Meloni si schiera: su critiche a Ue ha ragione Vance. E Salvini vara missione in Usa

In uno dei momenti più tesi tra le due sponde dell’Atlantico, Giorgia Meloni rilascia la sua prima intervista a una testata straniera, il Financial Times, e si schiera. Non apertamente, ma confessa di condividere l’attacco del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance all’Unione, per aver abbandonato il suo impegno a favore della libertà di parola e della democrazia: “Lo dico da anni, l’Europa si è un po’ persa“, commenta.

Torna a difendere, tra gli ultimi in Ue, Donald Trump. Le critiche del tycoon al vecchio continente non sono rivolte al popolo, spiega, ma alla sua “classe dirigente e all’idea che invece di leggere la realtà e trovare il modo di dare risposte alle persone, si possa imporre la propria ideologia alle persone“. L’Italia, per la presidente del Consiglio, non deve essere obbligata a “scegliere” tra Stati Uniti ed Europa, sarebbe “infantile” e “superficiale“. Non solo Trump non è un avversario, chiosa, ma è il “primo alleato” dell’Italia.

Mentre la Commissione europea si prepara a reagire ai dazi imposti dal presidente americano, Meloni invita l’unione alla calma. “A volte ho l’impressione che rispondiamo semplicemente d’istinto. Su questi argomenti devi dire, ‘State calmi, ragazzi. Pensiamoci’“, spiega, ricordando che “ci sono grandi differenze sui singoli beni” e chiedendo di “lavorare per trovare una buona soluzione comune“.

Tra Trump che lavora per la pace e l’asse Macron-Von der Leyen che parlano di guerra e armi, non abbiamo dubbi da che parte stare“, le fa eco Matteo Salvini, che torna però a ‘scavalcare’ presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, annunciando una missione con le imprese italiane per rafforzare la partnership con gli Stati Uniti, “come da dialogo con J.D. Vance“, che gli è già costato un round di scontri con Antonio Tajani.

Il chiarimento tra i tre, Meloni-Tajani e Salvini, si è rotto dopo 48 ore”, osserva il leader di Avs, Angelo Bonelli: “Salvini scommette sull’esenzione dai dazi per l’Italia da parte di Trump e su questo vuole arrivare prima della Meloni per commissariare Tajani“, afferma, denunciando di aver “venduto la dignità del popolo italiano e quindi europeo a chi ci ha definiti parassiti. È un governo in cui ognuno va per conto proprio“.

Per il Partito democratico, la presidente del Consiglio ha la “sindrome di Stoccolma“: “Sembra prigioniera, incapace di distinguere tra chi attacca e chi si difende”, scrive il capogruppo democratico nella commissione Bilancio della Camera, Ubaldo Pagano. “Ha scelto di indossare il cappellino Maga, ammainando di fatto da palazzo Chigi la bandiera italiana e quella europea“, denuncia la segretaria Elly Schlein. E’ agli italiani, sostiene Schlein, che Giorgia Meloni “dovrà spiegare perché ha scelto Trump come ‘primo alleato’, quando il prossimo 2 aprile entreranno in vigore i dazi Usa del 25% sulle nostre merci, sulle nostre eccellenze, che pagheranno le imprese, i lavoratori e le famiglie italiane. Giorgia Meloni vada dire a loro ‘state calmi, ragazzi, ragioniamoci‘”.

Meloni “doveva e poteva diventare la Merkel europea, trasformandosi in leader conservatrice moderna, ma rompe con l’Europa sul tema fondamentale della difesa europea e si ritrova ad essere una modesta Orban al femminile“, scrive sui social il vicepresidente di Italia Viva Enrico Borghi. A questo punto, insiste, “va detto con chiarezza che l’Italia non può sottrarsi da una iniziativa europea nel campo della sicurezza, della pace e della stabilità internazionale“.

Pesca a strascico dannosa non solo per l’ambiente: 11 mld di costi economici in Ue

La pesca a strascico, una tecnica di pesca contestata per il suo impatto ecologico distruttivo, rappresenta anche un costo economico elevato che potrebbe raggiungere fino a 11 miliardi di euro all’anno in Europa.

Per stabilire questa valutazione, alcuni ricercatori hanno esaminato e stimato i costi e i ricavi associati a questa pratica, che consiste nel trascinare reti zavorrate per raschiare il fondale marino, nelle acque europee, tenendo conto dei 27 Stati membri dell’Unione Europea, dell’Islanda, della Norvegia e del Regno Unito.

Lo studio è stato citato in un comunicato stampa del programma Pristine Seas, un programma di protezione degli oceani della ONG National Geographic Society che unisce ricerca, esplorazione e produzione di documentar Nella loro modellizzazione sono state prese in considerazione stime relative ai profitti dei pescatori, ai posti di lavoro creati, al valore del pesce consumato, al costo delle catture accidentali rigettate in mare, ma anche all’entità degli aiuti pubblici e al costo delle emissioni di CO2, legate sia al carburante consumato sia al rilascio del carbonio contenuto nei sedimenti marini. Risultato: nelle acque europee, per il periodo 2016-2021, il valore netto medio della pesca a strascico è negativo, con un costo che va da 330 milioni di euro a 10,77 miliardi di euro.

La pesca a strascico, anch’essa dannosa per la biodiversità, “non è solo un’aberrazione ambientale, ma anche un fallimento economico“, osserva Enric Sala, uno degli autori di questo studio. Interrompere l’uso di questa forma di pesca potrebbe quindi tradursi in un notevole beneficio economico netto, osservano gli autori dello studio.

“Vietare la pesca a strascico nelle aree marine protette porterebbe benefici alla fauna marina, al clima e persino all’industria della pesca stessa”, afferma Enric Sala. L’Unione Europea prevede di eliminare gradualmente la pesca a strascico in acque profonde nelle aree marine protette entro il 2030, ma le ONG ambientaliste chiedono che questa pratica venga vietata immediatamente.

De Lotto (Cese): Blue Deal straordinaria opportunità per le imprese

Il Blue Deal proposto dal Comitato Economico e Sociale Europeo (Cese) può essere una straordinaria opportunità per le imprese. Lo sostiene Pietro De Lotto, consigliere del Cese e a partire da ottobre presidente della sezione Ten (Trasporti, energia, infrastrutture e società dell’informazione) del Comitato, in un’intervista a GEA, aggiungendo che la Commissione non si può limitare a trattare il tema come una sola questione ambientale.

Consigliere De Lotto, come ritiene vada trattato il tema dell’acqua?

“Per il Cese il Blue Deal è stato un risultato eclatante, anche se siamo all’inizio di una maratona. Per noi il tema dell’acqua, che sappiamo tutti essere argomento del futuro, non va affrontato in un modo penalizzante e negativo, come per esempio è percepito oggi il Green Deal. Serve una politica orizzontale, che tocchi tutti gli aspetti: a partire dalla promozione delle prassi e delle tecnologie che hanno lo scopo di salvaguardare una risorsa scarsa e non sostituibile. Questo significa anche promuovere una filiera industriale europea, quella delle clean technologies, di cui siamo leader del mondo”.

Come ritiene si stia muovendo la Commissione?

“La Commissione sta facendo un ottimo lavoro sul tema della qualità dell’acqua, ma non ha competenze su quello della quantità, che da trattato è competenza degli Stati membri. Un mese dopo il nostro appello, la presidente von der Leyen ha lanciato la Water Resilience Strategy. Inoltre per la prima volta, come abbiamo chiesto insieme al Parlamento europeo e al Comitato delle Regioni, abbiamo una commissaria per l’acqua (la svedese Jessika Roswall, ndr)”.

Cosa invece continuate a chiedere?

“La grande carenza è che l’acqua viene vista da un punto di vista squisitamente ambientale. Capisco che la Commissione ce l’abbia come perno, ma non è sufficiente. È infatti solo una delle questioni: abbiamo 10 milioni di europei che non hanno accesso all’acqua pulita, quindi c’è un tema di infrastrutture, di governance e di planning. Per questo motivo abbiamo lanciato l’idea di avere un ‘Blue transition fund’: uno strumento attorno a cui mobilitare capitali privati e pubblici. Ad oggi infatti non esiste un singolo entry point per conoscere quanti investimenti vengono fatti con fondi europei sul tema della risorsa idrica. Abbiamo poi chiesto a tutti i Paesi di avere una strategia nazionale di medio-lungo termine per l’acqua, ma sono pochissimi i Paesi che ce l’hanno non parcellizzata tra i vari aspetti. Altrettanto pochi sono quelli che hanno un vero coordinamento tra le varie autorità del settore”.

Qual è il vostro obiettivo principale?

“L’attuale situazione può essere una straordinaria opportunità di opportunità per le imprese. Abbiamo bisogno di un approccio positivo che possa convincere il mondo dell’agricoltura (che consuma circa il 60% dell’acqua in Europa) e dell’industria (circa il 30%). Noi non intendiamo perdere nessun singolo agricoltore e non vogliamo assistere a nessun tipo di delocalizzazione, perché un approccio penalizzante su questo tema potrebbe spingere le imprese a spostarsi verso zone in cui la risorsa è più disponibile. Si tratta anche una questione di autonomia strategica”.

Quali sono i Paesi più a rischio?

I Paesi coinvolti non sono più solo quelli del Mediterraneo. Il tema dell’acqua è sentito in modo crescente in Polonia, in larghe parti della Francia, in Olanda, in Ungheria, addirittura in Austria. Tuttavia esso non è legato alla siccità o alla scarsità. Serve un approccio strutturale, non caratterizzato dall’emergenza”.

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Meloni cambia cliché: meno passionaria e più ‘istituzionale’ per mettere insieme Ue e Trump

Nel suo passaggio al Senato dopo due mesi e rotti di silenzio, in attesa di presentarsi alla Camera, Giorgia Meloni ha in qualche modo cambiato il suo cliché. Non ha usato toni perentori, non ha quasi mai alzato la voce, è stata molto dialogante, si è prodigata per far capire “ai colleghi” che sbarcherà a Bruxelles per trovare un punto di caduta che non trasformi gli Stati Uniti in nemici e non riduca l’Europa a una comparsa. Il feeling con Trump e i buoni rapporti con von der Leyen, lei nel mezzo la ‘semplificatrice’ di una situazione complessa e delicassima.

Insomma, una premier assolutamente ‘istituzionale’, che non ha parlato solo di Ucraina (Non è immaginabile costruire garanzie di sicurezza efficaci e durature dividendo l’Europa e gli Usa. E’ giusto che l’Europa si attrezzi per svolgere la propria parte, ma è folle pensare che oggi possa fare da sola senza la Nato”) e di Difesa (L’Italia non intende distogliere un solo euro dal fondo di Coesione, spero che almeno su questo saremo tutti d’accordo) ma ha cominciato dalla competitività (“Non è una parola astratta”) per lanciarsi sulla desertificazione industriale, per planare successivamente sulla decarbonizzazione (che deve essere sostenibile per imprese e cittadini), per sfiorare il costo fuori controllo dell’energia elettrica fino ad atterrare sui dazi (ai quali non bisogna rispondere con altri dazi, serve reciproco rispetto) e sull’Europa che a rischio di regole e regolamenti rischia di non farcela. Argomenti prevedibili, così come i contenuti.

Meloni ha espresso le posizioni del suo governo mentre Ursula von der Leyen raccontava in Danimarca come la sua Ue debba attrezzarsi per non finire schiacciata stile sandwich da Stati Uniti e Russia e poco dopo che Mario Draghi, sempre in Senato, aveva toccato gli stessi temi con l’autorevolezza che lo accompagnala. In sintesi, l’ex presidente del Consiglio ha detto che la Difesa comune è un passaggio obbligato, che gli 800 miliardi previsti per riarmare l’Europa non basteranno, che il Rapporto sulla competitività non è obsoleto e va attuato con urgenza, che la questione energetica è prioritaria, dal disaccoppiamento di gas fino al costo delle bollette. In fondo, si finisce per andare sbattere sempre lì e da lì bisogna trovare la migliore via d’uscita.

La premier non ha cercato una sponda in Senato, questo no, ma è stata abbastanza accondiscendente quando ha sostenuto che l’etichetta di Rearm al piano di von der Leyen è inaccettabile e dunque va cambiata perché è necessaria la Difesa comune ma “senza tagliare sanità e sociale”. Un refrain già sentito su un’altra sponda.

Energia, Pichetto a Consiglio Ue: “Servono misure urgenti per ridurre costi”

I prezzi alti e la sicurezza dell’approvvigionamento sono stati i temi in cima all’agenda del Consiglio dell’Energia dell’Unione europea che si è svolto lunedì a Bruxelles. Per i ministri dei Ventisette Paesi Ue è stata la prima occasione per confrontarsi sul Piano d’azione per l’energia a prezzi accessibili presentato dalla Commissione europea lo scorso 26 febbraio insieme al Clean Industrial Deal. Due testi che hanno riscontrato il favore del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, sebbene con alcune sottolineature. “Gli alti prezzi dell’energia sono per noi la priorità” e “guardiamo con preoccupazione ai differenziali di prezzo con altri Paesi dell’Unione europea e della stessa Unione rispetto ai Paesi terzi e agli effetti che essi hanno sulla competitività delle nostre imprese, sui nostri cittadini e famiglie”, ha detto Pichetto nel dibattito in sala ai suoi colleghi europei. “Le misure del Clean Industrial Deal e dell’Action Plan for Affordable Energy sono positive, ma risultano nel medio e nel lungo periodo. Servono interventi in grado di abbassare i prezzi nel breve periodo”, ha osservato.

Su questo piano, “l’Italia è pronta a dare il proprio contributo” e ha già qualche idea. Ad esempio, “riteniamo importante agire tempestivamente nel negoziato sulla proposta dei revisione del regolamento stoccaggi”. Si tratta, cioè, del regolamento che è stato adottato nel 2022 e terminerà al 31 dicembre di quest’anno e che prevede che almeno il 90% delle capacità di stoccaggio sotterraneo del gas nel territorio degli Stati membri venga raggiunto entro il primo novembre di ogni anno. Nella proposta di revisione, l’Italia chiede di “introdurre maggiore flessibilità nell’attuazione degli obblighi di riempimento” degli stoccaggi “ed evitare speculazioni che hanno generato alti valori dello spread tra i prezzi invernali e di prezzi estivi”. Inoltre, l’Italia sostiene “con forza l’obiettivo affermato dalla Commissione di favorire il decoupling dei prezzi dell’energia elettrica dal mercato del gas naturale attraverso la diffusione dei contratti a lungo termine, Ppa e i contatti per differenza. Ma anche questi non sono immediati”, ha sottolineato Pichetto.

Rispetto alla sicurezza dell’approvvigionamento, per il ministro “il mutato e incerto contesto geopolitico, con i flussi di gas che oggi in Europa si dirigono da ovest verso est e non più nel senso opposto, ci impone di rivedere l’attuale dimensione regionale della sicurezza e garantire un adeguato livello di preparazione al rischio in caso di interruzione delle forniture di gas”. Per Pichetto, “sarebbe auspicabile la riduzione dell’onere amministrativo per gli Stati membri in termini di obblighi di rendicontazione e risultati, sia per il settore elettrico che per il settore del gas”. Più in generale, poi, a emergere è “l’opportunità di affrontare un tema di grande interesse come la revisione dell’architettura della sicurezza energetica dell’Ue” e qui, secondo Pichetto, “sarebbe opportuno lavorare su una revisione congiunta di entrambi i Regolamenti, sia del settore del gas che del settore elettrico, anche allo scopo di prevenire la mancanza di coordinamento in caso di necessità”. Infine, una “particolare attenzione” devono avere i rischi di sicurezza informatica associati all’ulteriore digitalizzazione delle reti e delle infrastrutture energetiche, mentre sulla sicurezza delle infrastrutture energetiche critiche europee per Pichetto “il ruolo dell’Ue nel coordinamento delle azioni necessarie in caso di incidenti o sabotaggi costituirebbe senz’altro un valore aggiunto”.

Trump minaccia l’Europa: “Dazi del 200% su alcolici e vino”. Ue: “Al via negoziati”

“Siamo stati derubati per anni e ora smetteremo di esserlo. No, non mi piegherò affatto, né sull’alluminio, né sull’acciaio, né sulle auto”. E, forse, nemmeno sul vino e sui superalcolici europei. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, annuncia che sui dazi non farà marcia indietro e torna a minacciare il Vecchio Continente, all’indomani dell’entrata in vigore delle imposte del 25% su acciaio e alluminio, a cui l’Ue ha risposto con ulteriori tasse su alcuni prodotti statunitensi. Insomma, giorno dopo giorno l’asticella è sempre più alta.

L’ultima minaccia, in ordine di tempo, è relativa a una tariffa del 200% “su tutti i vini, champagne, e prodotti alcolici in produzione in Francia e in altri Paesi dell’Ue”, ha annunciato Trump. La ‘colpa’ dell’Europa – “una delle autorità fiscali e tariffarie più ostili e abusive al mondo” – è quella di aver introdotto una tassa “sgradevole” del 50% sul whisky Usa. Un’imposta che, “se non verrà rimossa immediatamente” farà scattare la rappresaglia statunitense.

“Non cederemo alle minacce e proteggeremo sempre le nostre industrie”, ha affermato il ministro del Commercio estero francese, Laurent Saint-Martin, deplorando la “prepotenza” di Trump nella “guerra commerciale che ha scelto di scatenare”.

E da Città del Capo, in Sudafrica, dove si trova in visita istituzionale, è arrivata la replica della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Non ci piacciono i dazi – ha detto – perché pensiamo che siano tasse e che siano un male per gli affari e per i consumatori. Abbiamo sempre detto che allo stesso tempo difenderemo i nostri interessi, lo abbiamo stabilito e dimostrato. Ma allo stesso tempo voglio anche sottolineare che siamo aperti ai negoziati”. Venerdì, infatti, il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič, “avrà una telefonata” con la sua controparte negli Stati Uniti “esattamente su questo tema”.

Intanto, lato italiano, una delegazione tecnica, in stretto collegamento con la Commissione europea, è al lavoro a Washington sul tema dei dazi. Il 21 marzo, ha ricordato il vicepremier Antonio Tajani “presenteremo a Roma le idee del governo per sostenere le imprese sul piano del commercio internazionale, visto che siamo la quarta potenza commerciale mondiale”. Per tutte le associazioni di categoria, i dazi al 200% su vino e alcolici metterebbero a rischio un export del settore pari a quasi 2 miliardi – circa 4,9 miliardi in Europa – ma l’invito è alla prudenza. Confagricoltura auspica che la mossa di Trump sia “una provocazione”, mentre per Cia-Agricoltori Italiani si rischia “un salto nel buio”.

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L’Ue risponde agli Usa: dazi sui prodotti per 26 miliardi. Trump: “Vinceremo noi”

Bruxelles risponde di primo mattino a Washington. Nel giorno di entrata in vigore dei dazi Usa del 25% su acciaio e alluminio, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, annuncia “misure pesanti ma proporzionate”. Da oggi rientrano non solo in vigore le tariffe imposte dalla prima amministrazione Trump nel 2018, su diversi tipi di prodotti semilavorati e finiti, come tubi in acciaio, filo metallico e fogli di stagno, ma anche su altri prodotti derivati come articoli per la casa, pentole o infissi e diversi macchinari, alcuni elettrodomestici o mobili. Interesseranno un totale di 26 miliardi di euro delle esportazioni europee, circa il 5% del totale dell’export Ue negli Usa.

La Commissione Ue, intanto, calcola che gli importatori americani pagheranno fino a 6 miliardi di euro la mossa di Trump. E per fonti Ue, i dazi Usa “non sono intelligenti” perché “danneggeranno davvero la loro economia”.

Due gli elementi di risposta, duque: la reimposizione delle misure di riequilibrio del 2018 e del 2020 – che erano state sospese fino al 31 marzo prossimo e che ora rientreranno automaticamente in vigore dal primo aprile – e un nuovo pacchetto di misure aggiuntive che colpiranno circa 18 miliardi di euro di beni e che saranno poi applicate con le misure reimposte dal 2018. Per il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, però, “non basta difendersi sul piano commerciale, occorre una nuova politica industriale che restituisca competitività alle nostre imprese. Occorre agire, non solo reagire”. Per definire i prodotti del nuovo pacchetto, la Commissione ha avviato oggi le consultazioni di due settimane con le parti interessate dell’Ue.

Si mira a beni industriali e agricoli: da quelli in acciaio e alluminio ai tessili, dalla pelletteria agli elettrodomestici, dagli utensili per la casa alle materie plastiche e i prodotti in legno; dal pollame al manzo, da alcuni frutti di mare alle noci, dalle uova ai latticini, dallo zucchero alle verdure. Come spiegato da fonti Ue, la Commissione sta “cercando di colpire gli Stati Uniti in settori importanti per loro – ma che non costeranno tanto all’Ue” – e in particolare i beni rilevanti per gli Stati a maggioranza repubblicana. I Paesi Ue saranno invitati, poi, ad approvare le misure proposte prima della loro adozione e partenza previste per metà aprile. Ma se Bruxelles, da un lato, restituisce il favore all’alleato d’oltreoceano, allo stesso tempo prova a tenere aperto il dialogo. Precisa che “le misure possono essere revocate in ogni momento qualora si trovi una soluzione” e von der Leyen conferma al commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, l’incarico di “riprendere i colloqui” e aggiunge: “Rimarremo sempre aperti al negoziato”. Stesso messaggio del presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, secondo cui si deve “evitare un’escalation” e la situazione richiede “dialogo e negoziazione“. Non la pensa allo stesso modo Washington, secondo cui l’Ue è “fuori contatto con la realtà” e le sue “azioni punitive non tengono conto degli imperativi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti e internazionale”. Non solo. In un incontro con il premier irlandese, Micheal Martin, Donald Trump dichiara: “Vinceremo noi questa battaglia finanziaria”. Lo scorso 10 febbraio, Washington aveva annunciato l’aumento dei dazi sulle importazioni di acciaio, alluminio e prodotti derivati dall’Ue. Da quel giorno, è partito il dialogo tra le due parti che ha visto anche Sefcovic volare negli Usa per provare a “evitare il dolore inutile” della guerra commerciale. Ma, proprio lunedì scorso, Sefcovic aveva annunciato che l’amministrazione Usa “non sembra impegnata a trovare un accordo” con l’Ue.

Italia apre a riarmo Ue, ma senza toccare fondi Coesione e con contabilizzazione Nato

Il bilancio del Consiglio Ue straordinario non è né buono né cattivo, ma interlocutorio per l’Italia. Al tavolo di Bruxelles la premier, Giorgia Meloni, porta una posizione di apertura ma allo stesso tempo fissa alcuni paletti. Innanzitutto il nome, che a Roma proprio non è piaciuto: Rearm Europe, ritenuto infelice. Alla vigilia del vertice il vicepremier, Antonio Tajani, suggeriva invece ‘Piano per la sicurezza dell’Europa’.

Anche sulla sostanza l’Italia ha da ridire, non tanto per il concetto di alzare le difese del continente, quanto per il perimetro in cui attualmente la Commissione vorrebbe delimitare l’operatività. In poche parole, a Palazzo Chigi accoglierebbero con ben altro spirito l’iniziativa se oltre alla questione del riarmo si aprissero gli orizzonti anche a sfide globali come quelle della cybersicurezza e della difesa delle infrastrutture strategiche, puntando molte fiches sulla ricerca e lo sviluppo. In questo modo – è il ragionamento – lo scudo dell’Europa sarebbe più ampio e, di conseguenza, più efficace.

Dal vertice emergono anche novità sostanziali di grande interesse per il nostro Paese, come l’esclusione delle spese di difesa dai fattori che concorrono al computo del rapporto deficit/Pil. Ma non solo, perché l’Italia è favorevole alla proposta avanzata dalla Germania, arrivando a una revisione organica del Patto di stabilità che comprenda più materie, come la competitività. Che in una fase storica come questa, con la Spada di Damocle dei dazi in arrivo dagli Stati Uniti e la corsa delle industrie cinesi e indiane può rivelarsi una mossa necessaria (oltre che vincente) per il sistema economico europeo.

C’è, però, un nodo da sciogliere e riguarda i fondi di coesione che Bruxelles vorrebbe spostare in parte sul riarmo. Scelta che non convince il governo italiano, in buona compagnia con altri partner Ue. Meloni si è comunque battuta sul principio di volontarietà, in considerazione del fatto che alcuni Stati membri si trovano al confine con la federazione russa, dunque è plausibile che considerino una priorità l’acquisto di nuove armi, a differenza del nostro Paese.

Il punto, però, apre una nuova crepa nel dibattito politico interno con le opposizioni. Elly Schlein, infatti, attacca definendo “un errore madornale e inaccettabile, prendere i fondi per la coesione sociale e dirottarli sulle spese militari. Questo vorrebbe dire lasciare indietro tutte quelle priorità che erano intrecciate nel Next generation Eu”. Ma la segretaria del Pd ci tiene a chiarire: “Noi siamo favorevoli a una difesa comune, siamo contrari al riarmo dei 27 Stati membri. Sono due cose diverse”. Posizione condivisa anche da altre forze di opposizione, da Avs al M5S.

Ma anche nella maggioranza ci sono divisioni sul tema, con la Lega che non nasconde affatto la contrarietà al piano. Critiche mosse non solo da Matteo Salvini, ma anche dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha definito il piano Rearm Europe “frettoloso e senza logica”. Opinione che cozza con quella del vicepremier, Antonio Tajani: “Penso, invece, sia un buon piano, che dovremmo applicare, vedere, studiare. Io lo sostengo. Come sostengo che non bisogna utilizzare i fondi di Coesione”.

Sul punto è intervenuto anche il vicepresidente della Commissione Ue, Raffaele Fitto: “Gli Stati membri possono cogliere l’occasione dei fondi della politica di coesione per la difesa, su questo è logico avere un approccio equilibrato”, dice a margine di un incontro a Roma con l’Anci, spiegando che questa potrebbe essere un’occasione per i Paesi del nord-est europeo. Al Consiglio straordinario dell’Ue, infine, il governo italiano sottolinea l’importanza che il totale fondi previsti venga destinato a spese per la difesa ammissibili in ambito Nato. L’Italia, infatti, è al lavoro su una proposta che consenta di ottenere un meccanismo automatico grazie al quale gli investimenti sulla difesa europea possano essere contabilizzati in ambito delle Nazioni Unite con una rendicontazione obiettiva, omogenea e trasparente.

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Difesa, il piano di Macron: Proteggere l’Ue sotto lo scudo nucleare francese

Emmanuel Macron vuole “aprire la discussione strategica” sulla protezione dell’Europa con il nucleare francese, in un momento di riavvicinamento tra Mosca e Washington, specificando tuttavia che la decisione di premere il pulsante rimarrebbe “nelle mani” del presidente francese.

Rispondendo alla storica richiesta del futuro cancelliere tedesco (Friedrich Merz), ho deciso di aprire il dibattito strategico sulla protezione dei nostri alleati del continente europeo attraverso la nostra deterrenza”, ha dichiarato il capo dello Stato francese in un discorso televisivo. Tuttavia, “qualunque cosa accada, la decisione è sempre stata e rimarrà nelle mani del presidente della Repubblica, capo delle forze armate”, ha precisato, rispondendo alle critiche di alcuni politici francesi dell’opposizione.

Macron è intervenuto mentre la nuova amministrazione Trump fa temere un disimpegno degli Stati Uniti in Ucraina e una rottura storica della loro alleanza con gli europei.
La minaccia russa è reale e colpisce i paesi europei, colpisce noi”, ha sottolineato il capo dello Stato, ricordando che la Russia ‘ha già trasformato il conflitto ucraino in un conflitto mondiale’, ‘viola i nostri confini per assassinare gli oppositori, manipola le elezioni in Romania e in Moldavia’ e ‘tenta di manipolare le nostre opinioni con bugie diffuse sui social network’. Per Emmanuel Macron, “questa aggressività non sembra conoscere confini” e di fronte a questa situazione, “rimanere spettatori sarebbe una follia”. Secondo lui, “rimaniamo fedeli alla NATO e alla nostra partnership con gli Stati Uniti ma dobbiamo fare di più. Il futuro dell’Europa non deve essere deciso a Washington o a Mosca”.

Tutte queste questioni promettono di essere al centro di un vertice straordinario dell’Unione europea, oggi a Bruxelles, che mira, secondo la presidenza francese, a dimostrare che i Ventisette stanno “accelerando” in questo settore. Subito dopo il suo discorso, Emmanuel Macron ha ricevuto a cena il primo ministro ungherese Viktor Orban, sostenitore di Donald Trump e Vladimir Putin, e una delle voci più discordanti nell’UE.

Secondo Macron, al termine del vertice di oggi “i Paesi membri potranno aumentare le spese militari senza che questo venga considerato nel loro deficit. Verranno decise massicce sovvenzioni comuni per acquistare e produrre sul suolo europeo munizioni, carri armati, armi e attrezzature tra le più innovative”.
Lo scenario di una deterrenza europea si scontra con numerosi ostacoli, tra cui l’autonomia decisionale rivendicata da Parigi. Fin dall’inizio, la dissuasione francese si basa infatti sulla valutazione di una minaccia ai vitali interessi del paese da parte di un solo uomo, il presidente della Repubblica.

Evocando inoltre l’altro tema scottante delle relazioni tra Stati Uniti ed Europa, il presidente francese ha ritenuto necessario preparare l’Europa “a una decisione degli Stati Uniti di imporre tariffe doganali sulle merci europee”, come hanno appena confermato nei confronti di Canada e Messico. “Questa decisione, incomprensibile sia per l’economia americana che per la nostra, avrà conseguenze su alcuni dei nostri settori“, ha avvertito. “Mentre prepariamo la risposta con i nostri colleghi europei, continueremo a fare tutto il possibile per convincere che questa decisione sarebbe dannosa per tutti noi”.

Difesa e Ucraina: Al Consiglio europeo straordinario anche Zelensky

Difesa europea – alla luce di ReArm europe, il Piano di riarmo lanciato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen – e sostegno all’Ucraina. I Ventisette leader dell’Unione europea, tra capi di Stato e di governo, si riuniscono a Bruxelles in un Consiglio europeo straordinario per affrontare quello che il presidente Antonio Costa ha definito “un momento cruciale” sia per Kiev, invasa tre anni fa dalla Russia, e per sicurezza del Vecchio continente così come conosciuta per decenni.

La riunione, a cui parteciperà anche il presidente Volodymyr Zelenskyy, inizierà alle 12.30 con gli scambi di opinioni con la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Per quanto riguarda la difesa europea, il mio obiettivo è dare seguito al nostro incontro informale del 3 febbraio nell’ottica di prendere le prime decisioni a breve termine, affinché l’Europa diventi più sovrana, più capace e meglio attrezzata per affrontare le sfide immediate e future alla sua sicurezza”, ha scritto il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, nella sua lettera di invito ai leader. In questo contesto, von der Leyen ha presentato ieri il suo piano per il riarmo dell’Europa incentrato su cinque elementi: sospensione delle regole nazionali del Patto di stabilità per le spese in difesa, debito comune Ue fino a un massimo di 150 miliardi di euro, fondi di coesione, sostegno della Banca europea degli Investimenti e capitali privati.

Per quanto riguarda l’Ucraina, il presidente Costa mette nero su bianco nella sua lettera che “si riscontra un nuovo slancio che dovrebbe portare a una pace globale, giusta e duratura“. Ed “è quindi importante che procediamo a uno scambio in merito alle modalità con cui sostenere ulteriormente l’Ucraina e ai principi che dovrebbero essere rispettati da qui in avanti”. In questo contesto, l’Ue e i suoi Stati membri sono pronti “ad assumersi maggiore responsabilità” per la sicurezza dell’Europa. “Dovremmo pertanto essere preparati a un possibile contributo europeo alle garanzie di sicurezza che saranno necessarie per assicurare una pace duratura in Ucraina”, ha aggiunto Costa.

Da un lato, come spiega una fonte Ue, “è fondamentale mantenere l’unità non solo europea ma del campo occidentale” ed “è illusorio” pensare di “poter trovare soluzioni senza la partecipazione degli Stati Uniti” o che gli “Stati membri siano in grado di stare sul terreno da soli”. Inoltre, quasi tutti sembrano concordi sul principio di un cessate il fuoco incardinato in un processo che porti a una pace. Ma, dall’altro lato, sulle garanzie di sicurezza e sul rafforzamento delle forze armate che Kiev chiede, ci sono i veti dei primi ministri ungherese Viktor Orban e slovacco Robert Fico. “Se non si arriva a conclusioni, non sappiamo cosa succede perché non abbiamo mai parlato di piani B”, ha aggiunto la fonte Ue. Ma il presidente “Costa è ottimista di potercela fare”, ha evidenziato.

Dall’inizio dell’aggressione militare della Russia, l’Ue e i Ventisette hanno fornito quasi 135 miliardi di euro a sostegno del Paese aggredito e della sua popolazione, compresi 48,7 miliardi di euro per le forze armate ucraine. L’Ue ha inoltre adottato sanzioni nei confronti della Russia: le ultime sanzioni, del 24 febbraio 2025, colpiscono settori dell’economia come quello bancario, la flotta ombra del presidente Vladimir Putin e i beni e le tecnologie nei settori industriale ed energetico.