Gozzi: “L’Italia deve definire una strategia energetica per il futuro”
È ormai del tutto evidente che l’Europa non riesce a fare una politica energetica comune. Le vicende recenti lo dimostrano ampiamente: dall’impossibilità pratica di trovare un accordo sul price cap del gas nel pieno della crisi causata dall’invasione russa dell’Ucraina, alle politiche di sussidio ai prezzi dell’energia che i singoli Stati, specie i più forti come Germania e Francia, hanno deciso di fare autonomamente piuttosto che impegnarsi per un accordo complessivo europeo.
Le politiche di sussidio ai prezzi sono state consentite dal fatto che di fronte alla crisi economica provocata dal Covid prima e dalle conseguenze della guerra Russia-Ucraina poi, la Commissione Europea è intervenuta con il Temporary crisis and transiction framework, in pratica una deroga alle stringenti regole sugli aiuti di stato che ha consentito ai singoli governi di intervenire secondo una logica “ognun per sé Dio per tutti” per alleviare il caro energia per famiglie ed imprese.
Ovviamente questi interventi, specie quelli a favore delle imprese e in particolare delle imprese energivore, creano asimmetrie competitive gravi tra le imprese degli stati forti, che tali interventi si possono permettere, e quelle degli stati meno forti finanziariamente. E ciò mina alla base il principio del mercato unico.
Si potrebbe ovviare a queste distorsioni istituendo ad esempio una tariffa elettrica comune europea per le imprese energivore. Ma purtroppo nessuno ne parla, da un lato perché a Bruxelles, come abbiamo più volte ricordato, a causa dell’ubriacatura dell’estremismo ambientalista c’è disinteresse, se non un vero e proprio pregiudizio, nei confronti dell’industria di base; dall’altro perché i singoli Stati, schiacciati dalle stringenti regole europee sul climate change, stanno cercando, ognuno per proprio conto, una via alla transizione energetica che consenta contemporaneamente di decarbonizzare e di abbassare il costo dell’energia.
Vasto programma che a breve farà i conti con la realtà, in particolare mostrando che gli obiettivi del cosiddetto Green Deal al 2050 (zero emissioni nette di gas con effetto serra, crescita economica dissociata dall’uso delle risorse senza trascurare nessuna persona e nessun luogo) sono di fatto irraggiungibili. Ma tant’è.
Realisticamente dobbiamo prendere atto che una politica comune europea dell’energia, sia pure auspicabile, non è possibile per i troppi conflitti di interesse fra Stati e per la diversità dei punti di partenza che spesso rappresentano vantaggi competitivi per i sistemi economici e industriali nazionali a cui chi ne può godere non vuole rinunciare.
Alla luce di ciò l’Italia, secondo sistema industriale d’Europa, si deve rapidamente attrezzare con una strategia energetica di medio-lungo periodo che consenta alla sua industria di rimanere competitiva.
Gli altri grandi Stati europei stanno facendo così. Basta guardare i differenziali di prezzo dell’energia dei maggiori Paesi Europei rispetto all’Italia che si trova fortemente penalizzata.
La Germania ha puntato moltissimo sul vento del mare del Nord, sul fotovoltaico e sull’approvvigionamento di idrogeno. Negli ultimi mesi si stanno installando nel Paese l’equivalente di 30 campi di calcio di fotovoltaico al giorno e 4-5 turbine eoliche al giorno. Per raggiungere gli obiettivi climatici al 2030 i tedeschi dichiarano che sarà necessario costruire 43 campi di calcio al giorno di fotovoltaico e mantenere il ritmo di 5 turbine eoliche al giorno. Ci riusciranno? Si vedrà. Nel frattempo la chiusura di centrali nucleari e centrali a carbone spiazza l’industria tedesca e la obbliga a riscoprire le centrali a gas: Ansaldo Energia ha recentemente vinto una gara in Germania per la costruzione di una grande centrale a gas.
La Francia, coerentemente alla sua storia, ha fatto e ribadito la scelta del nucleare. Vinta la battaglia in Europa per inserirlo nella Tassonomia (la lista delle tecnologie ammissibili con il Green Deal) da un lato sta facendo giganteschi interventi di manutenzione sulle centrali esistenti, tutte risalenti a molti decenni fa, dall’altro è all’avanguardia sui progetti di nucleare di quarta generazione, molto più sicuro e meno costoso del tradizionale, su cui mantiene e manterrà una leadership continentale. Il nucleare, specie quello di nuova generazione, è naturalmente la fonte energetica ideale per l’industria: completamente decarbonizzata e stabile, sicura e relativamente poco costosa nel lungo periodo.
La Spagna sta sfruttando intelligentemente la sua configurazione geografica che le mette a disposizione enormi estensioni pianeggianti poco abitate e quindi ideali per installare fotovoltaico ed eolico, ed una grande estensione costiera grazie alla quale con l’aiuto europeo ha installato, già molti anni fa, diversi rigassificatori per l’importazione di LNG (gas naturale liquefatto); e può contare su tutte le tecnologie energetiche disponibili, perché accanto alle rinnovabili vi troviamo ben 5 centrali nucleari e molte centrali a gas.
Non parliamo dei Paesi del Nord Europa, in particolare Norvegia e Svezia, dove la risorsa idroelettrica è sovrana. Ma accanto all’idroelettrico la Svezia, consapevole che le rinnovabili non sono sufficienti per garantire l’approvvigionamento energetico del Paese, ha annunciato un piano per la costruzione di altri 10 reattori nucleari oltre ai 6 già esistenti. La Norvegia, accanto alle immense risorse idroelettriche che soddisfano il 60% del fabbisogno energetico del Paese, è un grande produttore di gas. Nel 2022 ha fornito, con enormi guadagni, circa 90 miliardi di metri cubi di gas all’UE e 36 alla Gran Bretagna. Inoltre il paese è all’avanguardia nelle tecnologie di cattura e stoccaggio delle CO2.
E l’Italia?
L’Italia dal punto di vista delle emissioni di CO2 è in una posizione virtuosa in Europa. Pur essendo un grande paese industriale abbiamo emissioni molto più basse ad esempio della Germania. Ciò si deve soprattutto al fatto che l’industria italiana negli ultimi 20 anni ha fatto importantissime politiche di risparmio energetico; che il settore della produzione d’acciaio, secondo in Europa dopo quello tedesco, è praticamente decarbonizzato perché usa per più dell’80% delle produzioni la tecnologia del forno elettrico; che negli ultimi anni c’è stato un importante sviluppo delle energie rinnovabili.
La configurazione orografica del Paese, con pochi o nessun terreno pianeggiante non dedicato all’agricoltura, la non cospicua presenza di zone ventose, le grandi bellezze naturali e paesaggistiche, il sistema delle regole e burocratico non efficiente: tutto ciò non consente né consentirà all’Italia di crescere più di tanto nelle energie rinnovabili.
I Paesi industriali come il nostro hanno un gran bisogno, accanto alle energie intermittenti come sono le rinnovabili, di energia di base (base load) decarbonizzata. Le uniche due tecnologie capaci di assicurare energia elettrica di base stabile per almeno 6000 ore l’anno sono le centrali turbogas e in prospettiva il nucleare di quarta generazione. Del nucleare di quarta generazione si parlerà come minimo tra quindici anni e non è chiaro che ruolo potrà avere l’Italia sullo sviluppo di questa tecnologia.
Per fortuna anche negli anni del nucleare messo al bando Ansaldo ha mantenuto una capacità di ricerca e di intervento che è stata impiegata fuori dall’Italia e oggi può essere una grandissima risorsa per il Paese.
Ma dobbiamo risolvere il problema dei prossimi 15/20 anni senza essere completamente spiazzati nel costo dell’energia rispetto a quello di cui potranno godere gli altri Paesi europei.
Anche noi abbiamo un grande vantaggio competitivo per posizione geografica e infrastrutturazione: siamo l’unico Paese europeo che ha 5 pipe line di ingresso del gas e 5 rigassificatori, e siamo quindi in posizione ideale per l’importazione di gas.
Il prezzo del gas naturale potrebbe scendere significativamente nei prossimi anni per il combinato disposto di una riduzione della domanda europea e una contemporanea forte crescita di offerta nel bacino del Mediterraneo. L’Algeria ha in programma di passare in cinque anni dai 120 miliardi di metri cubi di produzione annuale attuale a 160 miliardi di metri cubi, i giacimenti tra Cipro, Egitto ed Israele sono di dimensione gigantesca e non se ne conosce ancora la reale dimensione, la stessa Libia una volta stabilizzata aumenterà la sua produzione annuale di gas.
Insomma si potrà comprare il gas a buon prezzo e ciò aiuterà a produrre energia elettrica a basso costo nelle nostre centrali turbogas. Ovviamente a queste centrali vanno applicate le tecnologie della Carbon Capture Utilisation e Storage (CCUS). Queste tecnologie, che in Italia soprattutto l’Eni conosce e domina, e che consistono nel catturare la CO2 dai processi industriali e utilizzarla ad esempio per produrre metano sintetico o carburanti sintetici decarbonizzati (metanolo) e/o nello stoccarla in giacimenti esausti, come fanno da tempo inglesi e norvegesi, stupidamente sono state osteggiate per molto tempo a livello europeo perché l’ideologia estremista ritiene che il gas, che è enormemente meno inquinante del carbone, non possa essere utilizzato neppure se decarbonizzato.
L’Italia dovrebbe lanciare invece una grande campagna a favore di queste tecnologie e applicarle intensivamente alle centrali elettriche turbogas. Esistono problemi di costi che vanno stimati e gestiti, bisogna promuovere molta ricerca per abbattere questi costi come si è fatto per le rinnovabili, ma questa è l’unica strada intelligente che il nostro Paese ha per gestire la fase di transizione senza chiudere le sue industrie.