Cannucce, lampadine e soffioni della doccia: la crociata di Trump per tornare al passato

Fornelli a gas, manopole per doccia, lampadine a incandescenza, cannucce di plastica… Da quando è tornato alla Casa Bianca, Donald Trump ha nel mirino le norme ambientali che riguardano molti oggetti di uso quotidiano, con il leitmotiv: “Era meglio prima”. Martedì, ad esempio, ha ordinato al suo governo di “tornare immediatamente” alle norme del suo primo mandato su “lavandini, docce, servizi igienici, lavatrici, lavastoviglie”. Il miliardario 78enne si lamenta da molti anni dei soffioni doccia che, secondo lui, hanno una portata d’acqua troppo bassa. “Se siete come me, non potete lavare bene i vostri bei capelli”, aveva detto nel 2020.

Durante il suo primo mandato, la sua amministrazione aveva emanato norme per consentire ai soffioni doccia di utilizzare più acqua, poi revocate dal suo successore Joe Biden. Negli ultimi anni, Donald Trump ha anche fatto campagna sull’idea che i democratici volessero vietare i fornelli a gas o le auto a combustione interna, e ne aveva fatto una questione di libertà di scelta per gli americani. Si oppone spesso anche alle lampadine a LED, che hanno gradualmente sostituito quelle a incandescenza nell’ultimo decennio. “Non sono una persona vanitosa”, aveva dichiarato nel 2019, “ma ho un aspetto migliore sotto una lampada a incandescenza invece che sotto queste luci da pazzi”. Con le nuove lampadine, “sembro sempre arancione”, aveva scherzato il presidente americano. Da qui l’annuncio di martedì di voler firmare un decreto per tornare agli “standard di buon senso sulle lampadine”.

Per Andrew deLaski dell’associazione Asap, le preoccupazioni di Donald Trump “sembrano obsolete”. “Oggi esiste una vasta gamma di prodotti moderni ed efficienti che sono tra quelli che funzionano meglio”, ha dichiarato il responsabile esecutivo di questa organizzazione che si batte per gli standard di efficienza energetica dei prodotti di uso quotidiano. Asap sottolinea, ad esempio, che le lampadine a LED “limitano i costi energetici per le famiglie e le imprese e riducono l’inquinamento”. Allo stesso modo, “gli standard sui soffioni doccia fanno risparmiare denaro ai consumatori sulle bollette dell’acqua e dell’elettricità e aiutano a proteggere l’ambiente”.

Ma la crociata del settantenne presidente, noto scettico del clima, sembra meno legata a ragionamenti ecologici o economici che a un attaccamento malinconico agli oggetti del passato. Dal suo clamoroso ingresso sulla scena politica americana nel 2015, il miliardario usa la nostalgia come una potente arma elettorale. “Donald Trump sembra capire – e forse è lui stesso sensibile a – queste spinte nostalgiche”, ritiene Spencer Goidel, professore di scienze politiche all’Università di Auburn (Alabama). Il ricercatore, che ha studiato la questione della nostalgia in politica, fa un parallelo con i gusti musicali. “La maggior parte degli americani pensa che il periodo migliore nella musica sia stato quello in cui erano giovani adulti”, dice, ricordando le canzoni migliori e dimenticando quelle cattive. “Nella società è la stessa cosa: i grandi uomini e le grandi donne della storia sono immortalati; gli uomini e le donne mediocri (a volte corrotti o incompetenti) sono dimenticati”. Non sorprende quindi che i responsabili politici si approprino del sentimento nostalgico, perché “elaborare un messaggio orientato al futuro è difficile”, sottolinea Spencer Goidel. “È molto più facile invocare un ritorno” alle cose di un tempo, aggiunge il ricercatore.

Lo slogan preferito di Donald Trump, “Make America Great Again”, vuole essere un richiamo al passato, volendo “restituire la grandezza all’America”. Se, secondo Spencer Goidel, “la nostalgia non è intrinsecamente democratica o repubblicana”, il suo lavoro condotto con altri ricercatori mostra che il sentimento è più “associato ad atteggiamenti razzisti e sessisti, a uno stato d’animo autoritario e a un voto repubblicano”. E secondo la sua ricerca, le persone che mostrano forti sentimenti nostalgici tendono maggiormente a “sostenere un uomo forte che infrange le leggi e disgrega le istituzioni”.

La Cina riprende a costruire le centrali a carbone: a rischio obiettivi climatici

Lo scorso anno la Cina ha avviato la costruzione di centrali termiche a carbone che rappresentano la più grande capacità combinata dal 2015, il che mette in dubbio il suo obiettivo di raggiungere il picco di emissioni di carbonio nel 2030. Pechino ha iniziato la costruzione di unità combinate con una capacità di 94,5 gigawatt (GW) nel 2024, pari al 93% del totale mondiale, secondo quanto riportato in un rapporto dal Centro di ricerca sull’energia e l’aria pulita (Crea), con sede in Finlandia, e dall’organizzazione americana Global Energy Monitor (GEM).

La seconda economia mondiale è il principale emettitore di gas serra, all’origine del cambiamento climatico, ma è anche all’avanguardia nel settore delle energie rinnovabili. Nel 2024 ha aggiunto 356 GW di nuova capacità eolica e solare, ovvero 4,5 volte di più dell’Unione Europea, secondo i dati ufficiali. Se il carbone è stato una fonte di energia essenziale in Cina per decenni, l’esplosiva crescita delle sue capacità eoliche e solari negli ultimi anni ha fatto sperare che il Paese possa abbandonare questo combustibile fossile altamente inquinante. La Cina ha annunciato di voler raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060.

“La rapida espansione delle energie rinnovabili in Cina ha il potenziale per rimodellare il suo sistema elettrico, ma questa opportunità è compromessa dalla contemporanea espansione su larga scala dell’energia derivata dal carbone”, ammette tuttavia Qi Qin, autore principale del rapporto. Questo aumento si verifica nonostante l’impegno assunto dal presidente cinese Xi Jinping nel 2021 di “controllare rigorosamente” i progetti di centrali a carbone e l’aumento del consumo di carbone prima di “ridurlo gradualmente” tra il 2026 e il 2030.
La produzione di carbone è aumentata costantemente negli ultimi anni, passando da 3,9 miliardi di tonnellate nel 2020 a 4,8 miliardi di tonnellate nel 2024. “In assenza di urgenti cambiamenti politici, la Cina rischia di rafforzare un modello di energia aggiuntiva piuttosto che di transizione, limitando così il pieno potenziale del suo boom nel settore dell’energia pulita”, afferma il rapporto.

Le nuove autorizzazioni per progetti di centrali a carbone sono diminuite dell’83% nella prima metà del 2024, infondendo ottimismo per il ritmo della transizione energetica in Cina. Ma da allora la tendenza si è invertita. A novembre, un gruppo di esperti del Crea e del think tank australiano International Society for Energy Transition (ISETS) stimava al 52% che il consumo di carbone cinese avrebbe raggiunto il picco nel 2025.

Ma l’elettricità prodotta dal carbone è aumentata alla fine del 2024, nonostante un aumento delle capacità di energia rinnovabile sufficienti in linea di principio a coprire la crescita della domanda di elettricità. Questa evoluzione suggerisce che l’energia derivata dal carbone è preferita rispetto alle fonti rinnovabili in alcune regioni, secondo il rapporto.

Energia, avviata posa primo cavo sottomarino Tyrrhenian Link: opera pronta dal 2028

Un passo avanti per garantire la sicurezza energetica del Paese. A Fiumetorto, nel territorio di Termini Imerese, nel Palermitano, ha preso il via la posa del primo cavo sottomarino del ramo est dell’impianto Tyrrhenian Link, che collegherà Sicilia e Campania con due linee elettriche sottomarine in corrente continua a 500 kV, per un totale di 970 km di cavo e una capacità di trasporto di 1.000 MW per ciascuna tratta.

Si tratta di uno degli investimenti più importanti previsti dal piano industriale di Terna, che per l’opera ha stanziato 3,7 miliardi di euro e avrà anche un ramo ovest tra la Sicilia e la Sardegna. Il Tyrrhenian Link, peraltro, risponde alle esigenze previste dal nuovo Piano nazionale integrato per l’energia e il clima per alimentare il percorso di decarbonizzazione dell’Italia. Grazie all’infrastruttura, infatti, potrà essere incrementata la capacità di trasporto, favorendo così la transizione energetica, migliorando la sicurezza, l’adeguatezza e la flessibilità della rete elettrica di trasmissione nazionale.

Da un punto di vista industriale, poi, l’opera mette insieme due eccellenze del nostro Paese, perché la società guidata da Giuseppina di Foggia, lavorerà a stretto contatto con la Prysmian, azienda leader globale nel settore dei sistemi in cavo per l’energia e le telecomunicazioni, che avrà il compito di portare a termine la posa del cavo sottomarino lungo la tratta che va da Termini Imerese a Battipaglia, in provincia di Salerno. Passaggio che avverrà grazie all’ausilio della nave Leonardo da Vinci. Sarà una installazione da record per Prysmian, perché per la prima volta un cavo Hvdc verrà posato a una profondità di 2.150 metri, fissando nuovi standard di mercato.

Il ramo est del Tyrrhenian Link, inoltre, può contare sul finanziamento di 500 milioni di euro, che rientrano nel RePowerEu, il capitolo aggiuntivo del Pnrr dedicato proprio all’energia. Sul progetto sono puntate molte delle fiches dell’Europa, al punto che proprio un anno fa Terna siglò con la Banca europea per gli investimenti un contratto per l’ultima tranche del finanziamento da 1,9 miliardi di euro, destinato a supportare la costruzione e la messa in esercizio del collegamento. L’opera sarà operativa nel 2028, con l’entrata in servizio del primo polo del ramo est prevista per il 2026.

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Le rinnovabili nei trasporti in Ue

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, la quota percentuale di energia da fonti rinnovabili utilizzata nel settore traporti dei Paesi Ue. Secondo Eurostat, ha raggiunto il 10,8% nel 2023, con un aumento di 1,2 punti percentuali rispetto al 2022 (9,6%) ma comunque inferiore di 18,2 punti rispetto all’obiettivo del 29% per il 2030. Per raggiungere l’obiettivo sarebbe necessario un aumento medio annuo di 2,6 punti percentuali entro 5 anni. La Svezia è stato il Paese Ue con la quota più alta di energie rinnovabili nei trasporti e l’unico Paese ad aver già raggiunto l’obiettivo del 2030 (33,7%). Al secondo posto si è classificata la Finlandia (20,7%), seguita dai Paesi Bassi (13,4%) e dall’Austria (13,2%). L’Italia ha registrato il 10.2%. Al contrario, le quote più basse sono state registrate in Croazia (0,9%), Lettonia (1,4%) e Grecia (3,9%). I maggiori incrementi nell’uso di energia da fonti rinnovabili nei trasporti tra il 2022 e il 2023 sono stati registrati in Svezia (+4,9%), Austria e Portogallo (entrambi +2,5%), mentre i maggiori cali sono stati registrati in Lettonia (-1,7%), Croazia (-1,5%) e Romania (-0,9%)

Energia, blue economy e tecnologia: la ‘ricetta’ di Urso per lo sviluppo delle isole

Una popolazione sempre più in calo – circa il 10-15% in meno nei prossimi 20 anni – un ambiente “meno favorevole allo sviluppo economico”, costi energetici e logistici “strutturalmente più alti” e accesso ai servizi, come quelli socio-sanitari, più difficile. In audizione presso la Commissione parlamentare per il contrasto degli svantaggi derivanti dall’insularità, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, snocciola le difficoltà legate alla “discontinuità territoriale marittima” e annuncia che in Consiglio dei ministri arriverà “nei prossimi mesi” il collegato alla manovra economica che si chiama ‘Destinazione Italia‘, con l’obiettivo di “incentivare il flusso crescente di capitali stranieri” anche e soprattutto nelle isole maggiori e in quelle più piccole.

E se è vero, dice, che “i principali input produttivi che determinano la competitività delle imprese”, come “disponibilità delle aree utili, costo dell’energia e della materie prime, qualità e quantità della forza lavoro e del capitale umano” costano molto di più, “sul piano strategico solo il ruolo attivo dello Stato può consentire di invertire le condizioni di svantaggio delle isole, evitando sia gli errori fatti nel passato”.

Un ruolo, assicura, che ci sarà e sul quale il governo sta investendo e lo farà ancora di più. Tra i settori “più promettenti e su cui fare leva” ci sono quelli legati alla blue economy, che vanno dal turismo del mare alla pesca, dall’acquacoltura alla nautica da diporto. Ecco perché “è necessario rafforzare l’offerta integrata turistica del mare e del Made in Italy che si caratterizza per sostenibilità, qualità e forte integrazione con il settore dell’industria e della cultura”. Esiste in questo campo, dice Urso, “un’enorme potenzialità di ‘soft power'” legato ,“alla creazione di un brand turistico del made in Italy nel Mediterraneo”, connesso, ad esempio, anche agli stili di vita e alla dieta mediterranea.

Allo stesso tempo, però, le isole devono puntare anche verso “lo sviluppo e lo sfruttamento delle energie provenienti dal mare, sia fossili che rinnovabili”, che potrebbero portare a “un’intera filiera produttiva legata alla produzione industriale delle piattaforme galleggianti” e alla crescita di “settori a più alto contenuto tecnologico e con più margine di crescita competitiva per il futuro”. Come, ad esempio, la “farmaceutica, l’aerospazio, l’industria della difesa su cui necessariamente l’Europa e quindi anche il nostro paese dovrà investire di più”. Serve però, puntualizza Urso, che a Bruxelles “diventi centrale” il tema “dello sviluppo economico delle isole europee”, soprattutto nei “programmi finanziari della Commissione” e che, nello stesso tempo, ogni Regione “insulare o con forte presenza di insularità crei e aggiorni un preciso programma di sviluppo industriale”, in un’ottica di “collaborazione con i territori”.

Un esempio su tutti, spiega il ministro delle Imprese, è quello del Sulcis che può diventare “un esempio e un modello di sviluppo in Europa”. La Sardegna, dice, può ambire a un ruolo di primo piano “in un’ottica di autonomia strategica nel campo delle materie prime critiche”, anche “per la sua tradizione mineraria e industriale, per la conformità dell’isola e per la sua geolocalizzazione al centro del Mediterraneo”.

Trump a ruota libera a Davos: “Ue ci tratta male, la Fed tagli i tassi e l’Opec i prezzi”

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ancora contro l’Unione Europea. Durante un discorso da remoto al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, ha definito la relazione commerciale tra le due entità “iniqua” e “molto ingiusta“. Nel senso che “dal punto di vista dell’America, l’Ue ci tratta in modo molto, molto ingiusto, molto male“. Trump ha ribadito le sue critiche a Bruxelles, lamentandosi delle difficoltà imposte a chi cerca di portare prodotti sul mercato europeo, pur evidenziando che, secondo lui, l’Unione Europea non ha alcun problema a vendere i suoi beni negli Stati Uniti. “Rendono molto difficile portare prodotti in Europa, e tuttavia si aspettano di vendere e vendono i loro prodotti negli Stati Uniti. Quindi abbiamo, sapete, centinaia di miliardi di dollari di deficit con l’Ue, e nessuno ne è contento. E faremo qualcosa al riguardo“, ha affermato il presidente, aggiungendo che in Europa “non prendono i nostri prodotti agricoli e non prendono le nostre auto, eppure ce ne mandano milioni. Impongono tariffe su cose che vogliamo fare. Abbiamo delle lamentele molto grandi con l’Ue“. Trump ha poi continuato a spingere perché i processi decisionali vengano accelerati. “Vogliono essere in grado di competere meglio, e non puoi competere quando non puoi superare il processo di approvazione più velocemente. Non c’è motivo per cui non possa andare più veloce. Sto cercando di essere costruttivo, perché amo l’Europa“, ha dichiarato.

Oltre alle questioni commerciali, Trump ha affrontato un altro tema caldo durante il suo intervento, ossia la politica monetaria della Federal Reserve. Pur non citando direttamente la Fed, Trump ha chiarito la sua intenzione di far abbassare i tassi di interesse, dichiarando: “Pretenderò che i tassi di interesse scendano immediatamente. E allo stesso modo, dovrebbero scendere in tutto il mondo. I tassi di interesse dovrebbero seguirci ovunque“. Un modo, secondo il presidente Usa, per mettersi alle spalle “la peggiore crisi inflazionistica della storia moderna, e tassi di interesse alle stelle per i nostri cittadini e persino per tutto il mondo. I prezzi dei prodotti alimentari e di quasi ogni altra cosa conosciuta dall’umanità sono andati alle stelle“, ha concluso Trump, anticipando una politica economica volta a ridurre i costi per i cittadini americani e rafforzare l’economia globale. Un obiettivo che non potrà passare dal raffreddamento dei prezzi petroliferi: “Chiederò all’Arabia Saudita e all’Opec di ridurre il costo del petrolio. Dovete abbassarlo“.

Effetto Trump su petrolio e Gnl: il greggio cala, il gas ritorna a 50 euro

Il giorno il giuramento di Trump e il giorno dopo le promesse del neo presidente degli Stati Uniti su petrolio e gas – “trivelleremo, baby, trivelleremo” e “esporteremo il nostro gas in tutto il mondo” – i mercati navigano a vista. Greggio e gas prendono direzioni opposte, ma il sottofondo non è dei più accomodanti. C’è come la sensazione che tutto possa succedere.

I contratti futures sul petrolio Brent hanno registrato oscillazioni intorno ai 79 dollari al barile, in calo dell’1% dopo la discesa di ieri, a seguito dell’annuncio di Trump riguardo l’intenzione di aumentare la produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti, dichiarando un’emergenza nazionale. Un’importante misura proposta da Trump prevede l’introduzione di tariffe del 25% sulle importazioni provenienti da Canada e Messico, che entreranno in vigore il 1° febbraio. Questa proposta ha contribuito a smorzare le aspettative di un rallentamento nelle politiche commerciali, ma la decisione di rimandare l’introduzione di imposte sulle importazioni cinesi ha mantenuto i mercati in un’incertezza relativa. Oltre alle tariffe commerciali, gli investitori seguono con attenzione anche la possibilità che l’amministrazione Trump imponga nuove sanzioni contro importanti esportatori di petrolio come Russia, Iran e Venezuela. Parallelamente, comunque, un calo del rischio geopolitico ha contribuito a contenere le oscillazioni dei prezzi, soprattutto dopo il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, che ha portato a un accordo sul rilascio degli ostaggi.

Sul fronte del gas naturale, i prezzi in Europa sono tornati con un balzo di quasi il 3% fino a 50 euro per megawattora. I flussi di gas naturale russo attraverso l’Ucraina sono stati interrotti all’inizio dell’anno, dopo che i due governi non sono riusciti a raggiungere un accordo, ma sebbene l’International Energy Agency abbia osservato che questa interruzione non rappresenti un rischio immediato per la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Ue, si prevede un aumento delle importazioni di Gnl in Europa, con stime che indicano un incremento di oltre il 15% nel 2025. Attualmente, i livelli di stoccaggio del gas dell’Ue si aggirano intorno al 60% della capacità totale, con gli esperti che suggeriscono che la situazione potrebbe comportare una maggiore dipendenza dalle importazioni di Gnl nei prossimi anni. Anche perché, come ha riportato Bloomberg, Trump ha invitato l’Europa ad acquistare il suo gas, o saranno dazi.
Sul fronte americano, va infine specificato, che per i trader la revoca della moratoria sulle nuove licenze per le esportazioni di gas naturale liquefatto potrebbe aprire la strada a nuovi permessi, con un impatto potenzialmente positivo sulla domanda di Gnl da parte dell’Europa e dell’Asia. Magari a prezzi più bassi.

 

Energia, Tajani sigla accordo con Tunisia. 21/1 Roma riunione per corridoio idrogeno

Va avanti spedito il lavoro del governo per diversificare le fonti e i partner di approvvigionamento energetico. Antonio Tajani chiude alla Farnesina due accordi con l’omologo tunisino Mohammed Ali Nafti, anche nel campo della transizione energetica.

Il 21 gennaio Roma ospita a Villa Madama la riunione per il progetto del corridoio Mediterraneo dell’idrogeno, che prevede la costruzione di una rete di gasdotti tra l’Europa e l’Africa interamente dedicata al trasporto dell’idrogeno. Un progetto al quale partecipano, oltre all’Italia e alla Tunisia, anche la Germania, l’Austria e l’Algeria.

In queste ore in bilico tra la tregua e la guerra nel Medio Oriente, Tajani assicura che la Farnesina lavorerà sempre per perché “il Mediterraneo si trasformi in un mare di commercio e sviluppo e non di morte”. L’Italia vuole essere il ponte non solo geografico ma anche economico e politico tra l’Africa e l’Europa e, ricorda il vicepremier, “abbiamo deciso di rafforzare la collaborazione anche per far sì che la Tunisia possa essere interlocutore primario dell’Ue”. Il Paese è infatti uno dei principali del Piano Mattei.

Negli ultimi due anni i legami tra Roma e Tunisi sono cresciuti: “I nostri accordi sono un modello anche per il resto del continente africano”, scandisce il ministro degli Esteri. Con l’intesa per l’energia (“settore cruciale e ricco di potenzialità”) vengono firmati oggi anche un accordo per la conversione delle patenti (“molto atteso anche da tanti tunisini che vivono in Italia”) e una dichiarazione congiunta per un finanziamento per il triennio 2025-2027 di progetti di cooperazione fino a 400 milioni. “Raddoppiamo gli impegni – rivendica Tajani – a conferma della volontà di essere sempre di più al fianco di Tunisi e della sua crescita”.

Iniziamo il 2025 con nuove idee, molto importanti, che vanno nella direzione che vogliamo, una cooperazione a 360 gradi”, fa sapere Nafti, che spiega come gli accordi firmati oggi riflettano una “visione strategica, ma anche la volontà di garantire un’integrazione migliore con questo Paese amico“.

Al momento, l’Italia è il secondo partner commerciale della Tunisia, con un interscambio di sette miliardi e nel Paese operano mille imprese italiane. Una delle principali è Snam, che gestisce la partita del SoutH2 Corridor insieme TAG, GCA e bayernets. La rete comprende circa 3.300 chilometri di condotte e diverse centinaia di megawatt di capacità di compressione, destinati a diventare assets strategici per il passaggio e l’utilizzo di idrogeno entro il 2030. Lo sviluppo del corridoio fa parte della European Hydrogen Backbone e sarà fondamentale per la creazione di una spina dorsale dell’idrogeno interconnessa e diversificata nel sud e nel centro dell’Europa. Con una capacità di importazione di idrogeno di 4 Mtpa dall’Africa del Nord, il corridoio potrebbe coprire oltre il 40% dell’obiettivo complessivo di importazione fissato dal Piano REPowerEU. Il 22 gennaio, a Milano, Snam presenterà il Piano Strategico 2025-2029 e il SouthH2 Corridor sarà uno dei suoi progetti portanti.

Tra l’Italia e la Tunisia si sta costruendo però anche un vero e proprio “ponte energetico“, Elmed, che metterà in collegamento i sistemi elettrici. Il progetto nasce dalla sinergia e dalla cooperazione tra Terna e Steg, le società che gestiscono le reti elettriche dei due Paesi. Sarà la prima interconnessione in corrente continua tra l’Europa e l’Africa. Un’opera che, grazie alla bidirezionalità dei flussi, garantirà importanti benefici elettrici e ambientali. L’elettrodotto si snoderà tra la stazione elettrica di Partanna, in Sicilia, e quella di Mlaabi, nella penisola tunisina di Capo Bon, per una lunghezza complessiva di circa 220 chilometri (di cui circa 200 chilometri in cavo sottomarino), con una potenza di 600 megawatt e una profondità massima di circa 800 metri, raggiunti lungo il Canale di Sicilia.

La firma dell’accordo intergovernativo di oggi sulla transizione energetica, sulla realizzazione del cavo di interconnessione elettrica tra i due paesi e sulla possibilità per le imprese italiane di investire nelle energie rinnovabili in Tunisia, “segna una tappa fondamentale nella costruzione di un nuovo modello di cooperazione”, osserva Antonio Gozzi, special advisor di Confindustria con delega all’autonomia strategica europea, piano Mattei e competitività e Presidente di Interconnector Energy Italia. Interconnector è il Consorzio italiano che si occupa di realizzazione e finanziamento di infrastrutture di interconnessione con l’estero: “Abbiamo lavorato a stretto contatto con la Farnesina, il Ministero dell’Energia, la task force di Palazzo Chigi per il Piano Mattei, l’Ambasciata italiana a Tunisi e con il governo tunisino per portare a compimento questo progetto – afferma -. Si aprono ora interessanti opportunità per l’impegno e il coinvolgimento delle imprese italiane nel contesto più ampio del Piano Mattei“.

Il 2025 è l’anno dei record per il nucleare. Pechino si candida a superpotenza mondiale

L’elettricità generata dal nucleare raggiungerà un livello record nel 2025, rappresentando poco meno del 10% della produzione globale, ma il suo centro geografico si sta spostando verso la Cina a scapito di vecchi Paesi nucleari come gli Stati Uniti e la Francia. E’ quanto emerge dal nuovo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia, ‘The Path to a New Era for Nuclear Energy’, che mostra il nuovo slancio del nucleare sotto forma di nuove politiche, progetti, investimenti e progressi tecnologici, come i piccoli reattori modulari (SMR).

In tutto il mondo sono in costruzione oltre 70 gigawatt di nuova capacità nucleare, uno dei livelli più alti degli ultimi 30 anni. La produzione di energia nucleare, che ha il vantaggio di essere “stabile e flessibile”, ammontava a 2.742 TWh nel 2023 e ha raggiunto i 2.843 TWh nel 2024. Entro il 2025 dovrebbe arrivare a circa 2.900 TWh.
Questa crescita è guidata dall’elettrificazione delle applicazioni, dall’industria al condizionamento dell’aria, dai veicoli elettrici ai data center, in un contesto di crescita dell’intelligenza artificiale, sottolinea l’Aie. Nel 2023 erano in funzione più di 410 reattori in oltre 30 Paesi. “Stiamo entrando in una nuova era per l’energia nucleare”, spiega Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Aie, in un’intervista all’AFP. “Quest’anno, nel 2025, la produzione di energia nucleare sarà la più alta della storia”.

Dopo anni di declino a seguito dell’incidente di Fukushima in Giappone nel 2011, causato da uno tsunami, la ripresa è guidata dalla Cina. Dei 52 reattori la cui costruzione è iniziata in tutto il mondo dal 2017, 25 sono di progettazione cinese. D’altro canto, Paesi come gli Stati Uniti e la Francia stanno prendendo tempo a causa degli alti costi di sviluppo delle centrali. “La geografia globale dell’industria nucleare sta cambiando”, sottolinea Birol, che ricorda che “dal 1970, l’industria nucleare globale è stata guidata da Stati Uniti ed Europa”.

In Europa, il 35% dell’elettricità proveniva dal nucleare negli anni ’90, rispetto a meno del 25% di oggi, e tra dieci anni questa cifra scenderà a meno del 15%. La situazione è simile negli Stati Uniti. “L’industria nucleare sta dando risultati insufficienti in questi Paesi”, dice il direttore dell’Aie. “I progetti sono in media in ritardo di sette anni rispetto alla tabella di marcia e i costi sono 2,5 volte superiori a quelli originariamente previsti. Tra cinque anni, la Cina supererà gli Stati Uniti e l’Unione Europea per diventare la prima potenza nucleare mondiale”.

L’altro problema riguarda le fonti di approvvigionamento dell’industria, che sono troppo concentrate. Oltre il 99% della capacità di arricchimento è attualmente detenuto da quattro società: China National Nuclear Corporation (CNNC) (15%), la russa Rosatom (40%), Urenco (un consorzio britannico-tedesco-olandese, 33%) e la francese Orano (12%). “La Russia da sola rappresenta il 40% della capacità di arricchimento mondiale, il che rappresenta una grande sfida”, avverte Fatih Birol.

L’industria nucleare si sta evolvendo anche con l’emergere di piccoli reattori modulari (SMR), progettati per alimentare siti industriali o produrre calore. Ed è questa la strada che sta cercando di intraprendere anche l’Italia. “I piccoli reattori modulari sono in fase di sviluppo in tutto il mondo, in Cina, Europa, Stati Uniti e Canada”, afferma Fatih Birol. Tra 15 anni, il loro costo “sarà competitivo con l’eolico offshore e i grandi progetti idroelettrici”. “Uno dei motivi del crescente interesse per l’SMR è legato al fabbisogno energetico delle aziende tecnologiche, in particolare di quelle che si occupano di intelligenza artificiale e di centri dati”, che hanno bisogno di elettricità 24 ore su 24, 7 giorni su 7, spiega Birol.

L’Aie propone tre scenari per i prossimi anni, che prevedono tutti un aumento della capacità nucleare mondiale. La capacità globale potrebbe aumentare di oltre il 50% fino a quasi 650 GW entro il 2050, o addirittura raddoppiare con un intervento governativo più incisivo, o superare i 1.000 GW. L’Agenzia
sottolinea che dal 1971 il nucleare ha permesso di evitare 72 gigatonnellate (Gt) di emissioni di CO2 evitando l’uso di carbone, gas naturale o petrolio. Ha inoltre migliorato la sicurezza energetica di molti Paesi, riducendo la loro dipendenza dai combustibili fossili. “Il contributo principale alle emissioni nette zero verrà dall’energia solare, eolica, idroelettrica e geotermica”, afferma Birol. “Ma sarà anche importante utilizzare l’energia nucleare per avere un percorso efficace dal punto di vista dei costi” verso questo obiettivo.

Governo lavora su dossier energia. Meloni ad Abu Dhabi, Pichetto sigla intesa con Arabia

Con lo stop delle forniture di gas russo da Gazprom e i prezzi alle stelle, il governo lavora sul dossier energia, con lo sguardo rivolto ancora più a Est. Gilberto Pichetto firma a Riad un memorandum quinquennale con l’Arabia Saudita per rafforzare la cooperazione su transizione e sicurezza degli approvvigionamenti, prima di accompagnare Giorgia Meloni ad Abu Dhabi, dove domani e il 16 gennaio parteciperà al World Future Energy Summit.

E’ la terza visita della premier negli Emirati Arabi Uniti dall’inizio del mandato, dopo la bilaterale di marzo 2023 e la partecipazione alla COP28 di Dubai a dicembre 2023. Nel frattempo, le relazioni tra Italia ed Emirati sono cresciute. L’energia è un tassello cruciale della cooperazione, con un approccio alla transizione che più volte la premier ha definito “pragmatico“, ispirato al principio di neutralità tecnologica. Al summit della Sustainability Week Meloni interverrà al segmento di alto livello concentrandosi, secondo quanto filtra da fonti diplomatiche, sulla strategicità delle interconnessioni per la transizione energetica ribadendo che “l’obiettivo dell’Italia è diventare lo snodo per i flussi energetici tra l’Europa e l’Africa“. Un traguardo a cui il Governo sta lavorando da più fronti, con l’attuazione del Piano Mattei e di diversi progetti infrastrutturali, come l’elettrodotto sottomarino Elmed tra Italia e Tunisia. A margine del suo intervento, il Presidente del Consiglio assisterà alla firma di un’intesa quadro per lo sviluppo di una nuova infrastruttura di produzione e distribuzione di energia verde. Con Meloni e Pichetto, sarà ad Abu Dhabi anche il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida.

La premier incontrerà ancora anche il presidente, Mohamed bin Zayed, per discutere di come sviluppare ulteriormente gli investimenti reciproci nei settori più innovativi e ad alto valore aggiunto. In agenda ci sono anche i nodi internazionali, dall’Ucraina al Medio Oriente. Meloni e bin Zayed approfondiranno le possibilità di rafforzare la cooperazione italo-emiratina nel quadro del Piano Mattei e del Processo di Roma su migrazioni e sviluppo. Gli EAU sono stati i primi a contribuire al fondo fiduciario multi-donatore creato dall’Italia presso la Banca Africana di Sviluppo.

Il memorandum firmato da Pichetto in Arabia Saudita si concentra invece sulle energie rinnovabili, la riduzione delle emissioni di metano, le interconnessioni elettriche, l’idrogeno rinnovabile e a basse emissioni, i suoi derivati di natura rinnovabile e low-carbon come l’ammoniaca, i sistemi di cattura, stoccaggio e utilizzo della CO2.  Per il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica l’Italia “consolida il suo ruolo di hub energetico e ponte tra Europa e Africa, con partenariati reciprocamente vantaggiosi basati sul ruolo strategico delle energie rinnovabili e dell’idrogeno”. L’Italia punta a essere un punto di ingresso dell’idrogeno e derivati nel mercato europeo “molto più vicino, competitivo e strategico di altre alternative sul Mare del Nord”, spiega Pichetto, annunciando un “immediato e concreto” seguito operativo del MoU con la decisione di indicare un rappresentante permanente del Ministero dell’Ambiente presso l’International Energy Forum (IEF). Un’intesa che, assicura, è “un punto di partenza e non di arrivo“, uno strumento quadro da utilizzare per rafforzare i rapporti tra i nostri Paesi e, attraverso l’Italia, tra l’Arabia Saudita e l’Europa.