Italgas

Italgas non teme l’inverno e aumenta gli utili

Ridurre i consumi di gas del 15% per fronteggiare le bizze di Putin e i rigori dell’inverno? “Misure di questo tipo devono essere discusse a livello politico, ma da un punto di vista tecnico in Italia non ce n’è bisogno”, puntualizzava mostrando una certa serenità, Paolo Gallo, amministratore delegato di Italgas, durante la conference call per presentare agli analisti la semestrale. In generale “l’inverno non sarà auspicabilmente così critico come qualcuno pensa. E comunque non vediamo impatti per Italgas”. In effetti i conti dei primi sei mesi sono più che lusinghieri, nonostante il periodo gennaio-giugno 2022 non sia stata una passeggiata tra guerra e inflazione. La società ha comunque registrato ricavi totali per 707,4 milioni di euro (+6,3%), un Ebitda (margine operativo lordo) di 513,3 milioni di euro (+4,9%) e un utile netto adjusted di gruppo pari a 188,3 milioni di euro (+6,9%).

I risultati del primo semestre sono l’ulteriore conferma della solidità di un gruppo capace di continuare a crescere in maniera ininterrotta nonostante uno scenario caratterizzato da condizioni economico-sociali e geopolitiche sempre più complesse. Raggiungiamo il primo giro di boa dell’anno – ha commentato l’amministratore delegato – registrando la crescita di tutti gli indicatori economici e gli investimenti (374 milioni di euro) stanno realizzando la trasformazione digitale della rete, sempre più smart, capillare e flessibile al servizio della transizione energetica e della decarbonizzazione dei consumi. In Sardegna – ha concluso Gallo – prosegue il nostro impegno per la completa metanizzazione dei territori in concessione. Il network, che si estende per circa 1.500 chilometri di reti intelligenti, è già oggi il più all’avanguardia del Paese sia perché già in grado di accogliere gas rinnovabili come biometano e idrogeno, sia perché l’approvvigionamento è garantito soltanto da forniture di gas naturale liquefatto“.

Cinque anni fa il titolo in Borsa valeva 4,6 euro, mentre ieri – in una seduta che ha visto oscillare l’azione tra -0,2% e +0,2% – il prezzo era di 5,2 euro. In questi cinque anni ne sono successe di tutti i colori, ciò nonostante – come direbbe lo stesso Paolo Gallo – Italgas si è confermata anche nei momenti più bui “solida”. In generale le nostre utilities rappresentano un punto fermo per risparmiatori e per chi cerca un porto sicuro sia a livello di dividendi che di garanzia per la tenuta del nostro sistema energetico-infrastrutturale. E con 180 anni di esperienza alle spalle, Italgas continuerà a garantire lo sviluppo economico e sociale del Paese: non a caso è il più importante operatore del Paese nel settore della distribuzione del gas e il terzo in Europa. Con oltre 4.100 persone gestisce, direttamente o attraverso le proprie partecipate, una rete di distribuzione che si estende complessivamente per circa 72.700 chilometri attraverso la quale distribuisce il gas a 7,7 milioni di utenze. Un colosso, capace comunque di flessibilità e modernità: riduzione delle emissioni, rispetto dei target ambientali comunitari prima del 2030 (precisamente per il 2028) e investimenti tecnologici per migliore l’efficienza distributiva. Ecco perché l’indebitamento, più o meno stabile intorno ai 5 miliardi, non fa paura all’amministratore delegato e nemmeno alla Borsa. Per investire, servono soldi. Serve debito buono, come direbbe Mario Draghi.

isola di Ventotene

L’isola di Ventotene e la sua comunità energetica ispirazione per l’Europa

Ventotene sta tracciando la strada per l’Europa. L’isola pontina è infatti la prima nel Vecchio Continente ad aver accettato l’idea di ospitare una comunità energetica: si tratta di un nucleo composto da servizi, cittadini e strutture ricettive che producono, consumano e condividono energia proveniente da fonti rinnovabili, che siano impianti solari o mini eolici. Il progetto ha preso il via nell’ottobre del 2021 e intende mettere la comunità al centro del percorso di transizione ecologica: la comunità di Ventotene è partita con un hotel, un supermercato, un caffè e cinque residenti.

Ma perché è stata scelta proprio l’isola pontina? Ne abbiamo parlato con il professor Andrea Micangeli, docente dell’Università La Sapienza e punto di riferimento a livello internazionale quando si parla di ‘mini-grid’, reti di distribuzione elettrica basate su una produzione di energia su piccola scala. “Noi come Università La Sapienza, dipartimento di Meccanica, da decenni lavoriamo su sistemi energetici basati su comunità che per tanti anni sono stati situati in Paesi extra europei. Le mini-grid di energie rinnovabili sono state necessarie in Africa, Asia e America Latina. Già da anni ci chiedevano di trovare il modo di esportare questo sistema anche in Italia. Dicemmo chiaramente che stava arrivando una legge europea, la Red 2, che ci avrebbe permesso di farcela: è arrivata, è stata recepita dal governo italiano e anche nelle nostre regioni, in particolare presso la Regione Lazio, che ci ha dato lo slancio per avviare la prima comunità energetica laddove fosse chiaro che si trattasse, come in questo caso, di una comunità isolata, con una propria generazione in mini-grid. Questo perché Enel lì ha i suoi generatori diesel, che andavano affiancati a una comunità facilmente identificabile che fosse un esempio molto chiaro del fatto che su un’isola si può generare energia rinnovabile e utilizzarla tra i vari cittadini”.

Una volta individuata Ventotene come soluzione ideale a livello ‘geografico’, il progetto ha visto alcuni passaggi obbligati: “Abbiamo dovuto innanzitutto capire quali fossero i fondatori e i primi interessati a costituire la comunità energetica, poi si sono evidenziati gli spazi e gli impianti pubblici che saranno messi in funzione nei prossimi mesi e che potrebbero già essere un nucleo di generazione fotovoltaica importante e aggregante per gli altri associati. Quindi si è dovuta costituire l’associazione comunità energetica e adesso si stanno man mano realizzando altri impianti, di altri soci, per riuscire ad andare a regime con la comunità energetica entro la fine del 2022”.

Per una realtà come Ventotene, arrivare a essere un’isola totalmente autosufficiente in termini di energia rinnovabile non è detto che rappresenti la soluzione ideale da percorrere, come ci spiega il professor Micangeli: “Bisogna innanzitutto ricordare che Ventotene è già un’isola autosufficiente dal punto di vista energetico. L’autosufficienza da energie rinnovabili è difficile, bisogna rispettare l’ambiente anche da un punto di vista paesaggistico e da un punto di vista storico, quindi oltre al fotovoltaico devono essere messe in campo altre tecnologie: penso all’eolico e all’energia ricavata dalle onde del mare. A quel punto si potrà arrivare a una totale autosufficienza in chiave rinnovabile. Puntare subito al 100% non ha neanche pienamente senso e non è detto che abbia un impatto ambientale minimo: noi stiamo svolgendo questo studio e continueremo a supportarlo volentieri. Rimane un traguardo, ma certamente non immediato”.

A livello nazionale, il percorso deve obbligatoriamente accelerare il passo, anche sull’onda dello sforzo europeo in merito: “L’Italia deve attuare una politica e uno sviluppo che oggi non si può neanche più chiamare coraggioso: il costo dell’energia e il valore prodotto dalle rinnovabili non è solo economico e ambientale, ma anche geopolitico. Si sta vedendo ora quanto sia importante. L’ostacolo sta nella produzione di grandi quantità di energie non programmabile e nella capacità di dotarsi di varie forme di accumulo: non soltanto batterie, penso anche all’idrogeno e ad accumuli meccanici e idrici. La vera risposta sono le comunità energetiche, non immettere tutta questa energia su grandi reti nazionali, ma utilizzarla quanto più possibile localmente”.

caro prezzi

Quanto pesa il caro-prezzi sull’economia italiana?

Quanto pesano i rincari dell’energia e dell’alimentare sull’economia reale e qual è l’impatto sulle varie aree del Paese. Ma soprattutto quanto ci rimettono famiglie e imprese. A fare i conti in tasca agli italiani ci ha pensato il Centro studi Tagliacarne e i risultati non sono del tutto ovvi. “Le regioni del Mezzogiorno rischiano di essere discriminate non solo a causa dell’incremento dei prezzi, ma anche per il minor livello dei redditi e a causa della composizione del loro paniere di consumo” è il campanello d’allarme suonato da Gaetano Fausto Esposito, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne, commentando l’analisi sull’impatto dell’indice Istat dei prezzi al consumo sul reddito degli italiani nell’ultimo triennio.

La fiammata dei prezzi ha reso più leggeri i portafogli degli italiani che hanno perso 1756 euro a testa in tre anni (-9,1%). Tra giugno 2019 e giugno 2022, il reddito pro-capite è diminuito in valore assoluto soprattutto nel Nord-Est -2.104 euro. E se in termini relativi l’inflazione ha colpito principalmente il Mezzogiorno (-10%), a livello regionale il caro-vita si è abbattuto più su una regione ricca come il Trentino-Alto Adige, con una perdita del potere di acquisto di 2.962 euro (-12,3%). Rapportando la riduzione di potere di acquisto ai beni e servizi, “vediamo che la perdita del Mezzogiorno è in termini relativi superiore di circa un terzo a quella subita dal Centro-Nord, con punte molto alte in Sicilia, Puglia e Calabria. Inoltre – aggiunge Esposito – la maggiore componente di consumi alimentari delle famiglie del Sud, a fronte dei rincari particolarmente alti degli ultimi mesi, le espone a ulteriore penalizzazione”.

Nella classifica delle regioni primeggia dunque il Trentino-Alto Adige, ma le perdite nelle tasche degli italiani registrano valori superiori ai 2mila euro anche in Emilia-Romagna (-2.136 euro), Friuli-Venezia Giulia (-2.049) e in Lombardia (-2.021). Impatto meno duro si è registrato in Calabria (-1.334), Campania (-1.303), Basilicata (-1.295) e Molise (-1.287). “Tuttavia – conclude l’analisi del Cs Tagliacarne – è in particolare nel Mezzogiorno che il tasso d’inflazione sul reddito pro-capite disponibile incide in maniera più generalizzata”. In effetti il 60% delle regioni che registrano cali percentuali maggiori della media nazionale sono del Sud, dove pesano soprattutto le spinte inflattive su prezzi di casa, energia e alimentari.

Draghi

Draghi ha chiuso ma il dossier energia resta pericolosamente aperto

Mario Draghi ha terminato la sua esperienza a Palazzo Chigi e non è più a capo del governo se non per il disbrigo degli affari correnti, ma i suoi dossier – tutti delicatissimi – restano aperti. E, a stretto giro, andranno chiusi. La fretta di indire nuove elezioni per scongiurare l’esercizio provvisorio ma anche molte altre grane deriva proprio da questo. Cioè da quei dossier di cui sopra che, metaforicamente, l’ex premier ha ‘scaricato’ sulla scrivania del presidente della Repubblica nell’istante in cui si è dimesso.

Sono in stand by le riforme di fisco, giustizia e concorrenza, c’è la grana del superbonus, ci sono i provvedimenti da adottare per ridurre l’impatto sociale dei rincari di bollette e benzina. C’è la rata del Pnrr da 19 miliardi da riscuotere. E poi c’è il piano energia, che rappresenta un problema di portata non inferiore agli altri e che rischia di essere trascurato con conseguenze deleterie per aziende (già sul piede di guerra, ovviamente) e famiglie. Ma qualcuno ci ha pensato? Il sospetto è no, che nessuno ci abbia pensato. Il guasto lo percepiremo nella sua drammatica totalità al ritorno dalle vacanze, quando si affaccerà l’inverno. Allora lì capiremo i pericoli a cui stiamo scelleratamente andando incontro nella speranza che non sia troppo tardi.

Draghi, nel discorso al Senato, ha posto l’accento su alcune priorità: l’indipendenza dal gas russoentro un anno e mezzo”, le alleanze da stringere con nuovi partner, la spinta sulle rinnovabili con un occhio ai rigassificatori di Piombino e Ravenna che vengono etichettati come “questioni di sicurezza nazionale”. Come faremo adesso? E chi lo farà? Chi si occuperà di portare avanti il discorso del price cap sul gas che era stato un cavallo di battaglia dell’ex Presidente del Consiglio e del ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani? Mentre gli altri Paesi della Ue si stanno muovendo per allestire un piano emergenziale sotto il profilo energetico, l’Italia sarà costretta a rallentare almeno fino ad inizio autunno, sempre che le elezioni si tengano – come sembra – a settembre. La sensazione è che non ce lo possiamo permettere, che l’interesse dei partiti abbia prevaricato l’interesse nazionale anche se qualcuno (che ha straccato la spina al Governo) va raccontando che si tratta di allarmismi ingiustificati. Niente di nuovo sotto il sole e in questo caso l’eolico non c’entra…

cambiamento climatico

Il grande Rinascimento o il grande deserto? A noi la scelta, ancora per poco

Ve li ricordate quelli che davano dei catastrofisti agli scienziati? C’erano quelli che, ancora 4-5 anni fa, ironizzavano sul fatto che facesse freddo a maggio a Milano fregandosene del fatto che la media della temperatura annuale continuasse a salire. Oggi invocano aiuti per l’agricoltura italiana, stremata.

In Gran Bretagna ci sono 40 gradi. Incendi devastanti nella Penisola Iberica. Siccità mai vista e zero termico a 4800 metri in Italia. La natura ce lo sta dicendo in maniera evidente: ‘Avete di fronte l’opportunità di avviare un grande Rinascimento globale. Oppure proseguire verso il disastro. Potete ancora scegliere, ma non per molto’.

Vanno fatte scelte immediate, con ricadute in tempi stretti (entro il 2030), oltre a quelle strategiche, per sostenere il cambiamento a medio e lungo termine. No, non basta quello che i governi hanno fatto sinora: significa trascurare la portata di quello che sta accadendo. Siamo in ritardo di molti anni e quindi non basta fare scelte normali, ma sono necessarie scelte più che straordinarie. Bisogna innanzi tutto agire sulla produzione energetica (subito, non tra 20-30 anni), anche favorendo con forti incentivi le comunità energetiche di autoproduzione (soprattutto solare) tra inquilini, condomini e piccole comunità. È possibile, a portata di mano. Soddisfare il fabbisogno civile in tempi brevi per concentrarsi sulla trasformazione più complessa del sistema produttivo (che deve comunque cambiare strutturalmente).

Ci sono alternative per la produzione di energia, così come per l’urbanistica (decisiva per adattamento e riduzione dell’impatto), per l’industria, per la gestione del territorio e di tutti gli ambienti, anche per l’agricoltura (quella intensiva contribuisce in maniera consistente alle emissioni): come ha ricordato Carlin Petrini, il fondatore di Slow Food, produciamo ogni anno cibo sufficiente per 12,5 miliardi di persone e siamo meno di 8 miliardi; significa che un terzo del cibo viene gettato nell’immondizia e senza avere comunque risolto il problema della fame del mondo.

Non c’è bisogno di inventare granché. La maggior parte delle possibili soluzioni sono note, anche nel campo delle scienze economiche, per altre bisogna sostenere con forza la ricerca. E ridurre l’enorme spreco, in ogni settore.

Perché il cambiamento climatico uccide e distrugge l’economia. Lo dimostrano i fatti di questi giorni, inequivocabili. Ma allargando lo sguardo possiamo apprezzare l’intero, precipitoso evolversi dei fatti che in questi anni ci hanno (noi umani) colpiti come fortissimi schiaffi in pieno volto: incendi e caldo insopportabile in tutta Europa; siccità e carestie terribili in tutto il globo; inondazioni o trombe d’aria a ripetizione, come accaduto anche in Sicilia nel novembre 2021.

Sono fatti drammatici che mettono a rischio le vite umane e l’economia, ma anche la sicurezza globale, perché accelerano le tensioni geopolitiche per le risorse, a partire da cibo e acqua.

Sono, però, fatti che sono stati ampiamente previsti dagli scienziati delle varie discipline, dall’economia alla climatologia. Previsioni che vengono ripetute da decenni e che ovviamente non riguardano il singolo evento ma la tendenza, il quadro che va realizzandosi. Inascoltati a lungo, addirittura irrisi in alcuni casi, gli scienziati hanno anche indicato la via: li ascoltiamo, finalmente?

(Photo credits: THIBAUD MORITZ / AFP)

Draghi

Draghi dalla parte dell’Italia: “Unione fa la forza, serve nuovo patto di fiducia”

Unione. È quella che serve per dare sicurezza al popolo italiano, ma anche quella che è venuta meno lo scorso 14 luglio, con il voto contrario alla fiducia che ha portato il presidente del Consiglio Mario Draghi a rassegnare le dimissioni – subito respinte – nelle mani del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “È stato un gesto politico chiaro che, se ignorato, equivarrebbe a ignorare il Parlamento”, ha dichiarato il premier, nel corso delle comunicazioni al Senato. “Oggi posso spiegare a voi e a tutti gli italiani le ragioni di una scelta tanto sofferta, quanto dovuta“, ha aggiunto. Lasciando però uno spiraglio, e anche qualcosa di più, aperto. Perché ora, “l’unica strada, se vogliamo ancora restare insieme, è ricostruire da capo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità. A chiederlo sono soprattutto gli italiani“, ha insistito il premier, ponendo l’inevitabile domanda: “Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese. I partiti e voi parlamentari – siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi, e che poi si è affievolito?“. Un patto indispensabile per non mandare in fumo tutti i progressi realizzati finora. Dalle riforme che, insieme agli investimenti, “costituiscono il cuore del Pnrr” alle misure per sfuggire alla crisi energetica e alimentare.

Sono tre le emergenze che abbiamo dovuto affrontare in questi mesi e che tutt’ora mettono a rischio il Paese: pandemica, economica e sociale. Draghi le elenca, spiegando che, anche se non con poche difficoltà, ad oggi, siamo riusciti a rimanere a galla affrontandole con qualsiasi strumento a nostra disposizione. Oltre a esserci affermati con un ruolo guida all’interno dell’Ue e del G7, spiega il premier, “ci siamo mossi con grande celerità per superare l’inaccettabile dipendenza energetica dalla Russia. In pochi mesi, abbiamo ridotto le nostre importazioni di gas russo dal 40% a meno del 25% del totale e intendiamo azzerarle entro un anno e mezzo“. Un risultato che sembrava impensabile, che dà tranquillità per il futuro all’industria e alle famiglie, che rafforza la nostra sicurezza nazionale. “Abbiamo accelerato, con semplificazioni profonde e massicci investimenti, sul fronte delle energie rinnovabili, per difendere l’ambiente, aumentare la nostra indipendenza energetica“, la sottolineatura. Tutto questo è stato possibile grazie all’unione che vigeva tra le forze politiche e al “miracolo civile che il popolo italiano ha sostenuto” attivandosi in una mobilitazione senza precedenti: “Dal rispetto delle restrizioni per la pandemia, alla straordinaria partecipazione alla campagna di vaccinazione e, ancora, all’aiuto ai popoli ucraini”, ha chiarito Draghi, esteriorizzando poi un sentimento inconfondibile: “Sono stato orgoglioso di essere italiano”.

Sul fronte energetico, appunto, gli interventi previsti nei prossimi mesi richiedono un forte sostegno da parte di un Governo più unito che mai. Draghi ripercorre la road map dei progetti in agenda: “Bisogna adottare entro i primi giorni di agosto un provvedimento corposo per attenuare l’impatto su cittadini e imprese dell’aumento dei costi dell’energia, e poi per rafforzare il potere d’acquisto, soprattutto delle fasce più deboli della popolazione“. Inoltre, occorre “ridurre il carico fiscale sui lavoratori, a partire dai salari più bassi, è un obiettivo di medio termine. Questo è un punto su cui concordano sindacati e imprenditori“.

Non manca la riflessione sul tema della siccità, ultima grave emergenza che sta mettendo in ginocchio l’Italia e l’Europa: “La siccità e le ondate di calore anomalo che hanno investito l’Europa nelle ultime settimane ci ricordano l’urgenza di affrontare con serietà la crisi climatica nel suo complesso“.

Le responsabilità del Governo italiano sembra non siano mai state così impegnative e in un momento come questo non può mancare l’altruismo all’origine di un’intesa idonea a ricreare le condizioni adatte per superare gli ostacoli che intralciano la vita del Paese.

Crisi, Draghi alle Camere: siccità e gas le incognite. Taglio accise fino al 21/8

Una vigilia diversa dalle altre per Mario Draghi. Il premier, rientrato lunedì sera, in anticipo, dall’Algeria, passa al lavoro nel suo ufficio il giorno prima di quello che potrebbe essere il ‘redde rationem’ con un pezzo della sua maggioranza. Sente al telefono il presidente ucraino, Volodimir Zelensky, al quale ribadisce “pieno sostegno e solidarietà” del governo per Kiev, ma già di buon mattino ha il primo, importante, impegno della sua agenda di martedì 19 luglio, con una visita al Quirinale per un incontro con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Vis a vis che, viene poi chiarito, rientra nelle consuete interlocuzioni tra le due alte cariche dello Stato, in particolar modo nell’attuale, delicata fase politica. Senza contare che il premier deve riferire al capo dello Stato della sua missione ad Algeri, dove il governo e le principali aziende di Stato hanno firmato 15 intese con il governo algerino. Mentre il dialogo è in corso arriva anche la notizia della firma all’intesa tra Eni, Sonatrach, Oxy e TotalEnergies che consentirà di potenziare gli investimenti, aumentando le riserve di idrocarburi dei giacimenti presenti nei blocchi 404 e 208, nel prolifico bacino del Berkine, nell’Algeria orientale, prolungandone la vita produttiva per ulteriori 25 anni.

Musica per le orecchie di chi, in queste ore concitate, sta provando a tenere insieme l’esigenza di decidere se proseguire o meno l’esperienza di governo (a condizioni ben precise) con la necessità del Paese di non aggravare la crisi energetica, con gli stoccaggi ancora in corso e la totale incertezza sulle mosse della Russia, che resta ancora il principale fornitore di gas per l’Italia, anche se ora pure l’Unione europea riconosce che il fabbisogno del nostro Paese è sceso dal 40 al 25% in pochi mesi.

Gazprom continua a ribadire che difficilmente riprenderanno i flussi dal 21 luglio, nonostante l’annuncio dello stop di 10 giorni solo per una manutenzione degli impianti del gasdotto Nord Stream 1. Lo stesso colosso russo continua a chiudere accordi con altri Paesi, come l’Iran: l’ultimo con National Iranian Oil Company, per “lo sviluppo dei giacimenti petroliferi e di gas dell’Iran, operazioni di swap di gas naturale e di prodotti petroliferi, realizzazione di progetti di Gnl su larga e piccola scala, costruzione di gasdotti, cooperazione scientifica, tecnica e tecnologica“.

Tutti segnali che, di fatto, rientrano nella riflessione dell’ex Bce, che incassa nuovi appelli a restare in sella e, intanto, ‘sdoppierà’ le sue comunicazioni alle Camere. Draghi, infatti, oggi alle ore 9.30 sarà al Senato per pronunciare il suo discorso, poi – secondo quanto stabilito dalla Conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama – ci sarà un’interruzione fino alle 11, quando la seduta riprenderà fino alle repliche, previste per le 16.30 con votazioni sulla fiducia dalle 18.40 alle 19.30. Slitta, di conseguenza, l’appuntamento alla Camera, che alle 10.30 riceverà il discorso pronunciato in Senato, ma accoglierà il premier domani, giovedì 21 luglio, per la discussione generale dalle 9 alle 11.30, quando la capigruppo di Montecitorio prevede le repliche del capo del governo. A seguire si svolgeranno le dichiarazioni di voto dei gruppi parlamentari, poi dalle 13.45 alle 15.15 ci sarà il voto per appello nominale dei deputati.

Il problema politico resta la confusione che regna nella maggioranza. Il centrodestra chiede di andare avanti, ma senza Giuseppe Conte, i Cinquestelle e due ministri in particolare, Roberto Speranza (Salute) e Luciana Lamorgese (Interno), ritenuti ‘unfit’ al ruolo. A parte il capitolo M5S, che ancora non scoglie la riserva ma è dilaniato al suo interno tra chi vorrebbe confermare la fiducia all’ex Bce – come il capogruppo a Montecitorio, Davide Crippa, ma anche esponenti di primo piano come Angelo Tofalo, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro – e chi, invece, vorrebbe andare all’opposizione di Draghi. Sebbene questo potrebbe significare l’impossibilità di ricreare una coalizione di unità nazionale, dunque un nuovo esecutivo, provocando lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate.

Questo manderebbe in fumo il lavoro sul prossimo decreto Aiuti, nel quale dovrebbero trovare spazio anche risorse e misure contro il fenomeno devastante della siccità, oltre a nuovo ossigeno per famiglie e filiere produttive contro il rincaro dell’energia. La fine anticipata della legislatura rallenterebbe di molto anche la battaglia europea per il tetto massimo al prezzo del gas, problema con cui qualsiasi governo dovrà confrontarsi.

Prima di qualsiasi decisione, comunque, il governo mette almeno al sicuro la proroga fino al prossimo 21 agosto del taglio di 30 centesimi alle accise su benzina, diesel, gpl e metano per autotrazione. Il decreto interministeriale è stato firmato dai ministri dell’Economia, Daniele Franco, e della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e potrebbe avere effetti benefici a breve, magari sull’onda della riduzione dei prezzi registrata dall’osservatorio del Mite: benzina e gasolio, infatti, scendono sotto i 2 euro. Da oggi inizia una nuova partita, molto probabilmente quella decisiva.

Nord stream

Il gas da Nord Stream non ripartirà. La Ue si prepara al peggio

La Commissione europea è ormai convinta che i flussi di gas russo non torneranno a scorrere attraverso il Nord Stream 1 tanto presto e si prepara allo “scenario peggiore, ovvero la completa interruzione delle forniture russe all’Europa. “Stiamo lavorando sulla base del presupposto che (il gasdotto, ndr) non tornerà in funzione“, ha ammesso martedì mattina il commissario europeo al Bilancio, Johannes Hahn, a margine di un evento a Singapore, citato dal Wall Street Journal. Nord Stream 1 – controllato dal gigante russo del gas Gazprom – è la principale infrastruttura per il trasporto del gas russo all’Europa, con 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno trasferiti dalla Russia alla Germania, passando sotto al Mar Baltico.

Gli impianti di Nord Stream sono fermi in una manutenzione programmata (e strumentale) da parte del Cremlino da lunedì 11 luglio, per dieci giorni. Il periodo di fermo, dunque, dovrebbe concludersi questo giovedì, ma Bruxelles è ormai certa che non sarà così e i flussi non ripartiranno. Sono già emerse varie indiscrezioni a mezzo stampa secondo cui la compagnia russa Gazprom avrebbe comunicato ad alcuni clienti in Europa di non poter garantire le forniture di gas a causa di circostanze “straordinarie“.

Su cosa attende i Paesi membri dopo il prossimo giovedì è incognita ma Bruxelles si prepara al peggio. “È impossibile per noi predire le prossime mosse del (gigante del gas russo) Gazprom, ha chiarito il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer, durante il briefing quotidiano con la stampa. “Ad oggi ci sono almeno 12 Stati membri che hanno sperimentato un taglio parziale o totale alle forniture di gas“. E dal momento che la Commissione europea sta preparando un piano di emergenza per la riduzione della domanda di energia, stiamo “prendendo in considerazione lo scenario peggiore possibile”, ovvero un’interruzione totale delle forniture all’Europa. La presentazione del piano in questione è prevista domani da parte di Bruxelles e “stiamo lavorando a ogni possibile scenario e uno di questi è la possibilità che i flussi di gas non riprendano”, ha precisato il portavoce.

Rifiuti

Il metano nemico numero 2: è il più inquinante dopo l’anidride carbonica

Secondo l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) per raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi, ossia la limitazione del riscaldamento a non più di 1,5°C, “le emissioni globali di gas serra dovrebbero raggiungere il picco entro il 2025 e ridursi del 43% entro il 2030, mentre le emissioni di metano dovrebbero ridursi di circa un terzo rispetto ai livelli attuali entro il 2030 e di circa il 45% entro il 2040”. A spiegarlo è Domenico Gaudioso (Ispra) nel corso del webinar di Wwf ‘Le emissioni di metano in Italia. Stime e priorità di intervento’.

Affinché questo traguardo venga raggiunto occorre prendere in considerazione tutte le sorgenti responsabili dell’inquinamento da gas metano e non focalizzarsi solo su una parte di esse. Anche perché, per esempio, “la decarbonizzazione delle economie influirà sulle emissioni, ma non garantisce una riduzione oltre il 30%”, chiarisce Gaudioso.

IL GAS METANO

Secondo gas-serra di origine antropica, il più abbondante dopo l’anidride carbonica, il metano rappresenta attualmente circa il 20% delle emissioni globali, influendo sulla temperatura terrestre e sul sistema climatico in maniera incisiva. Il report del Wwf ‘Le emissioni di metano in Italia’ illustra come le concentrazioni atmosferiche del gas siano aumentate del 47% dall’epoca preindustriale ad oggi, e raggiungano attualmente i livelli più elevati degli ultimi 800.000 anni. “Sebbene il metano sia molto meno abbondante nell’atmosfera rispetto alla CO2, assorbe però la radiazione infrarossa termica in modo molto più efficiente e, di conseguenza, ha un potenziale di riscaldamento globale circa 80 volte più forte per unità di massa della CO2 su una scala temporale di 20 anni e circa 30 volte più potente su una scala temporale di 100 anni“, sottolinea il Wwf.

IN ITALIA

Per quanto riguarda l’Italia, l’esperto dell’Ispra snocciola alcuni dati esplicativi: “Nel 2019, le emissioni di metano in Italia sono state pari a 1.718,69 kt, corrispondenti a 48.123,32 ktCO2 equivalenti, il 12,9% in meno del valore registrato nel 1990. In termini di CO2 equivalente, il metano ha rappresentato il 10,3% del totale dei gas-serra“. Aggiungendo in seguito che “i settori che forniscono il contributo più rilevante alle emissioni di metano sono l’agricoltura, con il 44,2%, la gestione dei rifiuti, con il 37,9% e l’energia con il 17,9%(di cui 11,0% dalle emissioni fuggitive e il 6,9% dai processi di combustione)“.

Dalle percentuali sopraindicate emerge la necessità urgente per l’Italia di predisporre una strategia per il metano allineata a quella europea e integrata con il Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima), che prevede misure come il sostegno alla produzione di biogas di origine agricola, la gestione dei reflui zootecnici e la produzione di biometano.

Ricapitolando, Gaudioso traccia le sue conclusioni: nel Paese “è essenziale procedere alla definizione di un quadro programmatico adeguato per la riduzione delle emissioni di metano, in particolare prevedendo un sistema di monitoraggio delle emissioni affidabile ed efficiente“. Inoltre, per l’esperto è fondamentale “sensibilizzare e diffondere le buone pratiche che sono già patrimonio delle aziende italiane e introdurre le misure previste dalla proposta di regolamento sulle emissioni di metano di origine energetica”. Senza dimenticare “l’integrazione delle misure per il settore agricolo con interventi mirati alla diffusione dell’agricoltura biologica e di altri sistemi a basso input che enfatizzano l’uso circolare dei nutrienti e interventi di riduzione della domanda di prodotti ad alta intensità di emissione (in particolare quelli legati all’allevamento bovino), attraverso il cambiamento delle diete umane, alimentazioni alternative per il bestiame e la riduzione degli sprechi alimentari“.

(Photo credits: TED ALJIBE / AFP)

Putin teheran

Putin a Teheran per vertice con Iran e Turchia: focus grano ed energia

Il presidente russo Vladimir Putin è oggi a Teheran per un incontro trilateriale con i suoi omologhi di Iran, Ebrahim Raisi e Turchia, Recep Tayyip Erdogan. Sul tavolo del vertice c’è il conflitto in Siria, ma anche la guerra in Ucraina e il suo impatto sulle economie globali, lo sblocco del grano bloccato nei porti ucraini e l’accesso all’energia. “In primo luogo, siamo pronti a continuare a lavorare in questa direzione e, in secondo luogo, la questione sarà discussa dai presidenti Putin ed Erdogan“, ha dichiarato ieri il consigliere diplomatico del Cremlino, Yuri Ushakov, citato dai media russi.

L’incontro arriva pochi giorni dopo il tour in Medio Oriente del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha visitato Israele e Arabia Saudita, due Paesi ostili all’Iran. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è arrivato a Teheran ieri sera ed è stato ricevuto questa mattina dal suo omologo iraniano nel Palazzo Saadabad, nel nord della capitale iraniana.

Il ministero della Difesa russo ha dichiarato venerdì che sarà presto pronto un “documento finale” per consentire l’esportazione di grano dall’Ucraina. L’accordo, mediato dalle Nazioni Unite, mira a trasferire attraverso il Mar Nero circa 20 milioni di tonnellate di grano bloccate nei silos ucraini a causa dell’offensiva della Russia in Ucraina. Dovrebbe inoltre facilitare le esportazioni russe di cereali e fertilizzanti, che sono state colpite dalle sanzioni occidentali sulle catene logistiche e finanziarie russe. I prodotti agricoli russi e ucraini sono essenziali per evitare che le crisi alimentari si diffondano nel mondo. I colloqui irano-russi affronteranno anche la questione dell’accesso all’energia.

(Photo credits: Mikhail KLIMENTYEV / SPUTNIK / AFP)