposizione i 225 miliardi di euro di prestiti non spesi dai governi dal ‘Next Generation Eu’ e redistribuirli tra i governi. Per ora non è possibile fare un calcolo preciso di quante risorse potrebbero spettare all’Italia. Dopo l’entrata in vigore del regolamento (presumibilmente da gennaio) i governi avranno trenta giorni di tempo per dichiarare se intendono utilizzare la loro quota di prestiti non utilizzati. Una volta avanzate tutte le richieste, Bruxelles potrà calcolare quanti di questi 225 miliardi di prestiti potranno essere finalmente utilizzati allo scopo. L’Italia, che ha già usato tutti i prestiti del Recovery, potrebbe usufruire di 2,7 miliardi dalla quota dei 20 miliardi di euro di fondi aggiuntivi e per ora è l’unica cifra definita. Inoltre, l’accordo prevede che gli Stati membri che dispongono di fondi di coesione non spesi del precedente quadro finanziario pluriennale (2014-2020) avranno la possibilità di utilizzarli per sostenere le PMI e le famiglie vulnerabili particolarmente colpite dagli aumenti dei prezzi dell’energia. Secondo la Commissione Ue i fondi non spesi per l’esercizio finanziario 2014-2020 potrebbero arrivare fino a 40 miliardi di euro.

paolo gallo

Gallo (Italgas): Con biometano e idrogeno sostituiremo gas russo

Paolo Gallo è un ingegnere aeronautico laureato al Politecnico di Torino che negli anni ha sviluppato un’altra passione (professionale) così intensa e così profonda da portarlo dov’è adesso, a capo di Italgas, la più antica e performante azienda italiana di distribuzione del gas. Non a caso, aerei e gas hanno spinto Gallo a scrivere un libro, ‘Diario di volo’, che può essere considerato il manifesto del futuro. Al centro di tutto, la digitalizzazione delle reti: “Nel breve-medio periodo dobbiamo realizzare delle reti intelligenti, digitali, flessibili che hanno come effetto immediato quello di migliorare il servizio che forniamo al cliente finale e di cambiare il modo in cui noi gestiamo le reti, in maniera meno passiva”, racconta. “Nel lungo termine questa digitalizzazione ha anche un altro uso: serve a gestire gas diversi, che non sia solo il metano. Penso al biometano e all’idrogeno, a zero contenuto di carbonio. Conoscere la miscela di gas che in un determinato momento attraversa la nostra rete è fondamentale”, dice tutto d’un fiato.

La location dell’intervista a GEA è quella della Digital Factory nella sede milanese di Italgas. Biometano e idrogeno solo il filo conduttore della chiacchierata con Gallo, classe 1961, torinese, una devozione per la montagna e la Juventus. “Il biometano è l’energia rinnovabile più pronta per un motivo semplice: perché il trattamento dei rifiuti nella sua forma più evoluta è sul mercato da più di 15 anni. La tecnologia per la trasformazione del rifiuto da biogas prima a biometano dopo è assolutamente consolidata. Noi abbiamo più di 2 miliardi di metri cubi di gas prodotto dal trattamento dei rifiuti che potrebbero diventare un miliardo e mezzo di metri cubi in più se facessimo l’upgrade degli impianti”, racconta. Con una pianificazione progettuale abbastanza secca: “Abbiamo un potenziale, non domani ma in qualche ora, di 2 miliardi di metri cubi di biometano. Se noi lo proiettiamo di qui a qualche anno, possono diventare 8-10 miliardi che rappresentano il traguardo del RepowerEu. Insomma, la tecnologia è provata, il potenziale c’è, l’ unico problema è l’aspetto delle autorizzazioni per sviluppare centinaia di impianti di biometano”.

L’idrogeno ha una prospettiva più in là nel tempo. E Gallo fissa delle scadenze. “Ci vanno ancora cinque, sette, dieci anni”. Il motivo? “La tecnologia di produzione dell’idrogeno verde esiste ma non è ottimizzata. E poi il costo dell’energia. L’idrogeno diventerà competitivo quando ci saranno talmente tante fonti da energia rinnovabile che avremo per tante ore dell’anno un surplus di produzione. Surplus che verrà utilizzato per produrre idrogeno”. In Sardegna, Italgas ci sta lavorando: “Stiamo facendo quell’attività di ricerca e sviluppo orientata sulle varietà di utilizzo dell’idrogeno. Un progetto pilota per dimostrare che l’idrogeno ha molteplicità e flessibilità di usi. Testeremo la parte di elettrolisi, lo stoccaggio e poi lo utilizzeremo per la mobilità – perché abbiamo un accordo con la locale società di trasporto pubblico -, per un’industria casearia che vuole rendere verde la propria produzione, infine miscelato nel gas naturale nelle nostre reti”. La strada è questa, ormai tracciatissima, dalla quale non si tornerà indietro. Anche perché, spiega Gallo, “nella visione della Comunità europea il 50% del gas che arrivava dalla Russia dovrà essere rimpiazzato di qui al 2030 da biometano e idrogeno in egual misura. Il 50% sono 75, quasi 80, miliardi di metri cubi di gas. Vuol dire che il ruolo di biometano e idrogeno diventa fondamentale. In più, accelera la transizione energetica perché metà di quel gas viene sostituito da gas che sono rinnovabili a zero contenuto di Co2”.

La guerra russo-ucraina ha inciso su Italgas (“Noi non abbiamo registrato extraprofitti perché non vendiamo gas, anzi sono aumentati i costi”) ma Gallo vuole vedere il bicchiere mezzo pieno: “Questa crisi sta accelerando i processi di efficienza energetica e di transizione energetica, che sarebbero comunque andati avanti ma che di fronte a una situazione economica difficile hanno subito una accelerazione”. Con l’obiettivo dichiarato da Italgas di tagliare del 34% le emissioni di gas serra entro il 2028: “Ma noi faremo meglio”, garantisce l’ad. Intanto l’azienda si sta espandendo all’estero, in particolare in Grecia: “Abbiamo acquisito quattro società”, evidenzia Gallo, con “un investimento di circa 1 miliardo di euro”. Aspettando qualche segnale di fumo da Bruxelles sul price cap, gli italiani stanno imparando a risparmiare. E Gallo confessa di aver colto questa inversione di rotta: “Credo che ci sia sensibilità sull’utilizzo del gas, soprattutto in questo periodo, dovuto al fatto che dovremmo riuscire a superare l’inverno grazie alle scorte e a un atteggiamento più consapevole e più giudizioso nei confronti non solo del gas ma anche energia elettrica. Lo vedo nei nostri comportamenti in azienda e nelle persone. Si tratta di un elemento positivo: tutto ciò che io riesco a risparmiare mi rimarrà per sempre, cioè non torna più indietro”, sintetizza l’ad di Italgas.

Energia, Gallo (Italgas): Per l’era dell’idrogeno servono ancora 5-7 anni

“Per dare vita all’era dell’idrogeno ci vanno ancora cinque, sette, dieci anni”. Così Paolo Gallo, ad di Italgas, in una intervista a GEA. “Noi in Sardegna stiamo facendo attività di ricerca e sviluppo, più orientata sulle varietà di utilizzo dell’idrogeno – prosegue -. Testeremo la parte di elettrolisi, lo stoccaggio e poi lo utilizzeremo per la mobilità in virtù di un accordo con la locale società di trasporto pubblico, per una industria casearia che vuole rendere verde la propria produzione, infine miscelato al gas naturale nelle nostre reti”

Rinnovabili, Gallo (Italgas): Biometano è la più pronta, resta nodo autorizzazioni

Il biometano è l’energia rinnovabile più pronta per un motivo semplice: perché il trattamento dei rifiuti nella sua forma più evoluta è sul mercato da più di 15 anni. La tecnologia per la trasformazione del rifiuto da biogas prima a biometano dopo è assolutamente consolidata. Noi abbiamo più di 2 miliardi di metri cubi di gas prodotto dal trattamento dei rifiuti che potrebbero diventare un miliardo e mezzo di metri cubi in più se facessimo l’upgrade degli impianti”. Così Paolo Gallo, ad di Italgas, in una intervista a GEA. “Abbiamo un potenziale, non domani ma in qualche ora, di 2 miliardi di metri cubi di biometano. Se noi lo proiettiamo di qui a qualche anno, possono diventare 8-10 miliardi che rappresentano il traguardo del RepowerEu. Insomma, la tecnologia è provata, il potenziale c’è, l’ unico problema è l’aspetto delle autorizzazioni per sviluppare centinaia di impianti di biometano”.

Energia, clima e competitività: il Cese chiede soluzioni a livello europeo

L’energia come arma in tempo di guerra e il mercato dell’energia rimescolato dal contesto geopolitico: sono questi alcuni dei temi al centro del seminario organizzato a Bruxelles dal Comitato economico e sociale europeo che ha preceduto la Plenaria, in corso il 14 e il 15 dicembre. Ad affrontare il tema, per primi, i vertici del Cese. A partire dalla presidente Christa Schweng, con una riflessione sull’importanza del fatto che “nella transizione green e digitale” nessuno venga “lasciato indietro”, e dal vicepresidente Cilian Lohan che spiega come “la crisi energetica ha messo in difficoltà il green deal, spesso viene usata come scusa per rallentare l’azione climatica”. Già, perché energia e clima sono strettamente connessi. Così come lo è, allo stesso modo, il benessere economico dell’Europa, colpito dai rincari energetici e dall’inflazione.

Lo sa bene Alena Mastantuono, membro del Cese e delegata permanente della Camera del Commercio Ceca all’Eurocamera, che parla di un rischio concreto per la competitività. “La sicurezza delle forniture di energia – spiega – deve essere la priorità numero uno: se non avremo abbastanza forniture i prezzi cresceranno e saremo sempre meno competitivi rispetto a Usa e Cina. All’Europa servono soluzioni a livello europeo”. Quali, quindi, le soluzioni? “Accelerare sulle rinnovabili”, sicuramente, ma “guardare anche all’idrogeno”. Strizzando l’occhio pure al nucleareper la sicurezza energetica, ma ogni paese può decidere in merito. Io arrivo dal centro Europa (Repubblica Ceca, ndr): non abbiamo accesso al mare e non c’è molto sole. Sono importanti le interconnessioni. Il sistema energetico del mio Paese – spiega Mastantuono – è basato su nucleare e carbone. Le condizioni geomorfologiche non sono uguali per tutti i Paesi, bisogna considerare anche il tasso di industrializzazione. Deve essere una decisione di ogni stato”. Non è del tutto d’accordo Thomas Kattnig, membro del Cese e dell’Austrian Trade Union Federation: “Sta agli Stati decidere, ma dobbiamo considerare anche il lato oscuro del nucleare. Ci sono alternative migliori che possiamo sviluppare, come l’idrogeno verde”.

Meno controverse le posizioni sulle rinnovabili. Tutti d’accordo: sono fondamentali. Ma, per esempio sul fotovoltaico, “siamo dipendenti dalla Cina e dobbiamo portare l’industria in Europa per aumentare anche i posti di lavoro”, sottolinea Mastantuono. Per questo, secondo Kattnig, “se vogliamo usare più rinnovabili e evitare di esportare denaro verso altre aree economiche dobbiamo cambiare l’industria. Abbiamo un’opportunità sulla produzione di pannelli solari e batterie. Negli ultimi 20 anni abbiamo risparmiato, ma non ci sono stati abbastanza investimenti a causa dell’austerità: ora è importante spendere per creare un futuro, investire nel campo giusto. Va combattuta la crisi climatica e migliorata la nostra qualità della vita usando energie rinnovabili”. E’ d’accordo anche Lutz Ribbe, membro tedesco del Cese direttore del Department for Nature Conservation Policy della fondazione EuroNatur: “Dobbiamo ridurre la nostra dipendenza dall’importazione di energia. L’energia può essere usata come un’arma. Se importiamo energia, esportiamo soldi. Mentre noi possiamo produrre energia meglio, in maggiori quantità e a un prezzo più basso. Dovremmo essere i numeri uno al mondo nella produzione di energia rinnovabile”.

Corridoio di idrogeno ‘verde’ da Barcellona a Marsiglia: energia pulita in tutta Europa

Un corridoio dell’idrogeno ‘verde’ per collegare la Penisola iberica alla Francia ed esportare energia pulita in tutta Europa. L’ambizioso progetto di interconnessione ‘H2Med’ che collegherà Barcellona e Marsiglia sarà operativo nel 2030, costerà circa 2,5 miliardi di euro e avrà la capacità di trasportare fino a due milioni di tonnellate di idrogeno pulito entro il 2030, pari a circa il 10% dei consumi a livello europeo. Ad annunciarlo i leader di Francia, Spagna e Portogallo in una conferenza stampa di presentazione del progetto al fianco della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che si è tenuta ad Alicante a margine dei lavori del IX vertice Euromediterraneo (EuroMed9).
Ed è proprio alla Commissione Ue che i dettagli del progetto saranno presentati entro il 15 dicembre, per candidarsi a diventare un Progetto di interesse comune ed essere co-finanziato con i fondi europei della Connecting Europe Facility, il meccanismo per collegare l’Europa. Il governo spagnolo – come si legge in un documento di Madrid – punta a ricevere un finanziamento da parte di Bruxelles per circa il 50% del costo complessivo del progetto.
A detta di von der Leyen, le premesse per ricevere il finanziamento da parte dell’Ue ci sono. “Il progetto H2Med va assolutamente nella giusta direzione”, ha detto la leader tedesca in conferenza stampa al fianco del presidente francese Emmanuel Macron, del premier portoghese Antonio Costa e del premier spagnolo, Pedro Sanchez. Ha assicurato di accogliere con “favore la tua imminente candidatura per farne un progetto di interesse comune e ciò lo renderebbe idoneo a richiedere il sostegno finanziario dell’UE”.

Von der Leyen ha ricordato che la futura infrastruttura ha le caratteristiche per essere parte centrale del piano ‘REPowerEu’, presentato a maggio scorso per rispondere alla necessità di affrancare energeticamente l’Ue dalla Russia. Nel piano in questione, Bruxelles ha fissato l’obiettivo di produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile nell’Unione europea entro il 2030, e di importarne altri 10 milioni di tonnellate. Un nuovo progetto infrastrutturale transfrontaliero nella penisola iberica è citato dalla Commissione tra gli esempi di potenziali progetti da finanziare (contenuti nell’allegato 3 della comunicazione del REPower) per andare incontro alle esigenze infrastrutturali degli obiettivi energetici del piano e viene precisato chiaramente che un eventuale gasdotto dovrebbe essere “valutato in vista del suo potenziale a lungo termine per sfruttare l’importante potenziale di idrogeno rinnovabile della penisola iberica, così come del Nord Africa”.
Secondo Bruxelles, la nuova infrastruttura per il passaggio dell’idrogeno ha il potenziale per rappresentare il “primo elemento della spina dorsale dell’idrogeno” in Europa, ha ricordato von der Leyen, mentre l’Unione europea continua a lavorare per dar vita a una più ampia partnership per l’idrogeno verde con tutti i paesi del Mediterraneo meridionale. L’infrastruttura “H2Med” o “BarMar” (dai nomi di Barcellona e Marsiglia, le due città collegate da questo tubo), andrà nei fatti a sostituire il vecchio progetto di gasdotto sotterraneo “MidCat”, di cui si è discusso per anni per collegare le reti del gas francesi e spagnole attraverso i Pirenei e poi abbandonato.

La decisione di non far trasportare all’infrastruttura gas ma direttamente idrogeno è voluta perché Bruxelles possa dichiararlo un progetto di interesse comune, vista la necessità di sviluppare la produzione di energia pulita. “La penisola iberica è destinata a diventare uno dei principali hub energetici d’Europa. E l’Unione europea farà parte di questa ‘storia di successo‘”, ha aggiunto von der Leyen. Il premier portoghese Costa ha assicurato che l’infrastruttura non sarà utile solo al fabbisogno dei tre Paesi, ma al passaggio dell’idrogeno anche a tutto il resto del continente europeo. Secondo i dettagli preliminari del progetto, la tratta Barcellona-Marsiglia è pari a 455 chilometri.

Al via elettrodotto tra Italia-Tunisia: da Ue 307mln a Terna. Meloni: “Decisione storica”

Europa e Africa sempre più connesse, almeno dal punto di vista energetico. Terna riceverà un finanziamento da 307 milioni da parte dell’Unione europea per costruire il cavo di interconnessione elettrica tra l’Italia e la Tunisia, opera che è stata inserita nella lista dei Progetti di Interesse Comune. Il prestito europeo sarà erogato attraverso il Connecting Europe Facility, il fondo Ue destinato allo sviluppo di progetti chiave che mirano al potenziamento delle infrastrutture energetiche comunitarie. La notizia è arrivata ieri, assieme all’avvio da parte del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica del procedimento autorizzativo. “Si tratta di una decisione storica — spiega Terna in una nota —. Per la prima volta, infatti, i fondi comunitari Cef sono stati assegnati a un’opera infrastrutturale sviluppata da uno Stato Membro e da uno Stato Terzo. Come ulteriore testimonianza della sua importanza strategica, la Commissione europea ha destinato al progetto oltre la metà del budget disponibile nel bando del 2022“. L’opera, realizzata da Terna e da Steg, l’operatore elettrico tunisino, contribuirà all’integrazione dei mercati dell’energia elettrica, alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico e, soprattutto, all’incremento di produzione di energia da fonti rinnovabili in Europa e Africa e alla diversificazione delle fonti. In aggiunta, una volta entrato in esercizio, il collegamento favorirà la riduzione delle emissioni climalteranti.

Soddisfatta la premier Giorgia Meloni. “Il via libera della Commissione europea allo stanziamento di 307 milioni per co-finanziare l’infrastruttura — ha dichiarato la presidente del Consiglio in una nota — è un grande successo italiano. È nel destino dell’Italia diventare un nuovo hub energetico per l’intero Continente europeo, è nella nostra missione intensificare la cooperazione con l’Africa per portare investimenti e sviluppo“.
Il ponte energetico sottomarino da 600 MW in corrente continua sarà lungo oltre 200 km e raggiungerà una profondità massima di 800 metri. Per costruirlo, richiederà un investimento complessivo di 850 milioni. “Grazie a questa opera — ha dichiarato il ceo di Terna Stefano Donnarummal’Italia potrà concretamente diventare un hub energetico del Mediterraneo. Si tratta di un’infrastruttura strategica per il nostro Paese e per l’Europa, che potrà contribuire in maniera significativa all’indipendenza energetica, alla sicurezza del sistema elettrico e allo sviluppo delle fonti rinnovabili“.

Per quanto riguarda l’Italia, dall’approdo di Castelvetrano, in provincia di Trapani,il cavo interrato — spiega la società della rete — percorrerà strade esistenti lasciando inalterati ambiente e paesaggio per 18 km fino ad arrivare a Partanna, sempre in provincia di Trapani, dove sarà costruita la nuova stazione di conversione in prossimità dell’esistente Stazione Elettrica“. La società che gestisce la rete elettrica nazionale ha concluso nel luglio 2021 la fase di consultazione pubblica, durante la quale sono state analizzate e discusse le osservazioni arrivate da amministrazioni, enti e cittadini.

Per la Farnesina, il progetto Elmed “consentirà di effettuare un salto qualitativo nella integrazione dei mercati elettrici delle sponde nord e sud del Mediterraneo, rafforzando la nostra sicurezza energetica e quella dei nostri partner, favorendo lo sviluppo delle fonti rinnovabili nel continente africano e aggiungendo un ulteriore tassello alla realizzazione, nel lungo periodo, di una vera e propria rete euro-mediterranea dell’elettricità“.

 

Photo credit: Terna

Estrazioni di gas in Adriatico, il governo ‘chiama’ Leonardo e Ispra

Il governo va avanti sulla strategia del gas release, ma non rinuncia al dialogo con il territorio. Al ministero dell’Ambiente e sicurezza energetica, infatti, si riunisce il primo tavolo di confronto sul tema delle estrazioni di nuovo gas italiano in Adriatico, al quale partecipano i ministri Gilberto Pichetto Fratin e Adolfo Urso, la vice ministra Vannia Gava e il governatore del Veneto, Luca Zaia, con i tecnici della Regione. La discussione si è incentrata sulla la necessità di approfondire le problematiche emerse, in particolar modo quelle legate al rischio subsidenza, oltre alle criticità segnalate dalle comunità locali e dai sindaci rispetto alla nuova possibilità di estrazione del metano, specialmente in Alto Adriatico, con la necessità di ottenere in via prioritaria garanzie tecnico-scientifiche a tutela dell’ambiente.

Non solo, perché i responsabili di Mase e ministero delle Imprese e il made in Italy concordano con il presidente della Regione Veneto di coinvolgere, in via preliminare, alcune eccellenze italiane nel campo della ricerca: da Leonardo a Ispra, insieme alle Università del territorio, che andranno così ad affiancare tecnici e studiosi nel percorso di analisi e approfondimento del tema. Per avere un’angolatura più ampia possibile, inoltre, il tavolo istituzionale sarà affiancato anche da un tavolo tecnico prettamente, che sarà utile per fornire strumenti e studi a carattere scientifico nell’ambito delle estrazioni di gas.

Restando sulla questione energetica, durante la prosecuzione dell’audizione davanti alla commissione Ambiente del Senato, Pichetto è tornato sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Perché conta di “chiudere nelle prossime settimane” alcune misure per favorire lo sviluppo delle fonti alternative. Tra queste c’è “il decreto attuativo per l’individuazione delle aree idonee alla realizzazione di impianti di energia rinnovabile“, che ormai “è in fase di finalizzazione. Ma non è l’unica novità, perché “anche per quanto riguarda il Fer 2, la cui gestazione è stata particolarmente lunga, siamo alle battute finali“, assicura il ministro. Il decreto, su cui sono stati già acquisiti i pareri del ministero dell’Agricoltura e dell’Arera, è in continuità con il Fer 1 e ha come obiettivo “l’incentivazione della produzione di energia elettrica dalle fonti geotermiche tradizionali a ridotte emissioni, geotermia a emissioni nulle, eolico offshore, impianti fotovoltaici, floating, impianti a energia mareomotrice e altre forme di energia marina, biomasse, biogas, solare termodinamico che presentino caratteristiche di innovazione e ridotto impatto su ambiente e territorio“. In totale, saranno liberati “complessivamente, 4.590 megawatt di impianti, circa 4,5 gigawatt“.

Per il nucleare, invece, i tempi saranno ben più lunghi. Visto che “le competenze su ricerca e impiego restano in capo ad Enea“, ma l’auspicio è che “nell’arco di 10-15 anni possa essere implementata la tecnologia di quarta generazione, che sarà un vettore tecnologico di transizione, propedeutico all’approccio finale di fusione nucleare“. Quindi – spiega Pichetto -, “non è un’immediatezza ma dobbiamo tenere il passo con la ricerca, le competenze e le capacità“. Non sarà lo stesso, fortunatamente, sul clima: il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, infatti, “a giorni dovrebbe essermi consegnato a seguito di una lunga procedura di confronti e valutazioni“.