Si rafforza asse Italia-Germania. Urso: “Dazi Usa? Serve una politica industriale europea”

(Foto: Mimit)

Un anno fa la firma del Piano d’azione italo-tedesco, oggi il primo forum interministeriale inquadra il campo di azione e i target da raggiungere. La missione a Berlino del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, rafforza la cooperazione con Roma, come testimonia la dichiarazione congiunta al termine dei lavori con il vicecancelliere e ministro dell’Economia e dell’Azione Climatica della Germania, Robert Habeck. La parola d’ordine è competitività, che l’Europa deve assolutamente ritrovare, colmando anche un forte ritardo. E’ necessario, soprattutto adesso che la situazione geopolitica continua a essere instabile, con le guerre in Ucraina e Medio Oriente, e gli Usa che si apprestano cambiare non solo Amministrazione, col passaggio da Joe Biden a Donald Trump, ma soprattutto approccio alla politica industriale. I dazi verso l’Europa annunciati dal tycoon in campagna elettorale sono un tema più che mai stringente.

Non sarà certo la prima volta, ricorda proprio Urso, citando la prima presidenza Trump, poi la successiva Biden: “E’ chiaro a tutti che dobbiamo fare una politica positiva nei confronti degli Stati Uniti, che è il nostro principale alleato anche dal punto di vista economico, per fare in Europa una saggia, significativa, responsabile comune politica industriale che si fondi sull’autonomia strategica, a cominciare dall’energia, per poi giungere anche, come necessario, alla tutela nelle regole del Wto da chi fa concorrenza sleale”. La parola d’ordine è agire insieme.

In questo senso l’Ue ha una carta da giocarsi: l’avvio della nuova Commissione a guida di Ursula von der Leyen. “Bisogna puntare con ambizione sullo sviluppo tecnologico, come l’Intelligenza artificiale, a partire dall’energia, anche con un mercato comune energetico, con tutto quello che può garantire l’autonomia del Continente e del sistema industriale”, dice Urso. Habeck ascolta e condivide, in particolare quando il responsabile del Mimit parla del report di Mario Draghi, “che noi tutti condividiamo appieno”, augurandosi, “anche a fronte del dinamismo di altri attori globali come Cina e Usa”, una “azione comune tra le due grandi politiche industriali d’Europa per indirizzare la nuova Commissione sulla strada della competitività”. Sul fronte degli investimenti, che l’ex premier calcola in circa 800 miliardi in più all’anno per i prossimi 10 anni solo per recuperare il gap, alla necessità di favorire l’ingresso di capitali privati nei progetti. In questo senso diventa, dunque, fondamentale un’opera di “semplificazione e sburocratizzazione” in Europa.

“Serve mettere in campo una politica industriale, capace di riportare il nostro sistema al centro delle grandi catene produttive globali, così come indicato nei report Draghi e Letta, investire sulle nuove tecnologie, restituire competitività alle imprese, tutelare il lavoro europeo”, ripete Urso anche nella nota congiunta con il collega tedesco. Per questo la cooperazione in campo industriale tra Italia e Germania è “assolutamente strategica”. Ad esempio con il non-paper sull’automotive che sarà presentato al Consiglio Competitività dell’Ue giovedì prossimo, 28 novembre, cui ha aderito anche la Polonia. “È necessario rivedere con realismo le regole del Cbam e realizzare un piano automotive europeo che metta in campo anche risorse comuni per sostenere gli investimenti delle imprese con una visione di piena neutralità tecnologica al fine di raggiungere davvero la autonomia strategica del Continente nella twin transition”, aggiunge il ministro italiano.

Allo stesso tempo occorre una nuova visione sul comparto siderurgico e chimico, come sostenuto anche al Trilateral Business Forum di giovedì e venerdì scorsi, a Parigi, tra le confindustrie di Italia, Germania e Francia.

In questo senso, il Piano d’azione tra Roma e Berlino è ad ampio raggio e prevede una cooperazione rafforzata in diversi settori della politica industriale, dello spazio, delle tecnologie digitali e green. I gruppi di lavoro già composti sono un’ottima base di partenza per le proposte. Ad esempio, su politica industriale ed energia “è stata definita un’agenda comune per la prossima Commissione Ue, affrontando temi come il sostegno alle pmi e la semplificazione normativa, attraverso “reality checks”, e la rimozione delle barriere ai servizi transfrontalieri”, mettono in chiaro i due ministri. Ancora, il fulcro della collaborazione su ‘digitalizzazione e Industria 4.0’ è “lo sviluppo di ecosistemi decentralizzati per la produzione intelligente e il rafforzamento della posizione italiana nell’iniziativa Manufacturing-X” con la partecipazione italiana alla Fiera di Hannover 2025 “tra le priorità”. Infine, sullo spazio i due Paesi hanno lavorato “per garantire che la legislazione europea rifletta gli interessi degli Stati membri, promuovendo la competitività del settore e la sovranità strategica” e “la cooperazione sul programma Iris2 è stata parte integrante delle attività”. La partita è, dunque, aperta. Ma perché abbia successo serve l’Europa. Unita anche negli obiettivi, possibilmente.

Squadra von der Leyen 2 fatta: Entra FdI, escono i Verdi. Voto finale mercoledì

La squadra di Ursula von der Leyen è pronta e può presentarsi alla plenaria del Parlamento europeo il 27 novembre, alle 12, per incassare l’approvazione definitiva ed entrare in funzione il primo dicembre. Dopo oltre una settimana di stallo, e la giornata di ieri incastrata tra veti, litigi e sospensioni alle procedure di voto fino alle 23, oggi commissari e vice presidenti hanno nomi e competenze confermati dagli eurodeputati e la maggioranza a sostegno del collegio adotta confini diversi da quelli che, a luglio, rielessero la presidente tedesca uscente: escono i 4 eurodeputati Verdi italiani ed entra Fratelli d’Italia.

Mercoledì è andato in scena un ping-pong tra Socialisti (S&D) e Popolari (Ppe). I due campi di gioco sono stati i nomi di Teresa Ribera e di Raffaele Fitto come vicepresidenti. Alla fine, entrambi sono stati approvati, diventando colleghi e riassemblando due pezzi grandi della maggioranza, ma l’equilibrio è sottile e il nuovo esecutivo Ue parte su premesse di non fiducia tra i gruppi politici. Tutto ciò è emerso velocemente: alle 17 i tre leader di S&D, Ppe e liberali di Renew Europe confermano l’accordo, ma alle 19 i meccanismi stabiliti – linee guida politiche di von der Leyen di luglio e ‘logica a pacchetto’ per il voto sui sei i vice presidenti esecutivi e sul commissario ungherese Oliver Varhelyi – si inceppano nelle riunioni dei coordinatori delle commissioni che dovevano promuovere i candidati. Risultato: riunioni interrotte. L’incaglio – dopo il voto a Varhelyi, a cui vengono ridotte le competenze – parte dalla richiesta di popolari e conservatori di mettere nero su bianco le dimissioni di Ribera in caso di ‘indagini’ per le conseguenze e i morti della Dana a Valencia. Un linguaggio rifiutato da socialisti, liberali e verdi che fa esplodere il litigio che sospende la riunione e, di riflesso, blocca anche la valutazione di Fitto. Il balletto caotico si conclude solo poco prima delle 23 e, in entrambi i casi, le lettere di valutazione che accompagnano il via libera ai candidati vengono integrate da un allegato: il Parlamento chiede alla spagnola “un impegno chiaro e inequivocabile” a dimettersi in caso di procedimenti legali nei suoi confronti “che potrebbero compromettere l’integrità del collegio”; l’italiano dovrà essere invece “completamente indipendente dal suo governo nazionale come richiesto dai Trattati e pienamente impegnato ad applicare il meccanismo di condizionalità dello Stato di diritto e a lavorare al rafforzamento dello Stato di diritto nell’Unione”.

Ma se i grandi gruppi hanno provato a finire in pareggio, per gli altri si tratta di entrare o uscire dai giochi. Subito dopo il voto, il capo delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo, Carlo Fidanza, ha parlato di “risultato storico” e il co-presidente di Ecr, Nicola Procaccini, ha affermato: “Siamo orientati a votare favorevolmente” alla Commissione. Oggi, il capo delegazione del Pd, Nicola Zingaretti, si è detto “fiducioso” che gli eurodeputati dem voteranno sì al von der Leyen 2 e ha rivendicato l’impegno “per far partire la legislatura” ed “evitare che anche l’Europa cada nelle mani dell’estremismo di destra“. Delusi i Verdi: il gruppo deciderà la linea lunedì prossimo, ma la delegazione italiana, che a luglio aveva sostenuto von der Leyen, ha dichiarato già il suo No. Il M5S con l’eurodeputata Valentina Palmisano ha definito “farsa” l’accordo tra i 3 gruppi e ha denunciato la “virata a destra della Commissione europea“. Congratulazioni a Fitto sono arrivate dall’eurodeputato Salvatore De Meo di Forza Italia, mentre il capo delegazione della Lega, Paolo Borchia, ha spiegato che il Carroccio voterà contro una Commissione “di qualità e competenze basse“. Ma ciò “non pone alcun problema” all’interno del governo italiano, anche se “c’erano i numeri per fare altre scelte“.

idrogeno

Report authority Ue: “Produzione idrogeno verde lontana da obiettivi europei al 2030”

Il mercato dell’idrogeno verde in Europa sta iniziando a prendere forma, sostenuto da strategie ambiziose a livello dell’Unione Europea e politiche nazionali. Tuttavia, nonostante i progressi significativi, permangono sfide per raggiungere gli obiettivi. E’ quanto emerge dal report di Acer, l’autorità di regolamentazione dell’energia dell’Unione europea. La Ue si è posta come obiettivo strategico di arrivare a consumare 20 milioni di tonnellate (Mt) di idrogeno rinnovabile entro il 2030. Tuttavia, il consumo attuale si attesta a 7,2 Mt, con il 99,7% dell’idrogeno ancora derivante da fonti fossili. La produzione tramite elettrolisi però è ancora marginale, pari a circa 22 kilotonnellate (kt). Anche se gli obiettivi europei in ambito energetico e di decarbonizzazione sono molto chiari, l’adozione di idrogeno rinnovabile da parte di settori come il trasporto e l’industria è lenta, rendendo difficile il raggiungimento del target per il 2030.

Attualmente, l’Europa conta su una capacità installata di elettrolizzatori di poco più di 200 MW. Tuttavia, progetti in costruzione porteranno una capacità aggiuntiva di 1,8 GW entro il 2026, e altri 60 GW di capacità sono stati annunciati, con inizio operazioni previsto entro il 2030, ma molti di questi sono in attesa di decisioni finali sugli investimenti. Sebbene gli strumenti di finanziamento stiano diventando sempre più accessibili, l’incertezza sulla domanda e sulle previsioni di costi dell’idrogeno rappresentano ancora rischi significativi per la loro realizzazione tempestiva.

Gli Stati stanno fissando i propri obiettivi di produzione di idrogeno, capacità degli elettrolizzatori e piani di espansione delle infrastrutture, concentrandosi principalmente sull’idrogeno rinnovabile. Certo è che i livelli di ambizione variano da paese a paese, portando a piani di sviluppo disomogenei. Questa frammentazione si riflette anche negli approcci regolatori: nessun Paese ha ancora integrato nel proprio ordinamento nazionale il pacchetto di decarbonizzazione del gas e dell’idrogeno recentemente pubblicato dall’Ue, sebbene ad esempio Danimarca e Germania abbiano avviato consultazioni su pianificazione delle reti e tariffe di accesso.

Uno degli ostacoli principali alla crescita dell’idrogeno rinnovabile è il suo costo. Attualmente, l’idrogeno prodotto tramite elettrolisi costa da due a tre volte di più rispetto a quello prodotto dal gas naturale. Ma la prima asta della Banca Europea dell’Idrogeno – sottolinea Acer – ha rivelato sviluppi promettenti, con alcuni acquirenti disposti a pagare prezzi vicini ai costi dell’idrogeno rinnovabile, anche sotto i 3 euro/kg. Questo dimostra che ci potrebbero essere riduzioni dei costi in futuro. Tuttavia, l’attuale gap di costo pone rischi per i primi investitori, causando ritardi nelle decisioni e nella presa di impegni a lungo termine.

Un elemento chiave per il successo del mercato dell’idrogeno sarà lo sviluppo di infrastrutture che colleghino i siti di produzione con i centri di domanda, anche se molte delle attuali pianificazioni delle reti si basano su proiezioni di domanda future, anziché su esigenze di mercato immediate, il che potrebbe portare a un sovradimensionamento delle infrastrutture e a un loro scarso utilizzo. E poi, conclude Acer, per raggiungere l’obiettivo di produzione di 10 Mt di idrogeno rinnovabile, l’Europa dovrà fare affidamento su quasi tre quarti dell’elettricità rinnovabile attualmente prodotta nell’Ue. Una necessità che comporterà investimenti significativi nelle infrastrutture di idrogeno ed elettricità per connettere gli elettrolizzatori con i siti di produzione di energia rinnovabile.

Lite Meloni-Schlein su Fitto. La dem: “Stallo creato da Vdl e Ppe, allargano a destra”

Non si placa lo scontro a distanza tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Questa volta, il terreno è quello europeo e la posta in gioco è alta per tutti. La vicepresidenza della commissione europea di Raffaele Fitto è in stallo e la premier non accetta che il Paese non sia compatto nel supporto alla causa.

Non posso che augurarmi il massimo sostegno da parte del Sistema Italia, forze politiche comprese, alla conferma della vicepresidenza esecutiva della prossima Commissione per il Commissario italiano Raffaele Fitto”, mette in chiaro Meloni. Il ruolo di vicepresidente, ricorda, consentirà al ministro italiano, già dotato di un portafoglio “significativo” alla coesione e alle riforme, di “supervisionare altre politiche settoriali come quella dei trasporti, affidata al commissario greco Tzitzikostas”. A lui spetterà, tra l’altro, la redazione di un nuovo piano europeo per il settore caldissimo dell’automotive, che sta facendo tremare le vene ai polsi dell’intero Continente. La premier ce l’ha in particolare, con la segretaria dei Dem. Dal palco della chiusura della campagna elettorale del centrodestra per le Regionali in Umbria, la presidente del Consiglio si dice “basita”: “Da giorni chiedo alla segretaria del Partito Democratico quale sia la posizione ufficiale del Pd” su Fitto “e non riesco ad avere una risposta”, denuncia. “Non deve rispondere a me ma ai cittadini italiani, le persone serie fanno così”, ribadisce, invitando Schlein ad assumersi la “responsabilità delle proprie scelte.

Sorrido”, risponde la democratica oggi proprio da Perugia, perché, sostiene “questa cosa chiarisce molto bene chi è la presidente del Consiglio”. Racconta di aver telefonato lei alla premier per chiederle “perché è da una settimana che mi attribuisce cose che non ho mai fatto e che non ho mai detto” e di non aver ricevuto risposta. “Mi attribuisce cortei a cui non ho partecipato, assessorati regionali che non ho mai avuto, e posizioni su Fitto che non ho mai assunto”, assicura. Poi chiarisce la posizione del Pd su Fitto: “Non abbiamo mai messo in discussione un portafoglio di peso per l’Italia in quanto Paese fondatore”, chiosa. Lo stallo politico, secondo Schlein l’hanno creato i Popolari che in Parlamento stanno cercando di allargare “strutturalmente” la maggioranza alla destra nazionalista. Fa nomi e cognomi: il problema l’hanno creato “Manfred Weber e Ursula von der Leyen“. Si rivolge proprio alla presidente della Commissione europea, esortandola a “sbloccare questa situazione”. Perché, spiega, “Il problema non è mai stato Fitto e le sue deleghe, questo non l’abbiamo mai detto. Il nodo politico è l’allargamento della maggioranza a destra diversamente da chi ha votato von der Leyen a luglio“.

Intanto, il commissario uscente all’Economia, Paolo Gentiloni, ricorda a tutti che “il mondo non aspetta la Commissione europea” e che difficoltà e problemi vanno superati il prima possibile. Si dice convinto che ci siano le condizioni perché il nuovo esecutivo entri in funzione “come necessario” il primo dicembre. Le sfide sono tante: “Tutti siamo convinti che nel contesto che si è creato anche dopo le elezioni americane avere una Europa unita e salda sia importante e per questo mi auguro che non ci siano ritardi”, sostiene.

Dalla missione di Monaco di Baviera, il vicepremier e vicepresidente del partito Popolare europeo, Antonio Tajani, tratta con il capogruppo del Ppe Manfred Weber e “gli amici della Csu”, l’Unione Cristiano Sociale. “Di fronte alle sfide da affrontare, da migrazioni a competitività, occorre lavorare per soluzioni”, commenta il ministro degli Esteri italiano, ribadendo che è “necessario approvare la nuova Commissione nei tempi previsti”. I leader Ue avranno modo di cercare una soluzione vis-à-vis nei prossimi giorni, ospiti del G20 di Rio de Janeiro, in Brasile, il 18 e 19 novembre.

Ue, il Parlamento europeo rinvia la legge sulla deforestazione: maggioranza Ursula in crisi

Cade la ‘maggioranza Ursula’, si conferma quella ‘Venezuela’, e si compattano gli schieramenti delle forze politiche italiane: da un lato Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia; dall’altro Partito democratico, Alleanza Verdi-Sinistra, Movimento 5 Stelle. Il tema è il regolamento Ue sulla deforestazione importata, uno dei testi più importanti del Green deal, già approvato e in vigore. Ora il rinvio di un anno dell’attuazione di questa legge, proposto dalla Commissione europea, e gli emendamenti al testo – avanzati a sorpresa dal Partito popolare europeo al Parlamento e passati col sostegno dell’estrema destra – sembrano tracciare uno spartiacque dei due blocchi politici, ma anche delle due legislature targate von der Leyen: se la prima ha cercato di portare sul tavolo la questione ambientale, la seconda si preannuncia quella del freno, o addirittura della retromarcia. E, alla fine, la partita di oggi l’hanno vinta il Ppe e le forze di estrema destra dell’Aula, “dimostrando ancora una volta – come ha commentato la Lega – non solo che un’altra maggioranza è possibile: è già realtà”. La ‘maggioranza Venezuela’, come è stata ribattezzata dal voto di settembre sulla condanna al regime di Maduro che ha sancito l’esistenza di una maggioranza alternativa a destra.

Secondo il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, il rinvio “rappresenta una grande vittoria per l’Italia che, insieme a molti altri Governi di matrice politica diversa, aveva proposto di rinviarne l’applicazione poiché avrebbe causato effetti devastanti sulla produzione e trasformazione agricola”. Per Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo (Ecr), “si è raggiunto il giusto compromesso tra tutela della natura e sostenibilità economica e sociale”. Di “doppia vittoria del Ppe e di Forza Italia”, parla Flavio Tosi, europarlamentare di Forza Italia-Ppe: “Giusto proteggere l’ambiente, ma la transizione verde deve avvenire nei tempi giusti e non deve danneggiare le nostre aziende”, evidenzia.

Secondo la delegazione del Pd a Bruxelles, invece, “il Ppe ha deciso di stracciare gli accordi con la maggioranza europeista” e “questa volta a farne le spese è l’ambiente, protetto dal regolamento deforestazione che mira a garantire la produzione di una serie di beni chiave immessi sul mercato dell’Ue non contribuisca più alla deforestazione e al degrado forestale nell’Ue e nel resto del mondo”. Il M5S, con Valentina Palmisano, lega il voto di oggi agli eventi estremi. “Il mondo è flagellato da eventi climatici estremi come alluvioni, bombe d’acqua e siccità che causano morte e distruzione ma la priorità della destra è quella di annacquare la legge europea che lotta contro la deforestazione approvata nella scorsa legislatura”, sottolinea. Mentre i Verdi chiedono a von der Leyen “di ritirare la proposta di rinvio”, così da “evitare una completa violazione della legge e ulteriore incertezza per le aziende”.

Alla fine, il rinvio è stato approvato con 371 voti favorevoli, 240 contrari e 30 astenuti. A dire ‘no’ sono stati socialisti, verdi e sinistra, con la stessa compattezza con cui i popolari e l’estrema destra hanno sostenuto il testo. Si sono spaccati i liberali: 20 no, 24 astensioni e 29 sì. Una delle modifiche più rilevanti introdotte è la creazione di una quarta categoria di Paesi: a fianco a quelli a basso, medio e alto rischio, arrivano gli Stati “senza rischio”, quelli da cui poter continuare a importare prodotti senza nuovi obblighi. E ad approvarla è stata la stessa formazione: Ppe, Ecr, Patrioti (PfE) e Sovranisti (Esn).

Ue, Pd avverte von der Leyen su Fitto: “Ci ascolti o rischia”. Meloni: “Questa è la sinistra”

Si scrive Europa, si legge Italia. Nuovo capitolo dello scontro, tutto interno alla politica di casa nostra, sulla vicepresidenza esecutiva della nuova Commissione Ue affidata a Raffaele Fitto. Dopo i colloqui di rito a Bruxelles il voto è slittato, ma i segnali che arrivano dal gruppo dei socialisti democratici non lasciano dormire sonni tranquilli né al quasi ex ministro del Sud e Pnrr, né alla premier, Giorgia Meloni, che stavolta fa sentire la sua voce, per rispondere alle prese di posizione degli europarlamentari dem.

Ne fa una questione politica Brando Benifei, che lancia messaggi alla presidente von der Leyen: “Ursula ci ascolti o in aula rischia“. L’esponente dem riconosce a Fitto di essere “serio, rispetta i patti, ci si può discutere. Ma è un democristiano che ora ha mostrato un volto molto diverso“. Dunque, “sono sicuro che una maggioranza netta di nostri europarlamentari sia contraria al riconoscimento politico di Fitto come vicepresidente esecutivo“, avverte. Eloquente anche un altro pezzo da novanta della squadra Pd a Bruxelles, Dario Nardella. Dice che Fitto non ha deluso “soprattutto sul fronte degli impegni che ha assunto“, ma il problema è quello “dell’assetto politico della Commissione, che ha un asse molto spostato sulle posizioni conservatrici“. Anche l’ex sindaco di Firenze manda un messaggio a von der Leyen: “Sta giocando con il fuoco, se i nodi non vengono sciolti ne trarremo le conseguenze anche sul voto finale del collegio“.

Tanto basta a Meloni per capire che aria tira e tirare fuori il cellulare per twittare: “Signore e signori, ecco a voi la posizione del gruppo dei socialisti europei, nel quale la delegazione più numerosa è quella del Pd di Elly Schlein: a Raffaele Fitto, commissario italiano, va tolta la vicepresidenza della Commissione che la presidente von der Leyen ha deciso di affidare“, scrive su X, il social network dell’amico Elon Musk. “L’Italia, secondo loro – aggiunge la presidente del Consiglio -, non merita di avere una vicepresidenza della Commissione. Questi sono i vostri rappresentanti di sinistra“, la chiosa.

Il dibattito politico, poi, alimenta la spaccatura, con Fratelli d’Italia che mette nel mirino i dem: “Posizione contraria a Fitto ingiustificabile” per il Marco Scurria, “atteggiamento davvero di cattivo gusto del Pd che vota contro la vicepresidenza esecutiva di Fitto“, secondo il vicepresidente vicario FdI a Palazzo Madama, Raffaele Speranzon. Toni meno accesi ma comunque in linea con il centrodestra da Forza Italia. “Le riserve che alcuni partiti politici della sinistra europea e italiana hanno posto nei confronti di Fitto sono veramente strumentali“, dichiara Salvatore De Meo. Mentre capodelegazione di Forza Italia al Parlamento europeo, Fulvio Martusciello, rassicura l’alleato: “Fitto non deve temere, è sotto l’ombrello dei popolari e di Tajani“.

Diametralmente opposto il parere delle opposizioni italiane. “Comunque vada, sarà sempre un insuccesso” secondo il vicepresidente dei Cinquestelle, Mario Turco. Guarda oltre la vice capo delegazione del Pd a Bruxelles, Alessandra Moretti: “Il problema per noi non è certo Fitto commissario, ma lo spostamento a destra della prossima Commissione europea. Non accettiamo che l’Europa sia guidata dalle forze politiche che vogliono il fallimento del progetto degli Stati Uniti d’Europa“. La strada per Ursula von der Leyen, insomma, torna nuovamente in salita.

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Ue, Parlamento rinvia decisione su Fitto: più tempo per squadra vicepresidenti Commissione

Doveva essere il grande martedì che chiudeva i giochi sulla composizione della Commissione europea. Invece, alla fine, la decisione sui 6 vice presidenti esecutivi designati verrà presa nei prossimi giorni – non si sa quando, potrebbe slittare alla prossima settimana – e sarà figlia di una valutazione complessiva dei candidati, come se fossero parte di un solo ‘pacchetto’ di persone.
Tradotto significa che i gruppi politici disporranno sul tavolo i sei nomi e su di loro cercheranno di trovare una quadra che vada bene a tutti, con reciproche garanzie. In particolare, sull’italiano Raffaele Fitto, dei Conservatori e riformisti europei, audito in commissione Sviluppo regionale del Parlamento, e sulla spagnola Teresa Ribera, socialista.

La presidente del gruppo S&D al Parlamento europeo, Iratxe Garcia Perez, spagnola anche lei, ha specificato ieri che “non si possono mettere Fitto e Ribera sullo stesso piano” perché Ribera rientra nell’accordo tra le forze europeiste (Ppe, S&D, Renew Europe), mentre Fitto è il candidato di una famiglia politica e di un governo sovranisti. “Dall’inizio della legislatura, il Ppe si è sempre accordato con le forze europeiste, con S&D e con i liberali. Ciò che non è accettabile è che ora mettano Fitto sullo stesso piano di Ribera. Ribera è un socialista e l’accordo tra socialisti e popolari deve essere rispettato“, ha scandito. Non ci sta la premier italiana, Giorgia Meloni, che sui social accusa i dem di assumere un atteggiamento “inconcepibile“, chiedendo di togliere al commissario italiano designato la vicepresidenza esecutiva della Commissione Europea. Si rivolge direttamente ad Elly Schlein: “Vorrei sapere dalla Segretaria del PD se questa è la sua posizione ufficiale, sottrarre all’Italia una posizione apicale per impedirle di avere una maggiore influenza anche su settori chiave come agricoltura, pesca, turismo, trasporti e infrastrutture strategiche. Possibile che preferisca mettere il proprio partito davanti all’interesse collettivo?“, chiede.

Molto duri contro il ministro italiano anche i Verdi. I co-presidenti Bas Eickhout e Terry Reintke hanno commentato che “Fitto ha dimostrato più volte, attraverso la sua affiliazione politica di estrema destra, di non sostenere questi valori (dell’Ue, ndr) e di non avere a cuore l’interesse dell’Unione europea e dei suoi cittadini. Ciò lo rende inadatto a rappresentare la Commissione in un ruolo così importante come quello di vicepresidente esecutivo“. Non solo: “Qualsiasi tentativo da parte del Ppe di ritardare le conferme di commissari designati qualificati come Teresa Ribera e Stéphane Séjourné come ritorsione per Fitto significherà che il Ppe sarà responsabile di ritardare la conferma del collegio nel suo complesso, solo per confermare un candidato di estrema destra”. E chiamano a raccolta – i Verdi – “la parte democratica” del Parlamento che “deve essere unita contro la normalizzazione dell’estrema destra”.

In audizione Fitto ha ribadito i motivi per cui si ritiene una figura credibile e affidabile: la rappresentanza degli interessi dell’Ue e non quelli di un partito o di un Paese; l’impegno assunto con l’Europa; il dialogo con tutti e la collegialità delle scelte dell’esecutivo Ue; l’aderenza alle linee guida della presidente von der Leyen e al principio dello Stato di diritto. Un’audizione che ha descritto il futuro lavoro per una nuova politica di Coesione, “più flessibile e meno onerosa”, a misura di Pmi; per “una governance multi-livello” delle politiche di coesione, rafforzando “le relazioni tra governi centrali e locali”; contro lo spopolamento; all’ascolto delle Regioni periferiche e delle isole e in rispetto delle direttrici del Green deal, seppur con “la necessaria flessibilità“.
E, alla fine, l’appello al rendere prioritari gli obiettivi generali. “Nonostante le differenze politiche, 5 anni fa io ho votato a favore di Elisa Ferreira perché era prevalente l’aspetto istituzionale“, ha affermato. “Dobbiamo avere la capacità tutti insieme di mettere davanti gli interessi di carattere generale che mai come in questo momento vengono prima di qualsiasi altra cosa“, ha precisato. A quanto pare, però, serve altro tempo per avere la fotografia completa del prossimo esecutivo Ue.

A Baku si apre la Cop29: finanza climatica focus della Conferenza. Assenti von der Leyen e Macron

Defezioni, ong sul piede di guerra, accuse di corruzione e, nemmeno troppo sullo sfondo, due conflitti, quello in Ucraina e quello in Medioriente. Senza dimenticare che il 2024 è già l’anno più caldo della storia e che con l’elezione di Donald Trump gli Stati Uniti potrebbero nuovamente abbandonare gli accordi internazionali sul clima. Parte sottotono, ma con un’agenda fitta, la Cop29, che si apre lunedì 11 novembre a Baku (Azerbaigian) e si chiuderà il 22.

La Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici chiama a raccolta 197 Paesi più l’Unione europea e punta su due pilastri paralleli, cioè l’ambizione e l’azione, con l’obiettivo di ottenere riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni per mantenere le temperature sotto controllo e rimanere al di sotto della soglia di 1,5°C, così come previsto dall’Accordo di Parigi. In mezzo ci sono le politiche climatiche nazionali, il tema energetico – in particolare legato ai combustibili fossili e al ‘phasing out’- e quello della finanza, che con molta probabilità sarà il nodo cruciale del vertice. E, ancora, agricoltura, salute, industria, biodiversità, oceani.

IL PROGRAMMA DELLA CONFERENZA. La cerimonia ufficiale di apertura della Cop29 si terrà l’11 novembre, mentre martedì 12 si svolgerà il Vertice dei leader mondiali sull’azione per il clima. Il giorno successivo, il 13, sarà dedicato al tema della finanza, degli investimenti e del commercio e venerdì 14 a quello dell’energia, della pace, della ripresa e della resilienza. Sabato 16, invece, saranno la scienza, la tecnologia, l’innovazione e la digitalizzazione il focus dei colloqui, a cui seguiranno, lunedì 17, i temi del capitale umano, dei bambini e giovani, della salute e dell’istruzione. Cibo, agricoltura e acqua domineranno i dialoghi di martedì 19 e, il giorno successivo, cioè mercoledì 20, il tema sarà quello dell’urbanizzazione, del turismo e dei trasporti. Infine, giovedì 21 il tema principale sarà quello della biodiversità, delle popolazioni indigene, degli oceani e zone costiere. La Conferenza si chiuderà il 22 e, almeno sulla carta, dovrà portare alla conferma degli obiettivi energetici globali concordati lo scorso anno a Dubai per abbandonare i combustibili fossili, triplicare gli investimenti nelle rinnovabili e raddoppiare le misure di efficienza energetica entro il 2030.

FINANZA CLIMATICA AL CENTRO. Ma non solo. La parola chiave sarà NCQG, cioè ‘Nuovo Obiettivo Quantificato Collettivo’ che sostituirà quello adottato nel 2009 e raggiunto nel 2022, che chiedeva ai Paesi ricchi di fornire 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo a limitare le emissioni di gas serra e ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Questa cifra comprende finanziamenti pubblici bilaterali e multilaterali, crediti all’esportazione e finanziamenti privati. In sostanza, quindi, si tratterà di mettere sul piatto più risorse, molte più risorse e i negoziati si concentreranno sullo sblocco dei trilioni di dollari necessari ai Paesi in via di sviluppo per affrontare la crisi climatica. Quanto uscirà dalle tasche dei Paesi più ricchi sarà il vero banco di prova della Cop.

I GRANDI ASSENTI. Nonostante la posta in gioco sia altissima, a pochi giorni dall’apertura le annunciate defezioni stanno già facendo sentire il loro peso. Non saranno a Baku il presidente francese, Emmanuel Macron, e quello brasiliano Lula, così come il cancelliere tedesco Olaf Scholz, impegnato a gestire la crisi di governo e, ovviamente, il presidente russo Vladimir Putin. Ma, soprattutto, non parteciperà la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, “impegnata – fanno sapere da Bruxelles – nella fase di transizione tra l’uscente e l’entrante esecutivo Ue”. Un’assenza, la sua, che da più parti viene vista come il tentativo di tirare il freno a mano sulle politiche climatiche e ambientali del Vecchio continente e, più in generale, sulle ambizioni del Green Deal.

LA DELEGAZIONE EUROPEA. Della delegazione Ue, invece, faranno parte il commissario per l’azione per il clima Wopke Hoekstra, la commissaria per l’Energia, Kadri Simson, (14 e 15 novembre) e quella per per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Iliana Ivanova (12 novembre). Il primo ministro britannico Keir Starmer e lo spagnolo Pedro Sánchez, invece, dovrebbero partecipare al vertice dei leader del 12-13 novembre, così come la premier Giorgia Meloni, il cui intervento dovrebbe svolgersi mercoledì 13.

LA DELEGAZIONE ITALIANA. La delegazione italiana sarà guidata dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin e il padiglione del nostro Paese ospiterà decine di eventi organizzati dai ministeri (oltre al Mase ci sarà anche quello degli Esteri), da Ice, enti e istituzioni di ricerca, associazioni di categoria, fondazioni, ong e imprese.

Usa 2024, Meloni sente Musk: “Amico Elon risorsa importante”. Ma aleggia spettro dazi

Il giorno dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane, Giorgia Meloni sente anche “l‘amico Elon Musk” che, dopo essere stato cruciale in campagna elettorale, nell’amministrazione del tycoon dovrebbe ricoprire un ruolo di primo piano. “Sono convinta che il suo impegno e la sua visione potranno rappresentare un’importante risorsa per gli Stati Uniti e per l’Italia, in uno spirito di collaborazione volto ad affrontare le sfide future“, scrive la premier su X, il social del patron di Tesla. La frase fa da commento a una foto in cui i due sorridono e si abbracciano, in una delle visite di Musk a Palazzo Chigi.

Occhi puntati sui dazi ai prodotti italiani per il vicepremier Antonio Tajani, che continua a dirsi sicuro dell’amicizia con gli Stati Uniti: “Il governo italiano e la nuova amministrazione americana sapranno lavorare insieme per proteggere i nostri popoli“, scandisce sulle colonne del Corriere della Sera, mentre è impegnato nel viaggio in Cina con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
La partnership tra i due Paesi non cambieranno, garantisce, perché “i rapporti fra Stati Uniti e Italia sono talmente profondi, complessi e importanti che nulla potrebbe indebolirli“. Trump però, ammette il vicepremier, ha vinto la sua sfida con messaggi che “promettono un cambiamento radicale“.

L’incubo dei dazi aleggia, perché con questi l’imprenditore vorrebbe ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti con l’estero, alzandoli del 10% o addirittura del 20. Con la Cina si è parlato anche di dazi del 60% su tutti i loro prodotti. Ma anche per Paesi europei esportatori netti (Germania, Francia, Italia, Olanda) la nuova amministrazione vorrebbe queste penalizzazioni. “Dovremo evitare uno scontro“, chiosa il ministro degli Esteri, che punta al dialogo, perché l’interscambio Ue-Usa nel 2023 ha sfiorato gli 850 miliardi di euro, con un saldo commerciale a favore dell’Europa di 156 miliardi di euro.

La sola Italia ha avuto nel 2023 un saldo positivo di 40 miliardi di euro: “L’export è la vita stessa dell’Italia – ricorda Tajani -. Trump ha sempre dimostrato di guardare con occhio attento all’Italia, già in passato ha fatto scelte diverse per noi rispetto ad altri Paesi“.

L’elezione di Trump è una sfida di “alto profilo” per quanto riguarda la politica industriale e commerciale per l’Europa, fa eco il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, perché prevede “accentuerà quello che ha già fatto Biden nei confronti della Cina“. Se Biden ha aumentato i dazi alle auto elettriche cinesi al 100%, osserva Urso “verosimilmente questo accadrà sempre più in altri settori“, costringendo nel contempo l’Europa a riesaminare da subito la sua politica industriale e commerciale “come a nostro avviso deve fare”.

Da Pechino arriva l’invito di Xi Jinping alla collaborazione e al “rispetto reciproco” e quello, ancora più esplicito, della portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning: “Come questione di principio – avverte -, vorrei ribadire che non ci sarebbero vincitori in una guerra commerciale, che non sarebbe nemmeno positiva per il mondo”.

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Agricoltura, petizione sigle ambientaliste a Ue: in 260mila per ridurre pesticidi

Dare priorità alla riduzione di pesticidi. E’ quanto chiedono 260mila europei che, in meno di tre mesi, hanno firmato una petizione indirizzata alla Commissione europea. La domanda, presentata in occasione delle audizioni dei commissari europei designati nelle commissioni parlamentari, è stata condotta dalle piattaforme di attivisti ambientali Ekō e WeMove, in collaborazione con Pesticide Action Network Europe (Pan Europe). “Il sostegno riflette la richiesta pubblica di un’azione decisa per fermare l’uso di pesticidi nocivi e promuovere pratiche agricole sostenibili. I cittadini esprimono regolarmente la loro preoccupazione per l’impatto dei pesticidi sulla salute pubblica e sull’ambiente attraverso petizioni, iniziative dei cittadini europei o Eurobarometri“, ha precisato Natalija Svrtan per Pan Europe.

Secondo le organizzazioni, la Commissione europea ha eluso la questione della riduzione dei pesticidi nelle sue recenti comunicazioni e il tema non è stato incluso nelle lettere di missione ai commissari designati. In questo contesto, chiedono tre elementi principali. “La reintroduzione della riduzione dei pesticidi nella politica dell’Ue“. In particolare, la petizione chiede alla Commissione di garantire che la riduzione dei pesticidi sia nuovamente presente “in modo prominente nei testi e nelle strategie legislative europee“. La seconda richiesta è di “rinnovare obiettivi ambiziosi per sistemi di produzione alimentare sostenibili: i firmatari sottolineano la necessità di rinnovare l’impegno verso obiettivi ambiziosi, in particolare nella promozione di sistemi alimentari sostenibili e nella protezione della salute ambientale“. Terzo, “la protezione della salute pubblica e dell’ambiente: le organizzazioni pubbliche e della società civile chiedono normative più severe per proteggere la salute umana, la biodiversità e l’integrità degli ecosistemi in tutto il continente“. Infine, la petizione, “riflettendo la diffusa insoddisfazione pubblica per l’attuale corso delle politiche agricole e ambientali“, invita l’esecutivo Ue entrante ad allineare i suoi piani futuri alle esigenze delle persone e del pianeta, dando priorità a pratiche agricole sostenibili che riducano la dipendenza da pesticidi nocivi.

Invitiamo i politici dell’Ue ad agire rapidamente per ridurre il cocktail tossico di pesticidi. Gli agricoltori, le loro famiglie e i loro vicini sono le prime vittime. Può causare tumori e disturbi neurologici e danneggiare lo sviluppo dei bambini. Porta anche alla perdita di biodiversità, al degrado del suolo e alla contaminazione delle fonti d’acqua“, evidenzia Svrtan.  Secondo Nabil Berbour, direttore della campagna di Ekō, la petizione presentata “dimostra che i cittadini europei vogliono vedere i problemi dei pesticidi in cima alle agende dei politici” e dunque “invitiamo la Commissione a intensificare il Green deal europeo e le sue strategie per ridurre il consumo di pesticidi“. Mentre Aleksandra Zielińska, attivista senior di WeMove Europe, sottolinea che “i cittadini di tutta Europa si uniscono per chiedere un sistema alimentare più sano e sostenibile” e con la petizione mandano “un chiaro messaggio ai decisori politici: è tempo di fare un passo verso un’Europa libera dai pesticidi“.