Cresce il tasso di risparmio delle famiglie europee

Secondo Eurostat nel primo trimestre del 2024, il tasso di risparmio è aumentato di 1,4 punti percentuali sia nell’area dell’euro che nell’UE, rispetto al trimestre precedente. Tra gli Stati membri per i quali sono pubblicati i dati, il tasso di risparmio delle famiglie è aumentato in otto Stati membri e diminuito in sei. Come si vede nell’infografica INTERATTIVA di GEA, il Portogallo ha avuto il maggiore aumento (+5,1%), seguito dall’Italia (+2,6%). Allo stesso tempo, le maggiori diminuzioni sono state osservate in Ungheria (-2,6%), Grecia (-2,0%) e Repubblica Ceca (-1,9%).

Von der Leyen rieletta presidente della Commissione europea: “Manteniamo rotta su Green Deal”

Lo ha citato due volte nel suo discorso, durato quasi 50 minuti, e 4 nelle trenta pagine di linee programmatiche per i prossimi 5 anni di mandato: per von der Leyen il Green deal resta – non è rinnegato – ma cambia il modo con cui leggerlo, cioè “con pragmatismo, neutralità tecnologica e innovazione”. L’accento dunque si sposta su un nuovo Patto per l’industria pulita che la presidente riconfermata al bis (con con 401 voti a favore, 284 contrari, 15 astensioni e 7 schede vuote) presenterà nei suoi primi 100 giorni di mandato. “La nostra massima attenzione sarà rivolta al sostegno e alla creazione delle giuste condizioni affinché le aziende possano raggiungere i nostri obiettivi comuni. Ciò significa semplificare, investire e garantire l’accesso a forniture energetiche e materie prime a basso costo, sostenibili e sicure. Ciò preparerà la strada verso l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% per il 2040 che proporremo di sancire nella nostra Legge europea sul clima. In ogni fase lavoreremo in collaborazione con l’industria, le parti sociali e tutte le parti interessate. Presenteremo una legge sull’acceleratore della decarbonizzazione industriale per sostenere le industrie e le aziende durante la transizione”, ha puntualizzato von der Leyen.

Un nuovo piano per la prosperità sostenibile e la competitività dell’Europa; una nuova era per la difesa e la sicurezza europea; sostenere le persone, rafforzare le nostre società e il nostro modello sociale; sostenere la qualità della nostra vita: sicurezza alimentare, acqua e natura; proteggere la nostra democrazia, sostenere i nostri valori; un’Europa globale: sfruttare il nostro potere e i nostri partenariati; realizzare insieme e preparare la nostra Unione per il futuro. Sono questi i sette capitoli in cui è declinato il documento contenente le linee guida di Ursula von der Leyen per la Commissione europea dei prossimi 5 anni. In 30 pagine, von der Leyen ha cercato di trovare la mediazione in modo tale che “il centro democratico in Europa regga” e sia “all’altezza delle preoccupazioni e delle sfide che i cittadini devono affrontare nella loro vita”.

Oltre a rafforzare l’Unione dell’Energia, la presidente nominata intende proporre una nuova legge sull’economia circolare, “che contribuirà a creare una domanda di mercato per materiali secondari e un mercato unico per i rifiuti, in particolare in relazione alle materie prime critiche” e un nuovo pacchetto per l’industria chimica, con l’obiettivo di semplificare Reach (regolamento sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) e fornire chiarezza sui ‘prodotti chimici per sempre’ (Pfas).

Sul fronte dell’agricoltura, von der Leyen in aula richiama alla necessità di “superare le differenze e sviluppare buone soluzioni insieme a tutte le parti interessate” e scandisce alcuni impegni. Come ad assicurare “che gli agricoltori ricevano un reddito giusto” e che nessuno sia obbligato “a vendere il buon cibo al di sotto dei costi di produzione” e a fare in modo che ci siano “incentivi più intelligenti” affinché “chiunque gestisca la natura e la biodiversità in modo sostenibile e contribuisca a bilanciare il bilancio del carbonio deve essere adeguatamente ricompensato”. Per tutte queste ragioni, von der Leyen presenterà un piano per l’agricoltura per affrontare la necessità di adattamento ai cambiamenti climatici e, parallelamente, una strategia per la gestione sostenibile della preziosa risorsa acqua. “Da ciò dipende non solo la nostra sicurezza alimentare, ma anche la nostra competitività complessiva”, ha sottolineato.

 

Ue, Borchia (Lega): “Obiettivo è modificare Green Deal, sia più sostenibile”

“Stiamo parlando del terzo gruppo del Parlamento Europeo, con dodici nazionalità rappresentate da 84 deputati per cui numericamente” si tratta di “una composizione importante che parte con diversi obiettivi. In primo luogo, l’idea è quella di modificare il Green Deal, tenendo presente che abbiamo bisogno di riuscire a produrre. a lavorare. a spostarci e alimentarci con l’obiettivo della sostenibilità. Però, contestualmente, dobbiamo tenere presente – come altri gruppi hanno già ravvisato ma soltanto in campagna elettorale, quindi senza la coerenza che ci ha caratterizzato negli ultimi cinque anni – che serve un Green Deal che sia maggiormente sostenibile non soltanto dal punto di vista ambientale”. Lo ha detto a GEA ed Eunews Paolo Borchia, capodelegazione della Lega al Parlamento europeo. “Anche perché – ha aggiunto – dobbiamo lavorare sia sulla competitività delle nostre imprese sia sulla possibilità di riuscire a dare ai nostri cittadini il potere d’acquisto che attualmente il mondo reale ci segnala come probabilmente la problematica maggiormente sentita”.

Allarme dell’Ue: “Con eventi meteo sempre più estremi, rischi per salute ed economia”

“Gli eventi meteorologici estremi rappresentano un rischio maggiore per la natura, gli edifici, le infrastrutture e la salute umana. Questi eventi, che si prevede aumenteranno in frequenza e intensità a causa del cambiamento climatico, stanno già causando danni e perdite sostanziali. Dobbiamo adattarci e prepararci alla vita in un clima che cambia”. A lanciare l’allarme – o appello – è l’Agenzia europea dell’Ambiente (Aea) che ha ricordato come l’estate scorsa sia stata la più calda mai registrata a livello globale. “Oltre 460 mila ettari di foresta sono stati distrutti dagli incendi” e “gli ultimi dati per aprile e maggio 2024 mostrano che anche quest’anno potrebbe battere nuovi record”, ha scritto l’Agenzia in un approfondimento.

Secondo i dati dell’Aea, negli ultimi decenni, l’Europa è stata colpita da rischi naturali frequenti e gravi legati alle condizioni meteorologiche e al clima, come siccità, incendi boschivi, ondate di caldo, tempeste e forti piogge. E “i cambiamenti climatici renderanno questi eventi ancora più intensi e frequenti”. L’Agenzia precisa che le temperature estreme non hanno solo un impatto sulla salute dei gruppi vulnerabili, ma causano anche disturbi del sonno per tutti. Inoltre, “fiumi e laghi si stanno prosciugando, con conseguenze su tutta la vita che da essi dipende” e “anche i terreni stanno diventando più secchi, aumentando il rischio di incendi e riducendo la produttività agricola”. E mentre la siccità colpisce alcune parti d’Europa, altre sono interessate “da forti acquazzoni, che a volte allagano edifici e danneggiano proprietà e infrastrutture nel giro di pochi minuti” mentre “le zone costiere saranno a rischio di mareggiate più frequenti, con conseguenti allagamenti anche di edifici o terreni agricoli”. L’Aea attira l’attenzione anche sul fatto che la velocità del vento sta raggiungendo livelli mai visti prima in Europa, provocando incidenti e gravi danni e in altre parti si stanno verificando forti ondate di freddo.

Per dare qualche cifra, negli ultimi quattro decenni, le condizioni meteorologiche estreme sono state responsabili di mezzo trilione di euro di perdite economiche e di vittime umane comprese tra le 85 mila e le 145 mila. In più, “le sole ondate di caldo hanno causato decine di migliaia di morti premature in Europa dal 2000” e “si prevede che la loro durata, frequenza e intensità aumenteranno, portando a un aumento sostanziale della mortalità, soprattutto tra le popolazioni vulnerabili, a meno che non vengano adottate misure di adattamento”. Ad esempio, a giugno, le devastanti inondazioni che hanno colpito la Germania hanno causato diverse vittime e ingenti danni economici. Inoltre, anche se si prevede che la mortalità correlata al freddo diminuirà grazie alle migliori condizioni sociali, economiche e abitative in molti Paesi europei, va detto che “esistono prove inconcludenti sul fatto che il riscaldamento previsto porterà o meno a un’ulteriore sostanziale diminuzione della mortalità legata al freddo”.

Allo stesso tempo, però, le regioni in Europa sperimenteranno diversi cambiamenti nei modelli di condizioni meteorologiche estreme. Ad esempio, “nell’Europa settentrionale è probabile che le precipitazioni annuali e le forti precipitazioni aumentino, mentre i periodi di siccità diventeranno meno frequenti. È probabile che l’Europa centrale sperimenterà precipitazioni estive inferiori, ma anche condizioni meteorologiche estreme più severe – forti precipitazioni, inondazioni dei fiumi, siccità e pericolo di incendi – con cambiamenti contrastanti nelle precipitazioni annuali e nell’aridità. Nell’Europa meridionale, si prevede che le precipitazioni annuali e quelle estive diminuiranno, mentre è probabile che aumenteranno l’aridità, la siccità e il rischio di incendi”.

Secondo l’Agenzia, questi eventi sono un promemoria del clima mutevole e instabile a cui l’Europa deve adattarsi e prepararsi, adottando misure per ridurre drasticamente le emissioni di carbonio al fine di rallentare e limitare il cambiamento climatico. E proprio per quanto riguarda la preparazione, infine, l’Aea ricorda che la strategia di adattamento dell’Ue mira a garantire che l’Europa sia meglio preparata a gestire i rischi e ad adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici. “Colmare il divario nella protezione del clima aumentando la copertura assicurativa può essere uno strumento cruciale per migliorare la ripresa, ridurre la vulnerabilità e promuovere la resilienza. Anche gli Stati membri dell’Ue stanno rispondendo con politiche nazionali di adattamento, comprese le valutazioni del rischio climatico a livello nazionale, regionale e settoriale”, illustra l’Agenzia. Sono poi in corso attività di preparazione anche a livello dell’Ue per aiutare gli Stati membri a prepararsi agli eventi meteorologici estremi e “i sistemi di allarme rapido sono parti essenziali di queste attività”. Mentre “il pool europeo di protezione civile contribuisce a far avanzare la cooperazione europea in materia di sistemi di allarme per una risposta più rapida, ben coordinata ed efficace”, precisa l’Aea.

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La cinese Byd apre fabbrica in Turchia per non pagare dazi Ue su auto elettriche

Fatta la legge, trovato il modo per aggirarla. La scorsa settimana la Ue ha deciso dazi provvisori sui veicoli elettrici importati dalla Cina, colpendo Byd con un’ulteriore tassa del 17,4% in aggiunta all’attuale aliquota del 10%. E Byd decide di aprire uno stabilimento in Turchia, dal valore di un miliardo di dollari, per dribblare i dazi stessi. Sono infatti arrivate ulteriori conferme, dopo lo scoop di Bloomberg di venerdì, sul fatto che il primo produttore mondiale di veicoli elettrici installerà la sua fabbrica nella provincia di Manisa, vicino alla città costiera occidentale di Izmir. L’annuncio ufficiale è atteso a ore e a farlo sarà direttamente il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.

Per gli osservatori, l’installazione di una fabbrica Byd in Turchia consentirebbe alla casa automobilistica di accedere al mercato europeo eludendo le tasse sui veicoli elettrici cinesi. D’altro canto, l’unione doganale conclusa dalla Turchia con l’UE alla fine del 1995 ha aperto il mercato europeo alle automobili “made in Turkey“, facilitando l’esportazione del 70% della produzione locale verso l’Europa occidentale. Inoltre, la Turchia ha deciso a giugno di esentare gli investimenti cinesi nel suo territorio e di non tassare le importazioni di automobili di origine cinese, al fine di incoraggiare gli investimenti.

Secondo il consulente indipendente Levent Taylan, contattato da France Presse, lo Stato turco avrebbe gentilmente fornito a Byd un terreno inizialmente assegnato al produttore tedesco Volkswagen, che aveva progettato un vasto stabilimento prima di rinunciarvi. Con Byd “sarà un investimento per il mercato turco ma soprattutto per quello europeo, eludendo le tariffe doganali imposte sui veicoli di origine cinese”, ritiene Taylan, secondo il quale Byd arriverebbe in Turchia con “un potenziale di vendita” di circa 20-25.000 veicoli/anno sul mercato locale e di circa 50-75.000 per l’esportazione nell’Ue.

Una fabbrica con una capacità installata compresa tra 100 e 125.000 veicoli all’anno sarebbe un investimento ragionevole“, giudica questo buon conoscitore del mercato automobilistico turco sentito da Afp. Per fare un confronto, la fabbrica recentemente aperta in Thailandia da Byd ha una capacità produttiva di 150mila veicoli all’anno.

La mossa a tenaglia cinese sull’Europa segue la visita del presidente Xi Jinping aveva fatto in Europa, visitando la Francia ma soprattutto Serbia e Ungheria. L’8 maggio a Belgrado, insieme al presidente serbo Aleksandar Vucic, il leader cinese firmò 29 accordi volti a rafforzare la cooperazione legale, normativa ed economica. Inoltre, un significativo accordo di libero scambio, che è iniziato l’1° luglio, consentirà l’esportazione senza dazi del 95% dei prodotti serbi verso la Cina nei prossimi cinque-dieci anni. Il giorno dopo, a Budapest, è stata invece annunciata la firma di almeno 16 accordi con il governo ungherese guidato da Viktor Orban – ora in missione a Pechino -, nei settori delle infrastrutture ferroviarie e stradali, dell’energia nucleare e ovviamente dell’automobile. Infatti proprio Byd aveva annunciato a fine 2023 che costruirà la sua prima fabbrica automobilistica in Europa a Szeged in Ungheria. La nuova struttura del colosso cinese si concentrerà sulla produzione di veicoli elettrici e ibridi plug-in destinati al mercato europeo, promettendo di generare migliaia di posti di lavoro. Il governo ungherese supporterà l’impianto con sussidi, sebbene l’importo preciso sarà annunciato solo dopo l’approvazione della Commissione europea.

Negli ultimi cinque anni l’Ungheria ha attratto circa 20 miliardi di euro di investimenti legati ai veicoli elettrici, compreso un impianto di batterie da 7,3 miliardi di euro costruito da Contemporary Amperex Technology (Catl) a Debrecen. Byd, tra l’altro, già produce autobus elettrici con successo nella città ungherese di Komarom. E per il nuovo impianto a Szeged, Orban ha destinato finanziamenti significativi per migliorare le infrastrutture intorno al parco industriale. L’apertura nella città a sud del Paese consentirà al colosso di Shenzhen di evitare tariffe di importazione. In attesa della realizzazione della fabbrica, ecco allora l’investimento in Turchia, che vanta un know-how riconosciuto nel settore automobilistico con una rete di oltre 500mila subappaltatori avendo attirato dagli anni ’70 numerosi produttori come Fiat, Renault, Ford e Toyota.

energia

Nel 2023 congestione rete elettrica Ue è costata 4,2 mld e ha frenato rinnovabili

Anni di attesa per ottenere il permesso di connessione alla rete stanno frenando la produzione di gigawatt di energia eolica in Europa. “Il sistema è intasato e sta bloccando centinaia di gigawatt di parchi eolici“, ha affermato Giles Dickson, amministratore delegato di WindEurope, alla Reuters. Attualmente ci sono oltre 500 GW di nuova capacità di energia eolica in attesa del via libera per connettersi alla rete in tutta Europa. La situazione è più difficile in Italia e nel Regno Unito, dove ci sono oltre 100 GW di capacità ciascuno in attesa del permesso per connettersi alla rete. Eppure la stessa rete soffre, secondo l’agenzia di regolamentazione energetica dell’Ue (Acer), la quale ribadisce in uno suo report “l’urgenza per i gestori dei sistemi di trasmissione (TSO) di rispettare il loro obbligo di rendere disponibile il 70% della capacità di trasmissione per il commercio transfrontaliero di elettricità entro la fine del 2025. L’urgenza è legata all’avvicinarsi della scadenza legale e ai ritardi con molti dei passaggi necessari per raggiungere la regola della capacità di trasmissione del 70% che è necessaria per raggiungere gli ambiziosi obiettivi politici stabiliti per la generazione di energia rinnovabile”. Però, “senza un’adozione significativa dei progressi sulla ‘regola del 70%’, tali ambizioni saranno difficili da realizzare”.

L’anno scorso, secondo il report, “il sistema elettrico dell’Ue si è trovato ad affrontare una crescente congestione, con un aumento del 14,5% delle esigenze di gestione delle congestioni nel 2023 e conseguenti ingenti costi di sistema. Nel 2023, i costi di gestione delle congestioni nella rete elettrica dell’UE superano i 4,2 miliardi di euro, di cui il 60% a carico del sistema tedesco“, evidenzia l’analisi. “Quasi il 60% di questo costo è stato sostenuto dalla Germania, che ha speso 2,53 miliardi di euro in azioni correttive che hanno coinvolto 30,5 Twh”. Questo per la rapida crescita “della quota di energia rinnovabile in Germania e la crescente capacità minima interzonale richiesta per essere disponibile per la negoziazione, combinate con la lenta espansione delle capacità della rete”. E così il volume totale degli interventi correttivi in ​​percentuale della domanda nazionale di elettricità è stato del 6,7% in Germania, al 5,4% in Spagna e a meno dell’1% negli altri paesi Ue. Nel dettaglio – ha aggiunto Acer – la ridistribuzione delle energie rinnovabili, esclusa l’idroelettrica, “ha raggiunto una quota record del 21%”. Oltre 12 TWh “sono stati ridotti a causa della congestione della rete, con conseguenti emissioni stimate di 4,2 milioni di tonnellate di CO2 in più”, ha sottolineato l’agenzia, spiegando come “sempre più spesso, la gestione delle congestioni nell’Ue comporta la riduzione della produzione di energia rinnovabile, mentre la produzione di energia basata su fonti fossili va a colmare il vuoto“.

L’espansione limitata della rete, unita alla rapida adozione di tecnologie per le energie rinnovabili, probabilmente aggraverà la congestione della rete in futuro. “Ciò – ha evidenziato l’agenzia – potrebbe compromettere gli sforzi per una maggiore integrazione del mercato dell’elettricità nell’Ue e quindi ritardare la transizione verso un sistema energetico che sia neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio ed efficiente dal punto di vista dei costi“. Ma “l‘ulteriore integrazione dei mercati europei è fondamentale per promuovere la flessibilità, consentendo all’energia rinnovabile di raggiungere la domanda in tutta la Ue e riducendo al contempo la volatilità dei prezzi. L’utilizzo delle reti attuali nella loro interezza e lo sviluppo di nuove infrastrutture saranno fattori chiave per l’integrazione del mercato“, ha concluso Acer.

Green Deal trascurato e inevitabile tra fondi Ue e sponde capitalistiche

Secondo un parere della Commissione Politica di coesione territoriale e bilancio dell’Ue (Coter) del Comitato europeo delle regioni (Cdr), adottato mercoledì 3 luglio, l’Unione europea dovrebbe sostenere tutte le regioni nella realizzazione di una transizione giusta ed equa, in particolare quelle fortemente dipendenti da un unico settore economico o da industrie ad alta intensità energetica. Come sostiene la Coter, le difficoltà incontrate nell’approvazione dei piani di transizione e la riduzione dei fondi alla fine del periodo di programmazione evidenziano la necessità di prorogare il termine per l’utilizzo delle risorse del “Fondo per la transizione” nell’ambito del piano di ripresa dell’Ue di prossima generazione. Il parere invita la Commissione europea a semplificare i finanziamenti e a migliorare la trasparenza nel prossimo quadro finanziario pluriennale (Qfp) dell’Ue post-2027. Presa a prestito da Agence Europe, uno dei punti di riferimento dell’informazione da Bruxelles e su Bruxelles, questa notizia offre lo spunto per rivisitare il Green Deal nell’ottica della Commissione che sarà.

E intanto… Manfred Weber, nominato presidente del Ppe, ha ribadito in un recente intervista che dal Green Deal non si torna indietro. Weber è stato seguito a ruota da Ursula von der Leyen che, nel delicato tentativo di mettere insieme una maggioranza non traballante, ha posto sempre il Green Deal tra le cinque priorità dei prossimi cinque anni di governo. Ovviamente ammesso che, come accade spesso nei Conclave, chi entra Papa non esca cardinale. Green Deal, per la verità, che è stato sorpassato a sinistra da altre tematiche cogenti come la competitività, la Difesa, le questioni sociali e la semplificazione normativa. Sintetizzando: la transizione verde è indispensabile ma non così indispensabile come nel 2019. Ora: cosa sia cambiato in meglio o in peggio dopo un lustro di propositi più o meno buoni è difficile da stabilire con determinazione matematica, ma che siano indispensabili delle correzioni ‘in corsa’ questo è ineluttabile.

Con o senza i Verdi, oppure anche solo con l’appoggio esterno, il Green Deal continuerà a esserci. Giusto. Ma qui si torna al punto di partenza: più delle ideologie e di certe rigide ottusità saranno i denari da investire nella transizione verde a fare la differenza. E di denari ne serviranno davvero tanti: in fondo, più le pratiche sono virtuose più i costi aumentano. Saranno determinanti i fondi privati e il buonsenso collettivo, sarà determinante coinvolgere sempre di più Cina, India e Stati Uniti in un percorso che abbia cura del Pianeta senza creare ulteriori diseguaglianze non solo tra Paesi ma tra blocchi di Paesi, come ad esempio la Ue e i Brics.

Il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, scrive in un suo intervento che “dietro l’estremismo ambientalista, ideologico ed astratto, che purtroppo ha orientato negli ultimi dieci anni anche le politiche europee contro il climate change e per il così detto green deal, ci siano anche alcuni ‘grandi vecchi’, sconfitti nel loro credo dalla storia, ma che hanno rivestito lo spirito e il pregiudizio anticapitalista e anti-impresa con le bandiere dei verdi”. Cita Noam Chomsky e Robert Pollin e giunge a sostenere che Occidente e Stati Uniti andranno avanti ma dovranno fare i conti con il popolo. “’Voi parlate della fine del mondo ma noi ci preoccupiamo della fine del mese. Come sopravviveremo alle vostre riforme?, è questa la domanda pressante a cui bisogna dare risposte concrete onde evitare un rigetto totale delle politiche ambientaliste”, sottolinea Gozzi.

Non è indispensabile essere d’accordo, è fondamentale riflettere. E fornire risposte concrete. Il cambiamento climatico è sotto i nostri occhi, “non ci sono più le stagioni di una volta” direbbe qualcuno, ed è una evidenza che si abbatte sulle economie, sul turismo, sull’agricoltura. Come se ne esce? E’ chiaro che ricerca, innovazione, nuove tecnologie, rinnovabili, nucleare sono gli ingredienti indispensabili di una ricetta che, comunque, dovrà avere il sostegno economico di Stati e di industrie. Finanziare il futuro delle generazioni future: non è uno slogan ma una necessità. Insomma, adelante ma con juicio.

Ursula von der Leyen

Ue, la settimana lampo delle nomine. Ora la parola passa al Parlamento

La settimana dei top jobs, cioè le figure apicali dell’Ue, si aperta e chiusa con gli stessi nomi: Ursula von der Leyen presidente alla Commissione europea, l’ex premier portoghese Antonio Costa come presidente del Consiglio europeo e la premier estone Kaja Kallas come Alta rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza. Una decisione lampo, con la maggioranza composta da popolari, socialisti e liberali che ha tenuto in sede di Vertice tra i 27 capi di Stato e di governo, nonostante i voti fuori dal coro di Italia e Ungheria.

Ora la palla passa al Parlamento europeo, dove Ursula von der Leyen dovrà guadagnarsi il 18 luglio la soglia di almeno 361 consensi (720 sono i deputati europei). La candidata al bis può contare sulla somma aritmetica di 399 seggi ai quali, però, secondo alcune fonti diplomatiche, andranno tolti franchi tiratori e oppositori che, nel segreto del voto, non avalleranno von der Leyen pur essendo parte della maggioranza centrista o della stessa famiglia politiche. Le stime parlano di una cinquantina di seggi in bilico. Per questo motivo, da qui al 18 luglio, von der Leyen cercherà di ampliare la sua maggioranza e, con i Popolari che pongono un veto all’allargamento ai Verdi e chiedono un dialogo con i conservatori, un’ipotesi è che si riproponga quanto avvenuto già 2019 quando, come ha ricordato il vice premier Antonio Tajani, “Angela Merkel chiese il consenso dei Conservatori, perché senza di loro von der Leyen non sarebbe stata eletta. Non tutti i Conservatori la votarono, ma i polacchi sì. Bisogna tenere conto di tanti variabili, quando si vota a scrutinio segreto”.

E proprio sulla possibilità che i 24 deputati di Fratelli d’Italia vengano richiesti per appoggiare Ursula von der Leyen in Aula si è espressa la premier Giorgia Meloni, nel punto stampa dopo il Consiglio europeo. “Il tema non è Ursula von der Leyen. Il tema è quali sono le politiche che Ursula von der Leyen intende portare avanti. E su questo, come accade anche per gli altri nomi che sono stati fatti, non abbiamo risposte”, ha dichiarato Meloni. Ma “la presidente della Commissione europea prima di andare in Parlamento dovrà dire che cosa vuole fare e, quindi, io penso che la valutazione vada fatta a valle e non vada fatta a monte”, ha precisato. Da qui l’astensione di Meloni sul nome di von der Leyen, oltre al fatto che è della stessa famiglia politica, il Ppe, di cui fa parte Forza Italia. Un voto di “rispetto” delle sensibilità della sua maggioranza, ricambiata dal suo vice Antonio Tajani che da giorni auspica l’apertura ai conservatori e che ieri, dopo il pre vertice, ha sottolineato come nei popolari tutti abbiano compreso bene “che non si può fare qualcosa senza tenere conto dell’Italia”.

Allo stesso modo dei popolari, anche i Verdi hanno posto una linea rossa: quella dell’allargamento a Ecr e a Id, proponendosi come forza europeista, pragmatica e credibile cui guardare per estendere la coperta della maggioranza Ursula. Un’offerta ancora in piedi, apparsa in filigrana anche nel punto stampa con i neo eletti di Sinistra Italia, Ilaria Salis e Mimmo Lucano, dove alla domanda se voteranno o meno la fiducia a von der Leyen è intervenuto il segretario Nicola Fratoianni spiegando che la decisione verrà presa nel gruppo della sinistra, ma che ci sarà anche con un confronto con i Verdi con cui sono in Alleanza.

Intanto, la prossima tappa certa è quella del programma che von der Leyen dovrà presentare ai deputati per convincerli. In conferenza stampa, la presidente ha ricordato che le servirà il via libera degli europarlamentari “dopo che presenterò le linee politiche al Parlamento europeo per il prossimo mandato”. Appuntamento confermato nella sessione a Strasburgo del 16-19 luglio, la cui agenda verrà definita l’11 luglio. Nella stessa sessione, i neoparlamentari saranno chiamati a votare anche il loro presidente. O la loro presidente. Anche in questo caso, infatti, il Ppe propone un bis: quello dell’uscente Roberta Metsola.

Ue, Meloni: “Sulle nomine rispettare il voto dei cittadini. No a logiche dei caminetti”

Rimettere mano al Green Deal per “proteggere la natura con l’uomo dentro“, alla direttiva sulle case green che ha ancora “obiettivi troppo ravvicinati e onerosi“. Tutelare gli agricoltoricolpiti da provvedimenti furiosamente ideologici“, difendere le imprese dalla concorrenza sleale. Semplificare, soprattutto. Tanto da avanzare la proposta di un commissario alla Sburocratizzazioneper mostrare un cambio di passo“. Sono le priorità del governo Meloni in Europa.

Emergeranno nel primo Consiglio della nuova legislatura comunitaria (27-28 giugno), che prenderà il via ufficialmente il 16 luglio. La definizione ufficiale dei posti di vertice è sempre più vicina e Roma, esclusa dalle negoziazioni, non intende restare in disparte, perché i cittadini “si sono espressi“, ricorda la premier nell’informativa alla Camera. L’obiettivo è lavorare per un commissario di pesoche ci spetta“, rivendica. La denuncia è chiara: non saranno accettate le “logiche dei caminetti” nelle quale “alcuni pretendono di decidere per tutti“, scavalcando il consenso. No a qualunque “conventio ad excludendum in salsa europea”, avverte la leader dei Conservatori.

Meloni evidenzia il dato dell’astensionismo, che rappresenta plasticamente una disaffezione in crescita. In Italia, per la prima volta, la partecipazione è scivolata sotto il 50%, al 48,3% degli aventi diritto. Segno, a suo dire, che i cittadini percepiscono Bruxelles come “troppo invasiva“, come un’Unione che “pretende di imporre cosa mangiare, quale auto guidare, in che modo ristrutturare la propria casa, quanta terra coltivare, quale tecnologia sviluppare“, osserva la premier.

Dunque, i cittadini “hanno detto chiaramente qual è il modello che preferiscono tra quello portato avanti fin qui e quello che proponiamo“, rivendica. Un dato emerso da questa tornata Meloni considera “indiscutibile“: “La bocciatura delle politiche portate avanti dalle forze di governo e molte delle grandi nazioni europee che sono anche molto spesso le forze che hanno impresso le politiche dell’Unione in questi anni“.

La risposta al “declino” per la presidente del Consiglio sta nella necessità di “privilegiare al gigante burocratico un gigante politico“, ribadisce Meloni. Parla di aumentare l’autonomia strategica, costruendo catene di approvvigionamento sicure e affidabili e diminuire le proprie dipendenze, rendere l’Europa un luogo “dove sia conveniente investire“, ma allo stesso tempo proteggerla dalla concorrenza sleale dei Paesi extra Ue, perché “il mercato è libero se equo“. E ancora: costruire nuove partnership con l’Africa, sul modello del Piano Mattei, con cui “l’Italia ha fatto scuola” e valorizzare la posizione geografica del nostro Paese, piattaforma naturale nel Mediterraneo, per renderlo “hub di approvvigionamento” e “ponte tra Mediterraneo orientale, Africa ed Europa“.

Top Jobs Ue, intesa su von der Leyen e Costa. Fitto chiede un ruolo di primo piano per l’Italia

I rumors che arrivano da Bruxelles, da quei palazzi di mattoni e vetro, sono forti e chiari. Anche se sono ancora rumors. Perché, a quanto si apprende, i sei negoziatori dell’Ue che stanno trattando i posti di vertice dell’Ue hanno trovato un accordo per sostenere Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea, il portoghese Antonio Costa al Consiglio europeo e l’estone Kaja Kallas come Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue. Domande: sarà così? Andrà davvero così? Lo scopriremo a breve.

I sei negoziatori sono il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis e il primo ministro polacco Donald Tusk (per il Partito popolare europeo), il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez e il cancelliere tedesco Olaf Scholz (per i socialisti), il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro olandese Mark Rutte. (per i liberali).

Il prossimo appuntamento è fissato per giovedì e venerdì a Bruxelles, al Consiglio europeo, dove i tre nomi saranno presentati ai Ventisette capi di Stato e di governo per la loro approvazione. In queste ore la situazione potrebbe cambiare ma non stravolgersi, anche se il ministro Raffaele Fitto ha ribadito qual è la posizione italiana. “Il prossimo vertice dei capi di Stato e di governo sarà un’occasione molto importante per discutere dei nuovi assetti istituzionali dell’Unione europea e l’Italia intende esercitare in questa discussione un ruolo di primo piano, adeguato al suo status di Paese fondatore”, ha detto il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr, dopo aver partecipato, a Lussemburgo, al Consiglio Affari generali dell’Ue. “Abbiamo discusso soprattutto della preparazione del prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno”, ha spiegato. “Quello delle nomine non è l’unico tema rilevante dell’agenda del Consiglio europeo”, ha proseguito Fitto. “Per noi è molto importante che dal vertice esca un messaggio chiaro su temi cruciali come la competitività dell’economia europea, la difesa, la migrazione e l’Agenda strategica oltre, ovviamente, ai temi di politica estera come l’Ucraina ed il Medio Oriente sui quali si sono registrati molti progressi grazie al recente Vertice del G7 presieduto dal presidente Meloni”.

Più o meno è la stessa linea tenuta ieri da Antonio Tajani. Il vicepremier e ministro degli Esteri ha parlato “come minimo” per l’Italia della vicepresidenza della Commissione e un commissario “di peso”. Tajani ha infatti rivendicato un peso importante per il nostro Paese: “Credo che l’Italia non possa non avere un vice presidente della Commissione europea e non possa non avere un commissario con un portafoglio di peso. Credo che questo sia il minimo che possiamo chiedere e pretendere”. Anche perché, è il ragionamento, l’Italia “ha il diritto di avere un riconoscimento di alto livello”, visto che è “un Paese fondatore” e ha “una manifattura” al secondo posto in Europa. Una convinzione tale che ha portato Tajani a sbilanciarsi persino sul nome: Fitto. “Sarebbe un eccellente commissario, perché ha conoscenza, esperienza”, anche se “non c’è nessuna decisione. Sarà il presidente del Consiglio a dire l’ultima parola dopo aver ascoltato la maggioranza e dopo aver valutato con il governo il da farsi”.