Da Europarlamento via libera a direttiva case green. Pichetto: “Continuiamo a lottare”

Il governo Meloni si prepara a sfoderare (ancora) le armi a Bruxelles. L’Europarlamento dà il via libera alla direttiva sulle case green, che ora dovrà essere negoziata attraverso il trilogo (le trattative tra il Parlamento, la Commissione e il Consiglio europeo). Al netto di possibili modifiche, la misura prevede che tutti gli edifici residenziali dei Paesi membri debbano essere classificati in classe energetica da A ad E entro il 2030, da A a D entro il 2033, per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Un’iniziativa che porterebbe il patrimonio immobiliare italiano a una forte svalutazione, secondo il governo. “Continueremo a lottare a difesa dell’interesse nazionale”, giura il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, che giudica il testo “insoddisfacente” per il nostro Paese. Gli obiettivi ambientali di decarbonizzazione e di riqualificazione del patrimonio edilizio, assicura, non si mettono in discussione. Quello che manca è “una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri Paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come ‘bene rifugio’ delle famiglie”. Gli obiettivi temporali, specie per gli edifici residenziali esistenti, “sono ad oggi non raggiungibili per il nostro Paese“, taglia corto Pichetto. Nessun trattamento di favore. Il ministro chiede realismo: “Con l’attuale testo si potrebbe prefigurare la sostanziale inapplicabilità della Direttiva, facendo venire meno l’obiettivo ‘green’ e creando anche distorsioni sul mercato“.

Forte della mozione approvata in Parlamento, che impegna il governo a contrastare la direttiva della commissione, “agiremo per un risultato negoziale che riconosca le ragioni italiane”, giura. Il voto è “irricevibile e dannoso“, gli fa eco la sua vice ministra, Vannia Gava. Così come concepita, spiega, “è sbagliata nel merito e nel metodo“.

La transizione ecologica “non diventi una strage economica“, tuona il vicepremier Matteo Salvini. “A colpi di tasse e obblighi si impone agli italiani di spendere decine di miliardi di euro per mettere a norma la casa e le auto“, denuncia. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ricorda che in Italia abbiamo 8 milioni di abitazioni in classe F e G: “Imporre” la direttiva con poco preavviso rischia di “imballare il settore dell’edilizia e mettere in difficoltà milioni di famiglie“, afferma.

Gridare all’eco-patrimoniale è un “capolavoro ‘tafazziano’, l’ennesimo di questo Governo che parla del voto di Strasburgo sulle Case green come di una mega tassa europea che andrà a colpire tutti i cittadini italiani“, commenta il senatore M5S, Stefano Patuanelli, bollando le dichiarazioni dell’esecutivo come “falsità volte a coprire una verità scomoda: la totale assenza di politica industriale“. Il governo, accusa, ha “smantellato pezzo dopo pezzo la più importante misura di efficientamento energetico presente in Italia, il Superbonus 110%. Oltre alla follia dell’aver cancellato una norma espansiva elogiata dalla stessa Commissione Ue, la direttiva presenta in realtà ampi margini di discrezionalità agli stessi Stati membri, che potranno anche chiedere alla Commissione di adattare i target europei per particolari categorie di edifici residenziali, per ragioni di fattibilità tecnica ed economica“.

Il via libera di Strasburgo è un’ottima notizia anche per i Verdi. L’Europarlamento dà “la risposta migliore a un governo, quello italiano, che ha intrapreso una politica del terrore sul clima e sul risparmio energetico“, festeggia Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde. La destra, sostiene, è “nemica dell’ambiente e della modernizzazione. Se fosse per loro, saremmo ancora con i carri trainati da cavalli“. L’esponente di Avs considera la direttiva una “grande opportunità per accelerare sulla strada della transizione energetica“. Utilizzando i finanziamenti del Fondo sociale per il clima, propone Bonelli, “l’Italia elabori un piano strutturale ultra-decennale che preveda incentivi e detrazioni per le abitazioni a bassa classe energetica, con dotazioni più elevate per i redditi bassi“.

Agrifood 2023, Italia conferma no a Nutriscore e cibi sintetici: difendere Agricoltura

L’agricoltura come motore dell’economia, ma anche elemento dell’identità nazionale da difendere. Sono tanti gli spunti che emergono da Agrifood 2023, l’evento su ‘L’evoluzione dell’agroalimentare italiano ed europeo tra sostenibilità e benessere’, organizzato a Roma da Gea ed Eunews. Cinque panel per analizzare da ogni angolatura rischi e potenzialità di un settore che può diventare collettore di molti altri gangli del cuore economico italiano ed europeo. Nel primo blocco è stato analizzata la questione del Nutriscore. “Servirebbe uno sforzo, da parte anche delle industria agroalimentare italiana, nell’utilizzare il Nutrinform”, dice il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini. Che invita a cambiare schema di gioco: “Dobbiamo uscire dalla logica dell’emergenza e avere forza nella programmazione e nella strategia”, tant’è vero che “nel primo incontro con l’attuale presidente del Consiglio – racconta – ho chiesto di aumentare la dotazione del personale della nostra Ambasciata a Bruxelles”. Perché “non bisogna criticare ma lavorare al fianco delle nostre istituzioni, portando delle proposte alternative, facendo capire dove si sono commessi errori di valutazione” e “creando sinergie”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, che lancia anche una ironica sfida a Prandini: “Lo sfido, se ti alzi da tavola dopo 1 kg di parmigiano stai bene, dopo 1 kg di patatine fritte no…”, giocando sul fatto che il collega di Coldiretti aveva spiegato che al di là dei colori dei semafori, conta anche la quantità di cibo mangiato. Al di là dell’ironia, il concetto è chiaro: “Il Nutriscore, così come l’Ecoscore, sono veri e propri attacchi a modelli economici”, per questo – sostiene – “dobbiamo fare una battaglia di visione, di strategia, su come posizionare l’agricoltura in un contesto globale sempre più competitivo dove le imprese soffrono”. Paolo De Castro, eurodeputato della commissione Agri, poi avverte: “L’agroalimentare è il primo settore manifatturiero europeo, con 200 miliardi export lo scorso anno, eppure sembra sotto attacco”. Il Nutriscore per ora “è accantonato, la Commissione Ue sta ancora valutando l’impatto per cui in questa legislatura non mi aspetto novità, ma tornerà”, è la sua convinzione.

Il presidente della commissione Industria del Senato, Luca De Carlo, che da anni si occupa del tema, quella sul Nutriscore “non è una battaglia dell’Italia contro il mondo, ma l’Italia deve essere brava a mettere insieme più alleati, perché questo è un tema che coinvolge tutti”. A suo modo di vedere, “se l’affrontiamo come problema europeo, allora le ricadute sull’Italia saranno relative”. Va giù dritto anche Andrea Poli, presidente della Nutrition Foundation of Italy: “L’algoritmo su cui si basa il Nutriscore è superato. Non ha senso affidare un colore per tutti i cibi indistintamente”. Ci va più cauto, invece, il direttore della Rappresentanza della Commissione Ue in Italia, Antonio Parenti, che comunque non nasconde i suoi dubbi: “E’ perfetto? No. Credo ci siano delle dimostrazioni scientifiche, e mi prendo qualche rischio essendo parte della Commissione europea che sta ancora giudicando. Però, l’esigenza esiste”.

Nello scenario europeo si inserisce anche la questione dell’etichettatura del vino. Soprattutto dopo la scelta dell’Irlanda di inserire avvisi sui rischi per la salute al pari delle sigarette, avallata anche da Bruxelles. “Il concetto del vino all’interno della dieta mediterranea fa parte del nostra cultura”, dice il direttore generale del Crea, Stefano Vaccari, che boccia l’operato di Bruxelles. “Secondo dati del 2022 siamo il Paese nettamente con aspettative di vita superiori rispetto all’Irlanda: se il modello nutrizionale è vincente, dobbiamo mantenerlo”. Per Michele Contel, vice presidente dell’Osservatorio permanente Giovani e Alcol, “l’approccio irlandese è sostanzialmente coercitivo”, mentre la dietista e nutrizionista, Monica Artoni, è convinta che “soprattutto il settore medico e sanitario, deve insistere moltissimo, fino alla nausea, sul concetto di basso rischio e sulle modalità di consumo”.

L’agricoltura, inoltre, deve affrontare un altro problema: quello dei cibi sintetici. Sul punto è intervenuto Luigi Scordamaglia: “Trasparenza e consapevolezza della scelta sono condizionati da un fattore, a questo mondo: i soldi. Troppi, come quelli di chi investe e svilupperà 25 miliardi di dollari in 5 anni per lanciare la carne sintetica. E con queste cifre di opinioni ne fai cambiare”. Il consigliere delegato di Filiera Italia cita la app site food finanziata da Bill Gates sulla carne di pollo, chiedendo: “Si apre finalmente una discussione se una singola persona fisica, privata possa essere secondo finanziatore dell’Organizzazione mondiale della sanità che decide le politiche sanitarie a livello globale?”. Poi l’accenno all’Europa: “Questo ‘filantrocapitalista’, mai come di recente, incontra la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, con cui parla di ristrutturare il sistema di protezione sanitario. Bene: 25 miliardi di dollari sono il volume sviluppato, ma è niente rispetto alla capacità di comunicare sul web e alle nuove app di intelligenza artificiale”. La risposta, indiretta, arriva a stretto giro da Parenti: “Ho sentito certe cose che, francamente, mi sembrano leggermente fantasiose. Bill Gates, ad esempio, e ci sono i resoconti, è uno dei più grandi distributori di vaccino al mondo. Che la Commissione Ue parli con lui nel 2021 e 2022, soprattutto per facilitare la produzione di vaccini in Paesi terzi come l’Africa mi sembra non solo naturale, ma anche necessario”.

La questione della crisi alimentare viene analizzata anche in chiave Mediterraneo. Con l’intervento dell’Ambasciatore del Marocco in Italia, Youssef Balla: “Il Marocco sta affrontando una crisi alimentare causata dallo sfruttamento senza precedenti di risorse naturali, da cambiamenti climatici e da congiunture economiche nazionali e internazionali. La parola chiave si è rivelata essere innovazione”. Per il diplomatico servirebbe “una cooperazione tripartita, marocchina, europea e africana, per l’agricoltura sostenibile, che si basi sulla diffusione di nuove tecnologie digitali e sulla formazione professionale di lavoro qualificato per utilizzo ottimale delle tecnologie stesse”.

Orso Marsincano

Dall’orso alla lince, il programma Life per salvare la fauna selvatica in Europa

Un lavoro quotidiano “per onorare la promessa fatta al mondo di proteggere e curare tutte le creature viventi che lo abitano”. È il commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, Virginijus Sinkevičius, in occasione del World Wildlife Day a ricordare che l’Ue sta cercando di invertire una tendenza globale dai tratti drammatici: le popolazioni di animali selvatici sono diminuite o estinte del 69% in meno di 50 anni. Ed è per questo che per la Giornata Mondiale della fauna selvatica a Bruxelles si ricorda l’impegno legislativo e operativo, in cui il programma Life rappresenta la punta di diamante.

Attivo dal 1992, con un supporto a oltre 5.500 progetti di promozione e conservazione dell’ambiente e degli animali selvatici in Europa, il programma Life è a tutti gli effetti lo strumento finanziario dell’Ue per “garantire un futuro in cui la fauna selvatica prosperi e gli ecosistemi siano sani, è quanto sottolinea il gabinetto von der Leyen. Dalla Spagna all’Italia, passando dalla Grecia, la Francia, la Germania e tutti i 27 Paesi membri, lo strumento Ue si dirama in diverse direttrici di protezione di specifici animali selvatici a rischio estinzione, per evitarne la scomparsa definitiva e per spingere il ripopolamento nelle zone di riproduzione naturale.

È il caso di ‘Life Arcprom’, il progetto che mira a migliorare la coesistenza tra uomo e orso bruno in quattro parchi nazionali europei: tre in Grecia (Prespa, Pindo settentrionale e Monti Rodopi) e in Italia il Parco Nazionale della Maiella, in Abruzzo. Si tratta di una “specie prioritaria”, protetta dalla legislazione Ue in quanto a rischio estinzione: se nei parchi greci l’orso bruno rientra nella categoria “in pericolo”, nell’Appenino Centrale la sottospecie Ursus arctos marsicanus è “in pericolo critico”. Di qui la spinta da Bruxelles al raggiungimento in tempi rapidi degli obiettivi di riduzione di pratiche illegali e di bracconaggio (come l’uso di esche avvelenate), ma anche di sviluppo di approcci sostenibili nelle aree residenziali per la prevenzione dei danni, per esempio con recinzioni elettriche e contenitori per rifiuti a prova di orso. Pratiche necessarie per evitare l’abbattimento di esemplari e permettere il ripopolamento nelle aree selvatiche.

Il modello da seguire è quello di ‘Life LynxConnect’, un progetto di cooperazione transnazionale tra Spagna e Portogallo per la conservazione della lince iberica. Dopo i risultati positivi del precedente progetto ‘Life IberLince’ per il recupero della distribuzione storica della specie Lynx pardinus, dal 2020 si è impostato il nuovo obiettivo di mettere in contatto i due Paesi membri, quattro governi regionali spagnoli, organizzazioni ambientali non governative, rappresentanti dei cacciatori, aziende private e scienziati per rendere la popolazione “autosufficiente e geneticamente vitale” sul lungo termine. Un progetto di successo, che al momento ha evitato l’estinzione di un animale precedentemente “in pericolo critico” e oggi in fase di stabilizzazione, grazie all’implementazione di misure di miglioramento dell’habitat e di sviluppo delle attività economiche che possono svilupparsi (come tour di osservazione e safari).

Transnazionale, come lo sono le popolazioni di rapaci, è il progetto ‘Life Eurokite’, per la protezione di specie come il nibbio reale, l’aquila di mare, l’aquila imperiale e il nibbio bruno. L’idea alla base del progetto è quella di utilizzare la telemetria per identificare l’uso spaziale dell’habitat e definire le principali cause di mortalità delle specie di rapaci sul territorio comunitario (avvelenamento, collisioni con il traffico stradale e ferroviario, parchi eolici, pali dell’elettricità), per sviluppare poi azioni specifiche di conservazione e ripopolamento. Il metodo operativo consiste nell’equipaggiare fino al 2024 un totale di 615 nibbi reali – di cui il 95% della popolazione riproduttiva globale si trova nei Paesi Ue – e altri 80 rapaci in circa 40 aree di marcatura con localizzatori Gps, per un tracciamento in tempo reale e la possibilità di intervenire tempestivamente in caso di mortalità lungo tutta la rotta, dalle zone di riproduzione nell’Europa centrale a quelle di svernamento in Spagna e nella Francia meridionale.

Meloni rivendica il ‘pit stop’ Ue sul blocco alle auto a diesel e benzina dal 2035: “Successo italiano”

L’Europa fa un ‘pit stop’ di riflessione sul blocco alla produzione di motori endotermici dal 2035. La notizia fa tirare un sospiro di sollievo all’Italia, che in queste settimane ha messo in campo un’azione politica importante per chiedere flessibilità per evitare contraccolpi pericolosi al sistema industriale nazionale (e continentale), che sarebbe poi inevitabilmente ricaduto sul tessuto sociale del nostro Paese. “Il rinvio, a data da destinarsi, del voto alla riunione degli ambasciatori Ue sul Regolamento che prevede lo stop dal 2035 alla vendita di Auto nuove diesel e benzina è un successo italiano”, rivendica la premier, Giorgia Meloni.

Che sui suoi canali social sottolinea: “La posizione del nostro governo è chiara: una transizione sostenibile ed equa deve essere pianificata e condotta con attenzione, per evitare ripercussioni negative sotto l’aspetto produttivo e occupazionale”. Ecco perché “la decisione del Coreper di tornare sulla questione a tempo debito va esattamente nella direzione di neutralità tecnologica da noi indicata”. La presidente del Consiglio pianta anche un altro paletto quando scrive che è “giusto puntare a zero emissioni di Co2 nel minor tempo possibile, ma deve essere lasciata la libertà agli Stati di percorrere la strada che reputano più efficace e sostenibile”. A suo modo di vedere “questo vuol dire non chiudere a priori il percorso verso tecnologie pulite diverse dall’elettrico”. E la linea dell’Italia, specifica Meloni, ha “trovato largo consenso in Europa.

Soddisfatto anche il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, secondo cui il rinvio “tiene giustamente conto di una forte resistenza di alcuni Paesi europei, con l’Italia in prima fila, a un’impostazione del Regolamento troppo ideologica e poco concreta”. Per il responsabile del Mase la posizione di Roma è “molto chiara: l’elettrico non può essere l’unica soluzione del futuro, tanto più se continuerà, come è oggi, ad essere una filiera per pochi”. Meglio “puntare inoltre sui carburanti rinnovabili – argomenta Pichetto – è una soluzione strategica e altrettanto pulita, che consente di raggiungere importanti risultati ambientali evitando pesanti ripercussioni negative in chiave occupazionale e produttiva”. La decarbonizzazione dei trasporti, comunque, “resta obiettivo prioritario – aggiunge il responsabile del Mise – e deve tenere conto delle peculiarità nazionali e di tempistiche compatibili con lo sviluppo del settore dell’automotive”. Ma “una transizione sostenibile non è compatibile con la fissazione di una data secca al 2035”.

Esulta su Twitter il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “L’Italia ha svegliato l’Europa. Mi auguro che ora ci sia una riflessione comune per una competitività sostenibile anche nel settore automotive”. Anche perché nel passaggio all’elettrico tout court il rischio è quello di trovarci in “una peggiore e più grave subordinazione alle materie critiche, che sono appannaggio della Cina e dei suoi alleati”. Una preoccupazione, dice, condivisa anche dal ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, in visita venerdì a Roma.

Sul piano politico chi rivendica con forza questo risultato è la Lega, con il suo segretario, nonché vicepremier, Matteo Salvini. “E’ stata ascoltata la voce di milioni di italiani e il nostro governo ha dimostrato di offrire argomenti di buonsenso sui tavoli internazionali, a difesa della nostra storia e del nostro lavoro – afferma -. La strada è ancora lunga ma non ci svenderemo alla Cina”. Il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, intanto, continua “l’azione diplomatica a difesa dei lavoratori e delle imprese italiane ed europee”, riferisce una nota del Mit. Informando di una telefonata con il collega della Repubblica Ceca, Martin Kupka: “Praga condivide le preoccupazioni italiane sui Regolamenti Co2 auto, veicoli pesanti e direttiva Euro7 e intende promuovere un’iniziativa di Paesi ‘like-minded’ in difesa della neutralità tecnologica”.

Posizione netta è anche quella degli industriali. Per Carlo Bonomi, infatti, lo stop alle auto a motore endotermico dal 2035 “non mi convince, viene meno lo spirito iniziale dell’Europa sulla transizione che era quello della neutralità tecnologica“. Secondo il presidente di Confindustria “portava ad uno spiazzamento delle industrie europee a favore di quelle asiatiche“. Dunque, “saremmo diventati importatori netti lasciando un’Asia monopolista e a decidere i prezzi: si chiama effetto Cuba, quando le classi medie non hanno soldi per comprare una tecnologia che costa molto e non c’è ricambio del parco auto“.

A Bruxelles di nuovo rinviato il voto su auto a benzina e diesel

Rinviato a data da destinarsi. Perché anche oggi  il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue (Coreper) ha deciso, pochi minuti dopo essersi riunito in sessione, di rinviare di nuovo il voto sul regolamento sulle emissioni di auto e furgoni, che prevede anche lo stop all’immatricolazione di auto e furgoni con motore a combustione, diesel e benzina, a partire dal 2035. Per ora il punto è slittato come si diceva “a data da destinarsi”, precisano fonti diplomatiche. Dopo il via libera al Coreper, il testo del compromesso raggiunto a fine ottobre da Parlamento e Consiglio sarebbe finito sul tavolo del Consiglio Ue dell’Istruzione, gioventù, cultura, sport in programma martedì 7 marzo per il via libera formale, ma essendo slittato il voto di oggi tra gli ambasciatori le stesse fonti precisano che il punto sulle auto è stato rimosso anche dall’ordine del giorno del Consiglio Ue di prossima settimana.  La posizione italiana sulla vicenda è nota: il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha confermato che, quando ci sarà l’opportunità, voterà contro l’accordo con il Parlamento europeo sullo stop alla vendita dei motori a combustione, diesel e benzina, a partire dal 2035. Una revisione del regolamento sulle emissioni di nuove auto e furgoni parte dell’ambizioso pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, presentato a luglio 2021 come strategia per abbattere le emissioni del 55% entro il 2030 come tappa intermedia per la neutralità climatica.

La transizione passa anche per le auto e per la mobilità, ma per l’attuale governo italiano il futuro non può essere solo elettrico. I Ventisette sono chiamati a dare il via libera a un accordo politico raggiunto con l’Eurocamera nella notte tra il 27 e il 28 ottobre scorso. L’Eurocamera ha confermato l’accordo con gli Stati nella scorsa plenaria di febbraio, mancava ora il passaggio formale tra gli ambasciatori al Coreper (comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue) e poi in Consiglio dove è richiesta una maggioranza qualificata. L’Italia ha annunciato che voterà contro insieme alla Polonia, mentre la Bulgaria si asterrà. Questi tre Paesi da soli non bastano a formare una minoranza di blocco, è la Germania che ha sollevato alcune perplessità pur avendo sostenuto in passato l’accordo (come anche l’Italia). Urso rivendica il merito all’Italia di aver rilanciato il dibattito, di aver aperto una riflessione su un capitolo che sembrava chiuso.

Un “segnale d’allarme, una sveglia a tutta l’Europa a non dare nulla per scontato”, ha spiegato il ministro. “A dire che l’Italia c’è, è presente e lo saremo in ogni consesso in maniera qualificata e autorevole. Questa battaglia non è del governo di Giorgia Meloni, ma del Paese e dell’Italia“. Sul fronte dell’automotive, i dossier aperti su cui l’Italia punta ad alzare la voce sono quelli delle norme Euro 7 – su cui Roma rivendica il principio di neutralità tecnologica – e quelle relative ai veicoli pesanti. Ma, sintomo che anche il governo italiano è convinto che il provvedimento passerà, sul fascicolo al voto del Coreper, invece, Urso assicura che l’Italia non mette in dubbio le date del 2035 o del 2050, “ma chiediamo che ci sia una riflessione sulla base dei dati concreti che sono sotto gli occhi di tutti e che hanno portato le associazioni di imprese europee e i lavoratori europei a chiedere un cambio di passo alla Commissione”. L’appuntamento per l’Italia è un altro ed è il 2026 quando, se l’accordo otterrà il via libera, “con la clausola di revisione potremmo rimettere in discussione questo percorso in un clima molto diverso, con un nuovo Parlamento europeo in cui aumenta la consapevolezza che occorre cambiare e in una nuova Commissione che uscirà appunto il prossimo anno come indicazione dei diversi governi dell’Ue”.

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Voto su stop ai motori termici slitta a venerdì. L’Italia si schiera contro

La presidenza svedese dell’Ue ha rinviato alla riunione di venerdì il voto degli ambasciatori sul regolamento sulle emissioni di CO2 di auto e furgoni, che prevede anche lo stop alla vendita di motori a combustione, diesel e benzina, entro il 2035. Il voto sull’accordo raggiunto con il Parlamento europeo in ottobre era il primo punto all’ordine del giorno alla riunione degli ambasciatori in programma mercoledì a Bruxelles. In sede di Coreper, il voto sarà a maggioranza qualificata, che si raggiunge quando il 55% degli Stati membri vota a favore (in pratica ciò equivale a 15 paesi su 27) e quando gli Stati membri che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65% della popolazione totale dell’Ue.

Il governo italiano a ottobre ha votato a favore dell’accordo, ma martedì ha chiarito l’intenzione di votare contro alla riunione degli ambasciatori Ue. Ma anche in caso del cambiamento di posizione da parte dell’Italia, è inverosimile che sposti l’equilibrio dei voti in sede di voto. Pur condividendo gli obiettivi di decarbonizzazione, l’Italia sostiene che i target ambientali vadano perseguiti attraverso “una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa”, pianificata e guidata con grande attenzione, per evitare ripercussioni negative per il paese sia sotto l’aspetto occupazionale che produttivo. L’Italia ritiene inoltre – questa la posizione che verrà espressa – che la scelta dell’elettrico non debba rappresentare, nella fase di transizione, l’unica via per arrivare a zero emissioni. Il successo delle auto elettriche dipenderà molto da come diventeranno accessibili a prezzi concorrenziali, è il ragionamento. Secondo il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica una razionale scelta di neutralità tecnologica a fronte di obiettivi ambientali condivisi deve consentire agli Stati membri di avvalersi di tutte le soluzioni per decarbonizzare il settore dei trasporti, tenendo conto delle diverse realtà nazionali, e con una più graduale pianificazione dei tempi. “L’utilizzo di carburanti rinnovabili, compatibili con i motori termici – afferma il ministro Pichetto contribuirà ad una riduzione delle emissioni senza richiedere inattuabili sacrifici economici ai cittadini”. In una dichiarazione inviata alla presidenza svedese dell’Ue e agli altri Stati membri per motivare la decisione del voto contrario, l’Italia precisa che “l’elettrificazione richiede cambiamenti significativi nell’intero settore automobilistico che devono essere pianificati e guidati con la dovuta attenzione, al fine di evitare effetti economici, industriali e sociali indesiderati. Le Auto con motore termico sono di proprietà di cittadini a basso reddito e rimarranno in circolazione oltre il 2035″. E, siccome non prevedealcun incentivo per l’uso di carburanti rinnovabili, il regolamento proposto non è in linea con il principio di neutralità tecnologica. Pertanto, l’Italia non può sostenerlo“.

Nella dichiarazione italiana sono poi ricordate alcune condizioni prioritarie che devono essere assicurate per permettere il raggiungimento di un obiettivo di riduzione delle emissioni del 100%, tra cui: lo sviluppo di una catena di valore dei motori e delle batterie elettriche nell’Unione; un approvvigionamento sostenibile e diversificato delle materie prime necessarie; adeguate infrastrutture di ricarica e rifornimento; un miglioramento della rete elettrica, in modo che possa far fronte all’aumento della domanda; un adeguamento dell’intero settore automobilistico, anche attraverso la fornitura delle competenze necessarie; l’accettazione da parte del mercato dei nuovi veicoli, che dovrebbero essere disponibili a un prezzo accessibile, in particolare per le famiglie e i consumatori più vulnerabili. Sono quindi elencate una serie di iniziative che dal punto di vista italiano dovrebbero essere adottate dalla Commissione europea: sostenere con tutti i mezzi disponibili, legislativi e finanziari, la transizione del settore automobilistico, in particolare delle PMI; monitorare e riferire in modo tempestivo ed esaustivo sui progressi verso una mobilità stradale a zero emissioni, considerando tutti i fattori che contribuiscono a una transizione equa ed efficiente dal punto di vista dei costi, compresa una valutazione delle possibili carenze di finanziamento; garantire, sulla base di tale monitoraggio, una revisione rigorosa e credibile degli obiettivi nel 2026; dare seguito alla disposizione che prevede l’immatricolazione, dopo il 2035, di veicoli alimentati esclusivamente con carburanti a zero emissioni di CO2; presentare una proposta per includere nel Regolamento meccanismi di contabilizzazione dei benefici, in termini di riduzione delle emissioni di CO2, dei carburanti rinnovabili.

Secondo fonti diplomatiche, la decisione del rinvio del punto al prossimo Coreper di venerdì potrebbe essere legata al voto a maggioranza qualificata che si preannunciava incerto nella riunione di oggi. Oltre all’Italia, la Polonia aveva già annunciato il voto contrario e la Bulgaria la propria astensione. Anche la Germania – sebbene senza confermare una possibile astensione o un voto contrario – ha mostrato di avere una posizione incerta, con le dichiarazioni del ministro dei Trasporti Volker Wissing, che ha incalzato la Commissione europea a presentare una proposta per cui i motori a combustione saranno venduti dopo il 2035 se si potrà dimostrare che sono alimentati con carburanti sintetici (e-fuel).

gas Russia

Da oggi è in vigore il price cap europeo. Ma il prezzo del gas resta sotto la soglia prevista

E’ in vigore da oggi (15 febbraio) e per i prossimi dodici mesi il regolamento sul meccanismo di correzione del mercato in caso di picchi di prezzo del gas, il ‘cosiddetto price cap’ tanto richiesto dai governi Ue quanto divisivo e a lungo rimandato. I ministri dell’energia dei Ventisette hanno trovato lo scorso 19 dicembre un’intesa politica per attivare automaticamente il ‘price cap’ di fronte a due condizioni che si presentano contemporaneamente: quando il prezzo del gas sul mercato olandese TTF supera i 180 euro per Megawattora per 3 giorni lavorativi e quando il prezzo TTF mensile è superiore di 35 euro rispetto al prezzo di riferimento del GNL sui mercati globali per gli stessi tre giorni lavorativi. Queste le due condizioni (i ‘trigger’) per attivare il meccanismo vero e proprio di correzione del mercato, che si attiverà in automatico con solo un “avviso di correzione del mercato” da parte dell’agenzia Acer, che avrà invece una componente dinamica, come richiesto da alcuni Paesi come l’Italia.

Una volta attivato, il limite dell’offerta dinamico sarà applicato per almeno 20 giorni lavorativi, ma con la possibilità di disattivarlo o sospenderlo in ogni momento attraverso due procedure diverse. Quando il limite di offerta dinamica è inferiore a 180 euro/MWh per tre giorni lavorativi consecutivi, verrà automaticamente disattivato, così come di fronte a un’emergenza regionale o dell’intera Ue dichiarata dalla Commissione europea (ad esempio, in caso di razionamento del gas). Di fronte a rischi per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, la stabilità finanziaria, i flussi di gas all’interno dell’UE o rischi di aumento della domanda di gas, invece alla Commissione europea resta il potere di adottare un decisione di esecuzione e sospendere il meccanismo di correzione del mercato nell’immediato. Da quando l’accordo è stato raggiunto dai governi Ue lo scorso dicembre, i prezzi del gas sono rimasti sempre sotto la soglia prevista per l’attivazione del meccanismo di correzione del mercato, confermando l’idea della Commissione europea di poter usare la misura solo come deterrente per frenare la speculazione sul mercato. Ieri, ad esempio, alla vigilia dell’entrata in vigore, il prezzo del gas ha chiuso sul mercato Ttf di Amsterdam a 52,39 euro al MWh.

Nella sua proposta iniziale la Commissione europea aveva previsto soglie di attivazione molto più alte, quando i prezzi raggiungono i 275 euro per MegaWattora per due settimane e quando i prezzi sono superiori di oltre 58 euro per MWh rispetto a quelli del gas naturale liquefatto (GNL) sul mercato globale. Il regolamento entra in vigore da oggi dopo una prima valutazione preliminare sui suoi rischi e benefici pubblicata il 23 gennaio dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) e l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (Acer): le agenzie hanno concluso di non aver individuato per ora impatti significativi (positivi o negativi) sul mercato che possono essere direttamente attribuiti all’adozione del regolamento. Tuttavia, per entrambe le agenzie questo non esclude che non possa esserci “alcun impatto futuro sui mercati finanziari ed energetici” e dunque hanno proposto una serie di indicatori per continuare a monitorare gli sviluppi del mercato e aiutare a rilevare i potenziali impatti futuri del meccanismo.

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Meloni soddisfatta del Vertice Ue: “Grande vittoria per l’Italia”

Sostegno all’Ucraina, risposta all’Ira americana e migrazioni. Sono i tre temi affrontati durante il Vertice Ue straordinario che si è tenuto ieri a Bruxelles, di cui la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si dice “estremamente soddisfatta” per il “protagonismo dell’Italia” a causa dei passi avanti fatti su materie così delicate. Anzi, addirittura parla di “una grande vittoria per l’Italia, che dimostra che quando c’è la volontà politica si ottengono risultati”.

Soprattutto per quanto riguarda i temi economici, sui quali l’Italia ha incassato dei successi, perché la sua posizione “è entrata pienamente nelle conclusioni del Consiglio europeo”. Sul tema degli aiuti di Stato, spiega la premier, “abbiamo ottenuto che l’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato sia temporaneo, mirato e proporzionato, perché la risposta sia europea e non nazionale”. In materia di sostegno “abbiamo chiesto un fondo sovrano, consapevoli che una scelta del genere richiede tempo, e noi non abbiamo tempo”. “Ci sono Paesi europei che sono chiusi rispetto all’idea di un fondo sovrano europeo, ma bisogna cercare soluzioni condivise”, precisa Meloni, sottolineando che l’allentamento delle norme “sugli aiuti di Stato, la flessibilità dei fondi esistenti rischia” di non creare un equilibrio. “E’ una verifica che va fatta a breve. Se non sarà sufficiente inevitabilmente si andrà verso un fondo sovrano“, dice, “anche se non sarà facile”.

L’Italia ha inoltre posto il tema delle catene di approvvigionamento: “La crisi energetica e ancora prima la crisi pandemica ci hanno insegnato che l’Europa per riappropriarsi della propria indipendenza ha bisogno delle catene di approvvigionamento”, afferma Meloni. “Siamo soddisfatti perché il dibattito è entrato nel dibattito del Consiglio europeo”.

E sulla revisione del patto di stabilità l’Italia ha chiesto “che si tenga conto delle scelte fatte”. “E’ evidente che tutte le discussioni che stiamo facendo rischiano di non essere efficaci se non consideriamo gli investimenti che vanno fatti, nel discorso sul patto di stabilità”, spiega Meloni. “Quindi – aggiunge – nel calcolo della sostenibilità dei conti va tenuto presente l’impatto dell’effetto moltiplicatore sulla spesa corrente“.

Meloni contro Macron: “Inopportuno invito a Zelensky. Nostra forza dovrebbe essere unità”

Arrivata a Bruxelles per il Consiglio europeo straordinario la premier Giorgia Meloni ha chiarito subito la sua posizione: la presidente del Consiglio italiana non ha infatti gradito l’esclusione dalla cena con Volodymyr Zelensky all’Eliseo, a cui ha partecipato anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz. “Mi è sembrato più inopportuno l’invito” di Macron “al (presidente ucraino, Volodymr) Zelensky – ha detto – La nostra forza in questa vicenda è la nostra compattezza e la nostra unità. Capisco le questioni di politica interna, ma ci sono dei momenti in cui privilegiare la propria opinione pubblica interna rischia di andare a scapito della causa“.

Al vertice Ue straordinario di giovedì e venerdì, per tamponare le ricadute dell’Inflation Reduction Act statunitense sull’Europa, Meloni vuole portare la sua ricetta: prudenza sulla modifica del regime degli aiuti di Stato, perseveranza nel dialogo transatlantico e flessibilità sull’uso delle risorse esistenti. L’attenzione di Roma è a evitare che si creino fratture e divari all’interno del mercato unico. Perché, ha spiegato arrivando a Bruxelles, “dobbiamo difendere la competitività del nostro sistema imprenditoriale, ma non in contrasto con l’Inflation reduction act degli Stati Uniti, ma è un momento in cui riflettere sulle nostre scelte, dobbiamo tornare a controllare le catene di approvvigionamento, dobbiamo aiutare il sistema produttivo ma farlo senza creare disparità all’interno del mercato unico”.

La premier italiana ha preparato il terreno nei giorni scorsi, con la visita, il 3 febbraio, a Stoccolma, che ha Presidenza di turno a partire da questo Consiglio, e nello stesso giorno a Berlino per parlare personalmente con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Quindi, ha avuto una fitta serie di telefonate: con il presidente francese, Emmanuel Macron, il primo ministro olandese, Mark Rutte, il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis e con il presidente del governo spagnolo, Pedro Sanchez. Con tutti, oltre all’impegno per il sostegno alle imprese europee, filtra comunione d’intenti sull’appoggio all’Ucraina, con Meloni che domani avrà a margine del Consiglio un un incontro bilaterale con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e per una gestione condivisa dei flussi migratori, incentrata sulla dimensione esterna e sul controllo dei confini.

L’urgenza delle questioni sul tavolo fa la straordinarietà di questo Consiglio: “Mi auguro possa essere risolutivo o comunque un passaggio importante”, ha auspicato ieri il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto. E’ lui, non essendo un Consiglio ordinario, a riferire prima della partenza e non all’intero Parlamento, ma alle commissioni riunite Esteri e Politiche Ue di Camera e Senato. Il lavoro preliminare della premier, con gli incontri e le telefonate dei giorni scorsi, è stato fondamentale, spiega, per “comprendere i punti di contatto e le differenze, per cercare di superarle e trovare una sintesi”.

Su Kiev la posizione dell’Italia è “netta e chiara”, ha assicurato: “Pieno sostegno senza esitazioni con una forte condanna dell’invasione russa”. Quanto alle ricadute economiche, soprattutto dopo l’Ira statunitense, è stato proposto alla Commissione di mettere in campo modifiche alle regole sugli aiuti di Stato. E’ un’operazione che Roma considera “pericolosa“, perché “altera la tenuta del mercato interno e non dà una risposta unitaria né agli Stati Uniti né all’interno dell’Unione”, ribadisce Fitto. Sarà istituita una commissione per il dialogo tra le due sponde dell’Oceano che, sottolinea, “riteniamo sia fondamentale”. Le modifiche vanno valutate con la massima prudenza, per l’esecutivo, la posizione è cauta e non favorevole a una procedura accelerata.

Serve insomma un quadro chiaro. Nel caso in cui si inizi a ragionare di modificare gli aiuti, l’Italia sposa la proposta che ci sia “una disponibilità forte a una flessibilità nell’uso delle risorse esistenti”. Il tema, ha puntualizzato Fitto, “non è marginale: l’utilizzo flessibile può essere coerente rispetto allo scenario in cui ci troviamo. D’altronde sarebbe singolare che nel cambio complessivo di paradigma si mantenga la rigidità sull’uso delle risorse esistenti”, afferma. Qualcuno, per sostenere le economie, ipotizza la possibilità di mettere in campo un’iniziativa “simile al programma Sure”: “Per noi va bene, ma non raccoglierà ampi consensi”, prevede Fitto.

Infine, l’ipotesi di un fondo sovrano, per la quale c’è una “sollecitazione forte” perché la Commissione presenti una proposta entro l’estate: “Il tema tempo è decisivo e interconnesso con la flessibilità”, avverte il ministro. E’ un’ipotesi che quindi Roma sostiene.
Sull’uso flessibile delle risorse esistenti, l’Italia lavora all’attivazione del RePowerEu all’interno del Pnrr. Il piano è stato pensato all’indomani del Covid, ma prima della guerra in Ucraina, per far fronte alle nuove esigenze, va modificato. “Il governo ha iniziato la fase di consultazione e confronto degli stakeholder per predisporre un programma che implementerà il Pnrr e inevitabilmente è collegato alla coesione. L’obiettivo è un riallineamento dei programmi con una strategia chiara e un confronto costante con la Commissione europea. Stiamo proseguendo con un lavoro proficuo”, informa Fitto.

Le risorse serviranno anche per accelerare il Piano Mattei, che nelle intenzioni del governo farà dell’Italia l’hub energetico d’Europa, grazie agli scambi con il Nord Africa. “La collocazione naturale del Paese nel Mediterraneo fa sì che ci possa essere un nuovo protagonismo per l’Italia, che vada oltre i confini nazionali”, ricorda il ministro. In questa prospettiva, insiste, “l’utilizzo intelligente delle risorse rappresenta un’opportunità”.

Von der leyen

Fondo sovrano e materie prime, il piano di Ursula von der Leyen per l’industria green europea

Un contesto normativo aggiornato per lo sviluppo dell’industria a zero emissioni, finanziamenti a breve e lungo termine per finanziarli, sviluppo di competenze e accordi commerciali per non perdere la corsa all’approvvigionamento di materie prime considerate critiche per la doppia transizione. Quattro pilastri e un solo obiettivo: lo sviluppo di una industria europea verde, a prova di dipendenze esterne.

Ha preso forma oggi nelle parole di Ursula von der Leyen il Piano industriale per il Green Deal, annunciato a Davos nelle scorse settimane come la “forte risposta” che l’Unione europea vuole dare al piano Usa contro l’inflazione, l’Inflation Reduction Act (Ira). Un piano di investimenti per le tecnologie verdi da quasi 370 miliardi di dollari varato dal governo statunitense in agosto, che fa preoccupare l’Ue perché potrebbe svantaggiare le imprese europee dal momento che prevede sgravi fiscali per acquistare prodotti americani tra cui automobili, batterie ed energie rinnovabili.
La presidente della Commissione europea è scesa in conferenza stampa dopo l’adozione della comunicazione (che non ha valore legislativo) messa a punto per contribuire al dibattito che si terrà la prossima settimana al Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio, in cui la risposta dell’Ue all’Ira statunitense sarà tema centrale in agenda, insieme alla gestione comune dei flussi migratori. Sulla base del dibattito che si terrà tra i capi di stato e governo, la Commissione Ue dovrebbe presentare “entro metà marzo” le proposte legislative vere e proprie, così da arrivare a una discussione più articolata al Consiglio ordinario del 23 marzo.

Come anticipato nei giorni scorsi, il piano si fonderà su quattro pilastri. Sul piano normativo, von der Leyen conferma che il nucleo duro di questo piano per l’industria verde sarà il ‘Net-Zero Industry Act’, una Legge europea per l’industria a zero emissioni, sulla scia del ‘Chips Act’ varato da Bruxelles per i semiconduttori. L’atto normativo dovrebbe fissare degli obiettivi produttivi vincolanti entro il 2030, in base ad analisi settoriali specifiche, per quelle tecnologie che vengono considerate chiave per il passaggio allo zero netto, tra cui nella comunicazione vengono menzionate batterie, mulini a vento, pompe di calore, solare, elettrolizzatori (per la produzione di idrogeno rinnovabile) e tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del carbonio.

Un aumento massiccio dello sviluppo tecnologico verde va di pari passo con l’approvvigionamento delle materie prime critiche, utili per la realizzazione delle tecnologie pulite (vedi il litio per le batterie), di cui ora l’Ue dipende per il 98% dalla Cina. Per questo, la comunicazione conferma che a marzo sarà presentato anche il ‘Raw Material Critical Act’ (per ora calendarizzato all’8 marzo), un atto europeo sulle materie prime critiche che dovrebbe concentrarsi sull’estrazione, la lavorazione ma anche il riciclaggio delle materie prime critiche nell’Unione Europea, e sulla ricerca di sostituti. Terza novità legislativa sarà la riforma del mercato elettrico dell’Ue, anche questa attesa nel mese di marzo, che da quanto si legge nella comunicazione si concentrerà sui “contratti di prezzo a lungo termine per consentire a tutti gli utenti di energia elettrica di beneficiare di servizi più prevedibili e minori costi dell’energia rinnovabile“.

Il secondo pilastro, quello che rischia di creare maggiori fratture tra gli Stati membri, e riguarda i finanziamenti a breve, medio e lungo termine per lo sviluppo delle tecnologie pulite. Da una parte, Bruxelles ha proposto ai governi una revisione del quadro attuale sugli aiuti di stato per semplificare gli aiuti per la diffusione delle energie rinnovabili e la decarbonizzazione dei processi industriali. La Commissione vuole che la flessibilità degli aiuti di Stato entrata in vigore per un periodo di tempo limitato a causa delle crisi della pandemia nel 2020, sia prorogata e rivista fino al 2025.

Consapevole che allentare le regole sugli aiuti rischia di creare una frammentazione del mercato unico e una frattura tra gli Stati che hanno lo spazio fiscale per gli aiuti pubblici (di cui la gran parte sono notificati da Germania e Francia) e quelli che non ce l’hanno, come l’Italia, la presidente ha confermato che proporrà un Fondo sovrano europeo per rilanciare l’industria, sfruttando la revisione intermedia del quadro finanziario pluriennale in programma prima dell’estate 2023. Sulle tempistiche e su come il Fondo sarà finanziato in concreto non c’è nulla di sicuro. “Le discussioni andranno avanti in estate”, ha chiarito von der Leyen, senza sbilanciarsi. In attesa di un Fondo sovrano, Bruxelles evoca soluzioni finanziarie ‘ponte’ sfruttando risorse esistenti da redistribuire, come il piano ‘REPowerEU’ (che secondo von der Leyen avrebbe a disposizione almeno 250 miliardi di euro da poter redistribuire verso l’industria a zero emissioni), il programma InvestEU e il Fondo europeo per l’innovazione.

Il terzo e il quarto pilastro del piano riguardano rispettivamente lo sviluppo delle competenze e gli accordi commerciali per non perdere la corsa alle materie prime. Sul piano delle competenze di manodopera ‘verde’, Commissione promette ad esempio di avviare un partenariato di competenze su larga scala per le energie rinnovabili onshore nel quadro del Patto per le competenze entro febbraio 2023 ed entro la fine di quest’anno dar vita a un partenariato per le competenze sulle pompe di calore, portandone avanti un terzo sull’efficienza energetica.

L’ultima parte del piano riguarda l’accelerazione degli accordi commerciali, che la Commissione europea ritiene strategici per l’approvvigionamento di materie critiche. “Lavoreremo sulla nostra agenda commerciale”, ha confermato von der Leyen, precisando che l’esecutivo comunitario è al lavoro per concludere accordi con Messico, Cile, Nuova Zelanda e Australia. Il Cile è il secondo produttore al mondo di litio, impiegato per le batterie, e anche l’Australia è uno dei maggiori produttori al mondo. Al vaglio anche un accordo con il Messico e la ripresa delle trattative con il blocco del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) sospese dal 2019.