Meloni in Libia rilancia Piano Mattei: Con Africa cooperazione strategica

Giorgia Meloni vola a Tripoli per il Trans-Mediterranean migration forum. La Libia chiede aiuto sui migranti e la premier approfitta del palco per rilanciare il Piano Mattei.

Per affrontare seriamente il problema, è convita, serve un “approccio a 360 gradi“, perché con l’Africa l’approccio predatorio “è sicuramente sbagliato“. Parte tutto da lì, spiega: “Il modo giusto di collaborare è una cooperazione tra pari, strategica“.

In altre parole, bisogna portare nel Continente investimenti, per evitare che la gente sia costretta a lasciare le proprie case in cerca di un futuro migliore e “risolvere i problemi di entrambi“. Un esempio? L’energia. Con l’invasione della Russia in Ucraina, tutta l’Europa ha risentito di una crisi senza precedenti, “ma ogni crisi nasconde anche un’opportunità“, osserva Meloni. Tutto quello che Roma ha fatto è stato porre le basi per diversificare le fonti, ma anche i fornitori. Così, l’asse strategico per l’Europa e per l’Italia in primis, data la sua posizione geografica, si sposta da Est a Sud, perché, sottolinea la presidente del Consiglio, “l’Africa è potenzialmente un grande produttore di energie“.

A Tripoli, Meloni viene accolta dal primo ministro del Governo di Unità Nazionale Abdulhameed Dabaiba. Con lei, c’è il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Il Forum riunisce i Paesi dell’area Mediterranea, dell’Africa Subsahariana, la Commissione europea e le organizzazioni internazionali, “pienamente in linea con il metodo di lavoro che l’Italia ha adottato a partire dall’insediamento del Governo Meloni nel 2022, come dimostrano la Conferenza di Roma del luglio 2023 e il lancio del Piano Mattei”, conferma Piantedosi.

L’inquilino del Viminale ribadisce che è “essenziale passare da una cooperazione tattica tra singoli Paesi a un approccio regionale strategico“. L’obiettivo comune non è quello di “alleggerire la situazione migratoria dell’Italia o dell’Europa”, assicura, ma quello di “creare le condizioni per una riduzione di carattere regionale dei flussi illegali a beneficio di tutti i Paesi“. La presenza a Tripoli del vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas e il lancio lo scorso novembre a Bruxelles dell’Alleanza Globale per contrastare il traffico di migranti, osserva Piantedosi, “testimoniano che il contrasto ai trafficanti è uno dei terreni sui quali l’UE vuole impegnarsi, proprio perché soltanto attraverso una azione comune potremo sconfiggere la criminalità internazionale”.

Il tema sarà al centro del G7 dei Ministri dell’Interno che si terrà a Mirabella Eclano, dove il ministro ha invitato alcuni Paesi della sponda sud del Mediterraneo, proprio per sviluppare il dialogo strategico e per lanciare un Piano d’azione per il contrasto al traffico di esseri umani sulla base delle direttrici fornite dal G7 dei Primi Ministri lo scorso giugno. “Sarà sempre più utile – afferma – ragionare su nuovi modelli di partenariato per gestire i flussi illegali”.

idrogeno

Fabbisogno idrogeno green è 7 mln di tonnellate all’anno. Ma obiettivi Pniec sono al 3%

Circa 7,5 milioni di tonnellate di idrogeno sostenibile per i settori industriali e per i trasporti pesanti, difficilmente elettrificabili, cui se ne aggiungerebbero altri 7,7 se si volesse anche soddisfare il fabbisogno civile di riscaldamento: a tanto ammonterebbe, secondo una stima realizzata dall’E&S della School of Management del Politecnico di Milano, il fabbisogno annuale in Italia, considerando i settori principali di possibile adozione e convertendo l’attuale utilizzo di altre fonti, come ad esempio il metano.

All’industria sarebbero destinati 5,4 milioni di tonnellate, di cui 4,1 a quella hard-to-abate (che permetterebbero da soli di risparmiare fino a 27,37 Mt di emissione di CO2 l’anno a fronte dei 287,1 Mt totali previsti dal nostro Paese al 2030), i restanti 2,1 ai trasporti pesanti: una quantità che, per i ricercatori, “appare irraggiungibile se si considerano gli obiettivi decisamente poco ambiziosi del Pniec al 2030, che prevedono appena 0,115 Mt per utilizzi industriali e 0,136 Mt per i trasporti, cioè rispettivamente il 2,1% (2,8% se si considerano i soli settori hard-to-abate, come acciaio e fonderie, chimica, ceramica, carta e vetro) e il 6,4% del potenziale massimo di adozione“.

Per consentire la sola produzione annua di 7,5 milioni di tonnellate di idrogeno richiesti per industria e trasporto pesante servirebbero 250 GW aggiuntivi di rinnovabili, cioè circa 3 volte gli attuali obiettivi di fotovoltaico al 2030, 500 GW se si includono i consumi termici del settore civile”, commenta Vittorio Chiesa, direttore di E&S e tra gli estensori dell’Hydrogen Innovation Report 2024, presentato oggi al Politecnico insieme alle aziende partner della ricerca.

Negli ultimi anni – continua Chiesa – sono state messe a punto diverse ed eterogenee misure di sostegno, come gli investimenti del Pnrr, e altre sono in corso di implementazione (Decreto idrogeno attualmente in consultazione), ma resta non chiara la direzione di medio-lungo periodo che si intende percorrere, imprescindibile per permettere agli operatori di elaborare strategie di azione e per dare il via allo sviluppo di una filiera nazionale”.

Al contrario, in Europa si viaggia ad altre velocità: in Germania gli obiettivi di consumo di idrogeno sono stati rivisti al rialzo nel corso del 2023 e gran parte del fabbisogno sarà coperto da importazioni, mentre la Francia, che dispone di energia nucleare, punta a produrre localmente entro il 2030 più dell’80% di quanto le occorre. Quanto alla Spagna, si candida a diventare esportatore della ‘molecola verde’ (ruolo ambito anche da diversi Paesi del continente africano) puntando entro fine decennio a 11 GW di capacità di elettrolisi, sfruttando il proprio potenziale di disponibilità eolica e fotovoltaica.

L’idrogeno sostenibile rappresenta una componente cruciale nella transizione energetica verso un futuro a basse emissioni di carbonio – aggiunge Federico Frattini, vicedirettore di E&S e responsabile del Rapporto – perché può essere prodotto da fonti rinnovabili. Questa transizione riguarda sia i settori industriali che consumano idrogeno da combustibili fossili per i loro processi (raffinazione e industria chimica) sia quelli che oggi non possono sostituire diversamente il gas naturale per produrre il calore necessario a funzionare (come la carta, il vetro, la ceramica e la grande siderurgia). Per farlo, però, sono necessari ulteriori sviluppi tecnologici che rendano l’idrogeno ‘verde’ finalmente competitivo anche dal punto di vista economico”.

rinnovabili

Cina pigliatutto: la sua capacità rinnovabile è doppia rispetto a tutto il resto del mondo

La Cina sta consolidando la sua posizione di leader mondiale nel settore delle energie rinnovabili, costruendo attualmente il doppio della capacità eolica e solare rispetto al resto del mondo. Il gigante asiatico, con la sua enorme popolazione (1,4 miliardi di persone) e il suo status di Paese manifatturiero, è il maggior emettitore mondiale di gas serra, che secondo gli scienziati stanno accelerando il cambiamento climatico. La Cina si è impegnata a stabilizzare o ridurre le proprie emissioni entro il 2030 e a diventare carbon neutral entro il 2060.

Per questo sta sviluppando fortemente la sua capacità rinnovabile: attualmente sta costruendo altri 180 gigawatt (GW) di energia solare e 159 GW di energia eolica, secondo uno studio dell’organizzazione americana Global Energy Monitor (GEM).

Secondo il rapporto, questi 339 GW “rappresentano il 64% dell’energia solare ed eolica” che è “attualmente in costruzione” sul pianeta, quasi il doppio del resto del mondo messo insieme. La Cina è seguita da Stati Uniti (40 GW), Brasile (13 GW), Regno Unito (10 GW) e Spagna (9 GW), secondo GEM, un’organizzazione che elenca i progetti di energia fossile e rinnovabile in tutto il mondo.

I 339 GW rappresentano un terzo della nuova capacità totale di energia eolica e solare annunciata dalle autorità nazionali e per la quale è stata effettivamente avviata la costruzione, “superando di gran lunga” la media globale (7%), osserva lo studio. “Il sorprendente contrasto tra queste due percentuali illustra la natura molto proattiva della Cina per quanto riguarda i suoi impegni nella costruzione di progetti di energia rinnovabile”, sottolinea la ricerca.

Tuttavia, per soddisfare la crescente domanda di elettricità, la Cina fa ancora molto affidamento sulle centrali elettriche a carbone, un combustibile fossile altamente inquinante. Inoltre, ha difficoltà a trasportare parte dell’energia rinnovabile prodotta nelle regioni remote verso i centri economici densamente popolati dell’est. Tuttavia, secondo GEM, quest’anno la capacità combinata di energia eolica e solare in Cina dovrebbe superare quella del carbone. Secondo lo studio, questa rapida espansione delle energie rinnovabili fa sperare che le emissioni cinesi raggiungano il picco prima del previsto.

In un rapporto diverso pubblicato giovedì, il Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (Crea), un istituto di ricerca con sede in Finlandia, afferma inoltre che la Cina non ha rilasciato alcun nuovo permesso per progetti di acciaierie a carbone nella prima metà del 2024.

Secondo lo studio, che parla di un possibile “punto di svolta”, questo è il primo semestre in cui non sono state rilasciate autorizzazioni dal settembre 2020, quando la Cina ha annunciato i suoi impegni sulle emissioni per il 2030 e il 2060. “Con la domanda di acciaio in Cina che sta raggiungendo il picco”, c’è “un potenziale significativo per eliminare gradualmente la produzione a base di carbone, che rappresenta un’opportunità significativa per ridurre le emissioni nei prossimi 10 anni“, afferma il Crea.

Energia, calo prezzi ma livelli pre-crisi lontani. 76,5% utenti nel mercato libero

Gli effetti della crisi energetica si attenuano, ma la guardia va lasciata alta. Dalla Relazione annuale dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente sul 2023 emergono diversi spunti di riflessione.

Innanzitutto, l’andamento dei prezzi: “Nonostante i cali registrati rispetto al picco del 2022, non tornano ai livelli pre-crisi”. I consumatori domestici hanno subito aumenti del 6%, con prezzi medi finali di 38,64 centesimi/kWh. Vengono, però, accorciate al 22,9% le distanze dall’Area euro. Così come la differenza in termini di prezzi netti (cioè al netto di oneri, imposte e tasse), che scende a +18,2%. Nel confronto con gli altri Paesi membri, sono state le famiglie tedesche a pagare di più (42,03 centesimi/kWh), seguite da quelle italiane (38,64 centesimi/kWh), francesi (32,65 centesimi/kWh) e spagnole (26,02 centesimi/kWh).

La fine dello scorso anno e l’inizio del 2024 ha segnato anche un passaggio cruciale, con la fine del mercato tutelato. Secondo i dati dell’Authority, allo scorso 1 luglio, la quota di utenti serviti dal mercato libero è del 76,5%, mentre i clienti vulnerabili in Maggior Tutela sono 3,6 milioni e 8,4 milioni i vulnerabili che hanno scelto il mercato libero. Arera osserva, poi, che per i clienti domestici, dopo la parentesi del 2022, il mercato libero presenta nuovamente valori superiori al servizio di maggior tutela, tranne chi ha consumi annui superiori a 5mila kWh/anno. C’è un’altra questione legata a questo tema e riguarda il passaggio dei vulnerabili al servizio di maggior tutela, visto che al 30 giugno si è chiusa la finestra per operare lo switch. Al momento la discussione è aperta su questo punto e il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, non chiude le porte: “Se questa è una volontà del Parlamento e arriveremo a quello, anche perché rischiano di essere quelli maggiormente penalizzati“.

Per quanto riguarda i consumi, l’Authority rileva una riduzione del 2,9%, in tutti i settori più rilevanti: agricoltura (-6,5%), industria (-4 percento), terziario (-2,1), domestico (-3) e residuale (-10,5). Gli unici aumenti sono registrati nei trasporti (+5,6%) e pesca (5,2). La domanda nazionale è stata soddisfatta per poco meno dell’84% dalla produzione nazionale e per il 16,8% dal saldo con l’estero, che realizza il valore più alto dall’inizio del secolo. Cala, invece, la produzione nazionale lorda (-6,9%) anche in funzione di un primo boom delle rinnovabili, che aumentano del +15,6%, trainate da idroelettrico (+42,4 percento), fotovoltaico (+9,2) ed eolico (+13,7), che compensano la riduzione di geotermico (-2,5%) e bioenergie (-9,1%). In questo segmento è Enel a guadagnare la palma di primo produttore con il 22,4% della generazione lorda. Il gruppo, inoltre, si conferma primo produttore anche per l‘energia elettrica con una quota del 16,9%, seguito da Eni (9,5%), che conserva il gradino più alto del podio sul termoelettrico (16,5 percento).

A proposito sempre di bollette, con l’innalzamento a 15mila euro della soglia Isee, nel 2023 sono stati riconosciuti 4,6 milioni di bonus elettrici e 3 milioni di bonus gas a clienti diretti, per importi stimato, rispettivamente, di 1,4 miliardi di euro e 716 milioni. Altro dato rilevante è quello relativo alle chiamate ricevute dallo Sportello per il consumatore energia e ambiente, che in totale sono 1.546.809 (+23% su base annua), di cui il 97% hanno riguardato energia elettrica, gas e bonus sociale, che resta la tematica più ricorrente (67% dei contatti). Alto anche il computo delle domande ricevute dal Servizio conciliazione: 32.677 (+34%). Mentre è di oltre 25,5 milioni di euro la ‘compensation’, ossia il corrispettivo economico ottenuto dai clienti o utenti finali mediante l’accordo di conciliazione. Infine, sono stati pagati oltre 65mila indennizzi ai clienti, principalmente per ritardi nella risposta ai reclami (97%), per un importo complessivo di oltre 2,8 milioni di euro.

Perché l’intelligenza artificiale è così energivora?

Le emissioni di carbonio di Google sono aumentate del 48% in cinque anni a causa dell’esplosione dell’intelligenza artificiale, ha dichiarato la scorsa settimana il gigante americano, evidenziando uno dei principali problemi dello sviluppo fulmineo di questa tecnologia: il suo vorace consumo di energia.

PERCHE’ L’IA CONSUMA ENERGIA? I modelli linguistici su cui si basa l’IA generativa richiedono un’enorme potenza di calcolo per l’addestramento su miliardi di set di dati, che a sua volta richiede server potenti. Poi, ogni volta che un utente invia una domanda a ChatGPT o a qualsiasi altra IA generativa, questa fa funzionare i server situati in un centro dati. Questi server consumano elettricità, si riscaldano e devono essere raffreddati con sistemi che a loro volta richiedono energia. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie), i centri dati generalmente utilizzano circa il 40% dell’elettricità per alimentare i server e il 40% per raffreddarli. Diversi studi hanno dimostrato che una richiesta a ChatGPT richiede in media 10 volte più energia di una semplice richiesta al motore di ricerca Google. Il boom dell’IA dal 2022 ha portato i giganti di Internet come Amazon, Google e Microsoft a investire massicciamente nella creazione di centri dati in tutto il mondo. Nel suo rapporto ambientale, Google evidenzia l’aumento del consumo di energia nei suoi centri dati, nonché il balzo delle emissioni legate alla costruzione di nuovi centri dati e alla modernizzazione di quelli esistenti.

QUANTA ENERGIA CONSUMA L’IA? Prima della mania dell’intelligenza artificiale, i data center rappresentavano circa l’1% del consumo globale di elettricità, secondo l’Aie. Se aggiungiamo l’IA e il settore delle criptovalute, i data center hanno consumato quasi 460 Twh di elettricità nel 2022, ovvero il 2% della produzione globale totale, secondo l’istituto. Una cifra che potrebbe raddoppiare entro il 2026 fino a 1.000 Twh, che sarebbe equivalente al consumo di elettricità del Giappone, avverte l’istituto in un rapporto. Alex de Vries, economista della Libera Università di Amsterdam, ha modellato il consumo di elettricità necessario solo per l’intelligenza artificiale, sulla base delle proiezioni di vendita di Nvidia, i cui processori sono essenziali per l’addestramento dei modelli AI.
Se le stime di vendita di Nvidia per il 2023 sono corrette, e se tutti i server funzionano alla massima capacità, potrebbero consumare tra 85,4 e 134 Twh all’anno, ovvero quanto consuma un Paese come l’Argentina, scrive in un articolo. “Le cifre che ho inserito nel mio articolo erano piuttosto conservative, perché non tengono conto di processi come i requisiti di raffreddamento”, ha dichiarato all’AFP. L’anno scorso, le vendite di Nvidia hanno superato le loro previsioni, quindi le cifre potrebbero essere ancora più alte, ha continuato.

IN CHE MODO I DATA CENTER GESTISCONO QUESTA MAGGIORE RICHIESTA DI ENERGIA? L’IA trasformerà il settore dei data center, ha riconosciuto Fabrice Coquio di Digital Realty, che gestisce un enorme data center alla periferia di Parigi, una parte del quale sarà dedicata all’intelligenza artificiale. “Sarà esattamente come il cloud (cloud computing, NLDR), forse un po’ più massiccio in termini di distribuzione”, ha spiegato all’AFP durante un tour dell’infrastruttura in aprile. Mentre i server con una potenza di calcolo media possono essere collocati in stanze con sistemi di aria condizionata, i server molto più potenti necessari per l’AI tendono a riscaldarsi di più e richiedono il pompaggio di acqua direttamente nelle apparecchiature per raffreddarle, ha spiegato Coquio. “Sicuramente richiede server, apparecchiature di archiviazione e di comunicazione diversi”, ha insistito.

COME STANNO REAGENDO I GIGANTI DI INTERNET? In un momento in cui i giganti della tecnologia cercano di incorporare sempre più intelligenza artificiale nei loro prodotti, gli esperti temono un’esplosione del consumo di elettricità. Come Google, Microsoft, il numero due mondiale del cloud, ha visto le sue emissioni di CO2 aumentare del 30% nel 2023 rispetto al 2020. Mentre Google, Amazon e Microsoft sottolineano i loro investimenti in energie rinnovabili per alimentare i loro centri dati, i loro obiettivi di neutralità di carbonio sembrano allontanarsi sempre di più.
AWS (la divisione cloud di Amazon) si è impegnata a diventare un’azienda a zero emissioni di carbonio entro il 2040, mentre Google prevede di raggiungere emissioni nette zero in tutta la sua attività entro il 2030. Anche Microsoft si è posta l’obiettivo di avere un’impronta di carbonio negativa entro il 2030. Una promessa fatta prima dell’esplosione dell’AI, ha ammesso il presidente di Microsoft Brad Smith a maggio in un’intervista a Bloomberg.

Italia senza rivali: le bollette più salate d’Europa sono nel nostro Paese

Le bollette per l’energia elettrica in Italia sono tra le più care in Europa. Nonostante la fine della crisi energetica, il prezzo medio italiano a gennaio era del 25% superiore rispetto agli altri paesi europei e attualmente è più che raddoppiato.

“Secondo l’analisi dell’economista Massimo Beccarello – spiega Fedele Santomauro, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – questo primato in parte è dovuto alla rimozione nel 2015-2016 della possibilità per l’Acquirente Unico di effettuare coperture per stabilizzare i prezzi, privando così i consumatori di un importante meccanismo di protezione contro l’aumento dei prezzi”.

“Un altro fattore cruciale – prosegue Santomauro – è la dipendenza italiana dal gas naturale per la produzione di elettricità. Il 45% dell’elettricità in Italia viene generata bruciando gas naturale, rispetto al 19% della media europea e questo rende l’Italia particolarmente vulnerabile alle fluttuazioni dei prezzi del gas”.

Per migliorare la situazione, l’Italia dovrebbe accelerare la costruzione di parchi eolici e fotovoltaici.

energia

Nel 2023 congestione rete elettrica Ue è costata 4,2 mld e ha frenato rinnovabili

Anni di attesa per ottenere il permesso di connessione alla rete stanno frenando la produzione di gigawatt di energia eolica in Europa. “Il sistema è intasato e sta bloccando centinaia di gigawatt di parchi eolici“, ha affermato Giles Dickson, amministratore delegato di WindEurope, alla Reuters. Attualmente ci sono oltre 500 GW di nuova capacità di energia eolica in attesa del via libera per connettersi alla rete in tutta Europa. La situazione è più difficile in Italia e nel Regno Unito, dove ci sono oltre 100 GW di capacità ciascuno in attesa del permesso per connettersi alla rete. Eppure la stessa rete soffre, secondo l’agenzia di regolamentazione energetica dell’Ue (Acer), la quale ribadisce in uno suo report “l’urgenza per i gestori dei sistemi di trasmissione (TSO) di rispettare il loro obbligo di rendere disponibile il 70% della capacità di trasmissione per il commercio transfrontaliero di elettricità entro la fine del 2025. L’urgenza è legata all’avvicinarsi della scadenza legale e ai ritardi con molti dei passaggi necessari per raggiungere la regola della capacità di trasmissione del 70% che è necessaria per raggiungere gli ambiziosi obiettivi politici stabiliti per la generazione di energia rinnovabile”. Però, “senza un’adozione significativa dei progressi sulla ‘regola del 70%’, tali ambizioni saranno difficili da realizzare”.

L’anno scorso, secondo il report, “il sistema elettrico dell’Ue si è trovato ad affrontare una crescente congestione, con un aumento del 14,5% delle esigenze di gestione delle congestioni nel 2023 e conseguenti ingenti costi di sistema. Nel 2023, i costi di gestione delle congestioni nella rete elettrica dell’UE superano i 4,2 miliardi di euro, di cui il 60% a carico del sistema tedesco“, evidenzia l’analisi. “Quasi il 60% di questo costo è stato sostenuto dalla Germania, che ha speso 2,53 miliardi di euro in azioni correttive che hanno coinvolto 30,5 Twh”. Questo per la rapida crescita “della quota di energia rinnovabile in Germania e la crescente capacità minima interzonale richiesta per essere disponibile per la negoziazione, combinate con la lenta espansione delle capacità della rete”. E così il volume totale degli interventi correttivi in ​​percentuale della domanda nazionale di elettricità è stato del 6,7% in Germania, al 5,4% in Spagna e a meno dell’1% negli altri paesi Ue. Nel dettaglio – ha aggiunto Acer – la ridistribuzione delle energie rinnovabili, esclusa l’idroelettrica, “ha raggiunto una quota record del 21%”. Oltre 12 TWh “sono stati ridotti a causa della congestione della rete, con conseguenti emissioni stimate di 4,2 milioni di tonnellate di CO2 in più”, ha sottolineato l’agenzia, spiegando come “sempre più spesso, la gestione delle congestioni nell’Ue comporta la riduzione della produzione di energia rinnovabile, mentre la produzione di energia basata su fonti fossili va a colmare il vuoto“.

L’espansione limitata della rete, unita alla rapida adozione di tecnologie per le energie rinnovabili, probabilmente aggraverà la congestione della rete in futuro. “Ciò – ha evidenziato l’agenzia – potrebbe compromettere gli sforzi per una maggiore integrazione del mercato dell’elettricità nell’Ue e quindi ritardare la transizione verso un sistema energetico che sia neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio ed efficiente dal punto di vista dei costi“. Ma “l‘ulteriore integrazione dei mercati europei è fondamentale per promuovere la flessibilità, consentendo all’energia rinnovabile di raggiungere la domanda in tutta la Ue e riducendo al contempo la volatilità dei prezzi. L’utilizzo delle reti attuali nella loro interezza e lo sviluppo di nuove infrastrutture saranno fattori chiave per l’integrazione del mercato“, ha concluso Acer.

stoccaggio gas

INFOGRAFICA INTERATTIVA Gas, stoccaggio italia stacca di oltre 4 punti la media Ue

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA viene mostrato l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Ue. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata al 3 luglio), l’Italia sale a quota 82,78%, mentre la media Ue è quattro punti sotto a 78,10%. Agli ultimi posti Lettonia e Croazia, mentre in testa rimane il Portogallo, stabile a 100,5%.

Clima, Italia invia Pniec in Ue: 131 GW rinnovabili al 2030, 11% nucleare al 2050

Il Piano nazionale Energia e Clima è stato trasmesso a Bruxelles nei tempi. Conferma gli obiettivi raggiunti nella prima proposta trasmessa a giugno 2023, superando in alcuni casi anche i target comunitari.
Si punta a installare 131 gigawatt di rinnovabili al 2030 e, per la prima volta, nel mix compare uno scenario sul nucleare: 8 gigawatt al 2050 che coprirebbero l’11% della richiesta nazionale.
Di “grande pragmatismo” parla il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, che superato “approcci velleitari del passato”. Il documento è condiviso “con i protagonisti della transizione”, spiega, pur non nascondendo i passi ancora necessari per colmare alcuni gap. Nessuna preclusione, assicura, sulle “grandi opportunità dello sviluppo di tutte le fonti “. Nel dossier infatti si traccia uno scenario per il nucleare da fissione nel medio termine (a partire dal 2035) ma anche da fusione (a ridosso del 2050), che, ribadisce il ministro, “ci fa guardare avanti a un futuro possibile”.
Per elaborare il Piano, il Mase ha lavorato con altri ministeri (l’Economia, le Infrastrutture, le Imprese, l’Università e l’Agricoltura), il supporto tecnico di Gse, di Rse per la simulazione degli scenari energetici e di Ispra per quelli emissivi, con il Politecnico di Torino e di Milano per la parte di ricerca e innovazione. Una nuova consultazione nel 2024, dopo quella già svolta nell’anno precedente, ha coinvolto 133 soggetti tra imprese, istituzioni, associazioni e singoli cittadini.
Nell’aggiornamento del Piano è stato seguito un approccio tecnologicamente neutro, che prevede una forte accelerazione su alcuni settori. Oltre alle fonti rinnovabili elettriche, si punta sulla produzione di combustibili rinnovabili come il biometano e l’idrogeno, insieme all’utilizzo di biocarburanti che già nel breve termine possono contribuire alla decarbonizzazione del parco auto esistente, diffusione di auto elettriche, riduzione della mobilità privata, cattura e stoccaggio di CO2, ristrutturazioni edilizie ed elettrificazione dei consumi finali, in particolare attraverso un crescente peso nel mix termico rinnovabile delle pompe di calore.
L’area con performance più alte è quella delle FER: dei 131 Gigawatt che dovranno essere installati al 2030, si prevede che quasi ottanta (79.2) deriveranno dal solare, 28.1 dall’eolico, 19.4 dall’idrico, 3.2 dalle bioenergie e 1 Gigawatt da fonte geotermica (quota quest’ultima che potrebbe anche aumentare al raggiungimento di un adeguato livello di maturità di alcune iniziative progettuali in via di sviluppo).
In ambito efficienza energetica, si registra una importante riduzione dei consumi di energia primaria e finale, ma per il raggiungimento degli obiettivi, innalzati in considerazione dello scenario di crescita del prodotto interno lordo, bisognerà continuare a lavorare. È traguardato invece l’obiettivo relativo ai risparmi annui cumulati nei consumi finali tramite regimi obbligatori di efficienza.
Per quanto riguarda le emissioni e gli assorbimenti di gas serra, l’Italia prevede di superare l’obiettivo del ‘FitFor55’ sugli impianti industriali vincolati dalla normativa Ets, arrivando al -66% rispetto ai livelli del 2005 (obbiettivo UE, -62%).
Anche nei settori “non-ETS” (civile, trasporti e agricoltura) si registra un miglioramento degli indicatori emissivi e per raggiungere i target europei, ad oggi considerati nel dossier “ancora troppo sfidanti”, sarà necessario profondere ulteriori energie.
Sul fronte della sicurezza energetica, si registra una netta riduzione della dipendenza da altri Paesi favorita dalle azioni di diversificazione dell’approvvigionamento e dall’avvenuta pianificazione di nuove infrastrutture e interconnessioni.
Per quanto riguarda la dimensione del Mercato interno dell’energia, si prevede di potenziare le interconnessioni elettriche e il market coupling con gli altri Stati membri e di sviluppare nuove connessioni per il trasporto di gas rinnovabili, rafforzando il ruolo dell’Italia come hub energetico europeo e corridoio di approvvigionamento delle rinnovabili dell’area mediterranea.
Inoltre, il Pniec dà priorità agli obbiettivi nazionali di Ricerca, Sviluppo e Innovazione per accelerare l’introduzione sul mercato di quelle tecnologie necessarie a centrare i target definiti dal Green Deal nonché rafforzare la competitività dell’industria nazionale.
Una sezione specifica è dedicata ai lavori della “Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile”, che ha sviluppato delle ipotesi di scenario in cui si dimostra da un punto di vista tecnico-scientifico la convenienza energetica ed economica di avere una quota di produzione nucleare, in sinergia e a supporto delle rinnovabili e delle altre forme di produzione di energia a basse emissioni. Secondo le ipotesi di scenario sviluppate, il nucleare da fissione, e nel lungo termine da fusione, potrebbero fornire al 2050 circa l’11% dell’energia elettrica totale richiesta – con una possibile proiezione verso il 22%.

Inflazione stabile a giugno (0,8%). Ma preoccupano prospettive per l’industria

A giugno l’inflazione resta sostanzialmente stabile, con l’indice nazionale dei prezzi al consumo che, al lordo dei tabacchi, fa un piccolo scatto in avanti dello 0,1%, mentre su base mensile resta allo 0,8%, in tendenza con maggio. A certificarlo sono i dati dell’Istat, ponendo sul piatto alcuni dettagli su andamenti contrapposti. Rallentano, infatti, i prezzi dei beni alimentari non lavorati, che passano da +2,2% a +0,4%. Si attenua ancora la flessione dei prezzi degli energetici non regolamentati, che fanno uno switch da -13,5% a -10,3 percento. Di contro, accelerano i beni alimentari lavorati, passando da +1,8 a +2,2 percento.

Anche l’inflazione di fondo resta stabile al +2% a giugno, al netto di energetici e alimentari freschi, passando da +2% a +1,9% al netto dei soli energetici. Entrando ancora nel dettaglio dell’analisi Istat, l’istituto rileva che i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallentano su base tendenziale (da +1,8% a +1,4%), come anche quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +2,5% a +2,1%). “Il processo di rientro dei prezzi si stabilizza ma restano alcune tensioni sugli energetici“, avvisa Confesercenti, che invita a “mantenere un adeguato livello di guardia per evitare di essere colti alla sprovvista“.

Dall’Istituto nazionale di statistica arrivano anche altri report di cui tenere conto, quelli sull’industria. Ad aprile, infatti, la stima sul fatturato, al netto dei fattori stagionali, aumenta dello 0,8% sia in valore che in volume, anche se fa registrare una lieve flessione su quello estero (-0,6%). Mentre su base annua, c’è un calo del 2%, di cui l’1,7 sul mercato interno e il 2,5 su quello estero. Crescono, però, i volumi (+0,5%).

Non va meglio con l’indagine rapida sull’attività delle grandi imprese industriali del centro studi Confindustria. Perché a giugno di quest’anno registra una produzione stabile sui livelli del mese precedente per oltre la metà delle aziende (per 53,9% degli associati la produzione rimarrà invariata dal 48,8% della rilevazione di maggio), ma aumenta il rischio percepito di un peggioramento, con un 12,7 percento di imprese che prospettano una contrazione. In calo anche la percentuale di aziende che invece si aspettano un miglioramento: 33,4% (in precedenza era del 45).

Previsioni poco rassicuranti anche quelle della Banca d’Italia. I dati dell’Indagine sulle imprese industriali e dei servizi di Palazzo Koch rivelano che per il 2024 “le imprese prefigurano un lieve incremento del volume delle vendite (0,2% nel complesso; 1,0 nella manifattura e -0,6 nei servizi)“, con un aumento dei prezzi rallentato, tendenzialmente del 2,3 percento. Quello che preoccupa è invece l’espansione degli investimenti, che “proseguirebbe a un ritmo inferiore al 2023 (0,8%)”. Numeri che fanno il paio con quelli delle vendite 2023 che, nel complesso delle imprese dell’Industria in senso stretto (almeno 20 addetti), sono diminuite dell’1,4% a prezzi costanti, secondo il documento di Bankitalia. Campanelli d’allarme da non sottovalutare.