Roma e Bruxelles tentano di schivare maxi-dazio Usa su pasta. Opposizioni all’attacco

La guerra dei dazi con gli Stati Uniti è tutt’altro che scongiurata. Da Oltreoceano arriva la minaccia contro il più italiano dei prodotti più esportati nel mondo: la pasta. Il Dipartimento del Commercio americano accusa i produttori italiani di dumping e minaccia una tariffa del 91,74%, in aggiunta al 15% già in vigore, facendo salire la tariffa complessiva sulla pasta a quasi il 107%.

Il nuovo maxi-dazio potrebbe scattare da gennaio 2026. Contro questo rischio, la Commissione europea, lavora in coordinamento con il governo italiano all’indagine antidumping di Washington e, garantisce il portavoce della Commissione europea per il Commercio, Olof Gill, “interverrà se necessario”. La proposta americana parte da un’indagine del Dipartimento del Commercio di Washington, dopo una revisione richiesta da alcune aziende concorrenti negli Stati Uniti, che coinvolge La Molisana e Garofalo. Le autorità Usa hanno determinato in via preliminare i margini di dumping medi ponderati stimati per il periodo dall’1 luglio 2023 al 30 giugno 2024 del 91,74% sia per La Molisana Spa che per il Pastificio Lucio Garofalo Spa. L’ad della Molisana, Giuseppe Ferro, sembrava aver aperto questa mattina alla possibilità che il pastificio fosse pronto ad aprire uno stabilimento di produzione negli Stati Uniti. La notizia viene poi smentita dalla stessa azienda poche ore dopo, aggiungendo che è intenzione dell’azienda “proseguire l’iter legale così come intrapreso”.

Intanto, dalle opposizioni parte l’attacco all’esecutivo. “È evidente l’obiettivo di Trump di spingere alla delocalizzazione le nostre produzioni“, rileva la segretaria del Pd, Elly Schlein, che grida all’impoverimento industriale per l’Italia e taccia Giorgia Meloni di “finto patriottismo”: “Anziché difendere gli interessi industriali e occupazionali italiani preferisce difendere le sue amicizie politiche e ideologiche. E dopo aver minimizzato e sottovalutato per mesi gli effetti dei dazi americani il governo Meloni ad oggi non ha ancora proposto alcuna misura per sostenere la domanda interna e le imprese. Si diano una mossa“, tuona la dem.

Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte si rivolge direttamente ai cittadini, sui social: “Avete visto almeno un euro dei 25 miliardi di aiuti promessi dalla presidente del Consiglio ad aprile? Per ora abbiamo notizia solo di oltre 20 miliardi di aumenti in 3 anni per armi e difesa”, denuncia, accusando Palazzo Chigi di aver lasciato le imprese vessate dalla trattativa con Trump da sole. Il pentastellato propone di “prendere soldi da extraprofitti energetici e delle banche, dalle risorse concentrate sulla folle corsa al riarmo per metterli sulle emergenze di lavoratori con stipendi da fame e imprese che escono da 30 mesi di crollo della produzione industriale su 33 di Governo”.

Oggi, per l’esponente di Alleanza Verdi Sinistra Angelo Bonelli,assistiamo ai risultati dell’amicizia del Governo Meloni con gli Usa”. L’ecologista parla di una politica “totalmente asservita a Washington, che non difende gli interessi delle imprese italiane ma li sacrifica per compiacere i suoi alleati d’oltreoceano”. Dov’è Giorgia Meloni “che si era fatta pontiera nei suoi viaggi a Washington?”, domanda. “Ha capito che per essere più forte negli scenari che contano deve essere con Trump. Forte con i deboli e debole con i forti”.

A Chicago per il Vinitaly.Usa, Francesco Lollobrigida fa il punto sulla tutela dell’export con l’ambasciatore Marco Peronaci, assicurando che i dossier legati alla presunta azione anti dumping sono seguiti con attenzione. Farebbero comunque scattare, per il ministro dell’Agricoltura, un meccanismo “iper protezionista del quale non vediamo né la necessità né alcuna giustificazione”. Il Governo i diplomatici italiani lavorano per affrontare questo e altri dossier (vino, pecorino romano, olio extravergine) utili a garantire rapporti commerciali “floridi e sempre più proficui”, commenta.

I super-dazi sulla pasta italiana sono “ingiusti, con una forzatura strumentale che in questo caso è data proprio dall’entità del dazio che si vuole applicare”, commenta con GEA Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia. Secondo il manager “il comportamento omissivo va prima di tutto dimostrato”. E su questo, comunque, le aziende coinvolte hanno “già dichiarato di aver fornito la documentazione che smentisce” il dumping. E poi “non sono state interpellate tutte le aziende. E’ evidente quindi che la questione sia strumentale”. Scordamaglia si dice comunque “fiducioso”. La decisione definitiva non è stata presa, le aziende hanno ancora 120 giorni di tempo per presentare ufficialmente la loro difesa. In questo periodo, prevede l’ad di Filiera Italia, “la pronta reazione del governo, del ministero degli Esteri, dell’Agricoltura, dell’ambasciata a Washington e le documentazioni che saranno presentate porteranno a cancellare il dazio, o di portarlo come è stato in passato in situazioni analoghe al 4-5%”.

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L’Ue avverte l’Italia: “Fare di più per contrastare cambiamento climatico e povertà energetica”

Positivi l’agricoltura biologica, la crescita delle fonti rinnovabili, la riduzione delle emissioni a gas serra. Problematici la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche, l’adattamento ai cambiamenti climatici e la povertà energetica. E’ la fotografia dell’Italia scattata dall’Agenzia europea dell’Ambiente (Aea) nel suo Rapporto sullo stato dell’ambiente.

“L’Italia sta compiendo passi significativi verso la sostenibilità, ma deve affrontare numerose sfide”, evidenzia. Più nel dettaglio, vanno bene “lo sviluppo dell’agricoltura biologica, la crescita delle fonti rinnovabili, che supera il traguardo 2020 e punta al 38,7% entro il 2030, e la riduzione delle emissioni di gas serra”, elenca il documento. “Ampia” è anche l’estensione delle aree protette, sebbene “per contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei sarà necessario compiere ulteriori passi avanti”.

Sul fronte dell’economia circolare, “l’Italia registra un tasso elevato di utilizzo dei materiali”, ma “occorre ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche, rafforzando il riciclo e il riutilizzo delle risorse già presenti sul territorio nazionale”. Dunque, per l’Agenzia, “restano aperte questioni importanti” per l’Italia che vanno “dalle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici alla gestione dei rifiuti, fino alle sfide socio-economiche legate al divario generazionale, alla scarsa mobilità sociale e alla diffusa povertà energetica”. In particolare, “le sfide ambientali si intrecciano con quelle sociali ed economiche, richiedendo un approccio integrato capace di coniugare tutela ambientale, innovazione e benessere collettivo”, precisa il report e, sotto questa luce, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è visto come “strumento decisivo per sostenere sostenibilità, innovazione e competitività”, mentre “la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, in coerenza con l’Agenda 2030, resta il quadro di riferimento per garantire politiche coerenti e di lungo periodo”.

Allargando lo sguardo, il report dell’Agenzia – il settimo quest’anno, dato che viene pubblicato ogni cinque anni a partire dal 1995 – descrive come “non buono” lo stato di salute dell’ambiente europeo perché “continua a subire degrado, sfruttamento eccessivo e perdita di biodiversità”. Non solo: le prospettive per la maggior parte delle tendenze ambientali sono “preoccupanti” e “comportano gravi rischi per la prosperità economica, la sicurezza e la qualità della vita in Europa”.

All’indice ci sono cambiamenti climatici e degrado ambientale che rappresentano una “minaccia diretta per la competitività dell’Europa”. Circa l’81% degli habitat protetti si trova in condizioni mediocri o pessime, dal 60 al 70% dei suoli è degradato e il 62% dei corpi idrici non è in buone condizioni ecologiche. Il cambiamento climatico sta aggravando la scarsità di risorse idriche e, sul fronte energetico, si registra l’impossibilità per il 19% degli europei di mantenere una temperatura confortevole nelle proprie case.

E mentre la frequenza delle ondate di calore estreme è in aumento, solo 21 dei 38 Paesi membri dell’Aea (i Ventisette Ue a cui si aggiungono Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Turchia, Svizzera e i 6 dei Balcani occidentali) dispongono di piani d’azione per la salute in caso di ondate di calore. Inoltre, gli eventi climatici e meteorologici estremi (ondate di calore, alluvioni, frane, incendi boschivi) hanno causato oltre 240 mila morti tra il 1980 e il 2023 nell’Ue, con perdite economiche medie annue che sono state 2,5 volte superiori tra il 2020 e il 2023 rispetto al periodo compreso tra il 2010 e il 2019.

Per queste ragioni, il Rapporto – che arriva in un momento in cui i Paesi Ue hanno approvato un compromesso minimo sulla riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2035 e non sono riusciti a raggiungere un accordo su sulla proposta della Commissione europea di ridurre le emissioni del 90% entro il 2040 rispetto al 1990 – esorta ad accelerare l’attuazione di politiche e azioni, per una sostenibilità a lungo termine, già concordate nell’ambito del Green deal europeo. Un invito subito rimarcato dalla vicepresidente esecutiva della Commissione europea per la Transizione, Teresa Ribera: “Ritardare o rinviare i nostri obiettivi climatici non farebbe altro che aumentare i costi, aumentare le disuguaglianze e indebolire la nostra resilienza. Proteggere la natura non è un costo ma un investimento, nella competitività, nella resilienza e nel benessere dei nostri cittadini”, ha affermato. Mentre per Leena Ylä-Mononen, direttrice esecutiva dell’Aea, “non possiamo permetterci di ridimensionare le nostre ambizioni in materia di clima, ambiente e sostenibilità”.

Mercato dell’auto europeo cresce ad agosto. Ma in Italia è a -2,7%

Le immatricolazioni di auto nuove nell’Ue hanno continuato a crescere in agosto (+5,3% su base annua), dopo un rimbalzo in luglio (+7,4%). Lo scorso mese sono stati venduti circa 678.000 veicoli, contro i circa 643.000 di agosto 2024. Il mercato dei 27 rimane tuttavia stagnante nei primi otto mesi dell’anno (-0,1%). Secondo i dati diffusi dall’Acea, l’associazione europea dei costruttori di automobili, nello stesso mese nell’Europa Occidentale (Ue + Efta + Regno Unito) sono state immatricolate 791.349 auto, in crescita del 4,7%% rispetto ad agosto 2024.

Nei Paesi Ue, le auto ibride rimangono le più popolari tra gli acquirenti, con il 34,7% delle immatricolazioni nel periodo da gennaio ad agosto. Le ibride ricaricabili hanno rappresentato l’8,8% del mercato. Benzina e diesel continuano a registrare un calo, rappresentando insieme il 37,5% del mercato, contro il 47,6% di agosto 2024.

Il numero di veicoli a benzina venduti in Europa tra gennaio e agosto è diminuito del 19,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. È in Francia che il calo è stato più marcato nei primi otto mesi del 2025, con un crollo del 33,5% delle vendite. Gli acquisti di auto diesel sono diminuiti del 25,7% nello stesso periodo.

La quota delle auto elettriche si è mantenuta al 15,8% del mercato nei primi otto mesi dell’anno, “un ritmo ancora inferiore a quello richiesto in questa fase della transizione”, mentre le vendite di questo tipo di motorizzazione in Europa dovrebbero raggiungere il 100% nel 2035. Le immatricolazioni di veicoli elettrici nell’Ue sono aumentate del 30,2% tra agosto 2024 e agosto 2025 e del 24,8% nei primi otto mesi dell’anno.

Ad agosto in Italia sono state immatricolate 3.298 auto elettriche a batteria, in aumento del 27,3% rispetto alle 2.590 immatricolate ad agosto 2024. Le ibride plug in vendute sono state 4.669, in crescita del 94,7% rispetto allo stesso mese dello scorso anno (erano 2.398). Crescono anche le ibride elettriche: nello scorso mese ne sono state immatricolate 30.415, registrando una crescita dell’8,9% rispetto ad agosto 2024 (erano 27.932). Calano, invece, le immatricolazioni di auto a benzina: sono state 16820, in calo del 13,9% rispetto al 2024 (erano 19.530). Cala del 40,2% anche il diesel: 5.634 auto registrate ad agosto, a fronte delle 9.416 dello stesso mese dello scorso anno. Complessivamente, nel nostro Paese, ad agosto sono state immatricolate 67.322 auto, in calo del 2,7% rispetto alle 69.160 registrate nello stesso mese dello scorso anno.

Per quanto riguarda i costruttori, le vendite di Stellantis (Peugeot, Citroën, Fiat, Jeep…) sono aumentate del 3,4% tra agosto 2024 e 2025. Le vendite dell’americana Tesla continuano a calare (-36,6% su base annua), mentre quelle della cinese Byd sono triplicate (+201,3% in un anno, +244% dall’inizio del 2025), anche se restano molto marginali (circa 9.000 veicoli venduti nell’Ue ad agosto).

Per Anfia, i dati di agosto parlano di un mercato “stagnante”. “L’Europa ha urgente bisogno di adottare una vera strategia di decarbonizzazione”, dice il presidente, Roberto Vavassori perché “l’immobilismo dell’Unione a fronte delle sfide dell’automotive rischia di causare danni irreversibili. Non possiamo più attendere: è necessario passare dalle parole ai fatti perché l’industria sta già pagando un prezzo altissimo – complessivamente, tra costruttori e componentisti, sono andati persi più di 100mila posti di lavoro”.

Russia, Meloni: “Calpesta statuto Onu”. Crosetto: “A provocazioni risposta ferma e razionale”

(Photo credit: Palazzo Chigi)

La pazienza nei confronti di Mosca si sta esaurendo anche per l’Italia, che continua a sostenere la linea del dialogo, ma lancia un messaggio chiaro: la risposta alle “provocazioni” sarà compatta e logica.

A tre anni e mezzo dall’inizio del conflitto, dal palco dell’assemblea generale dell’Onu, Giorgia Meloni chiede alle nazioni unite di “riflettere” sulle conseguenze dell’aggressione. La Federazione Russa, membro permanente del Consiglio di Sicurezza, ha “deliberatamente calpestato l’articolo 2 dello Statuto dell’Onu violando l’integrità e l’indipendenza politica di un altro stato sovrano con la volontà di annetterne il territorio e ancora oggi non si mostra disponibile ad accogliere seriamente alcun invito a sedersi al tavolo della pace“, denuncia. La premier italiana parla di una “ferita profonda inferta” dalla Russia al diritto internazionale che “ha scatenato effetti destabilizzanti molto oltre i confini nei quali si consuma quella guerra“. Il conflitto in Ucraina, insomma, osserva la presidente del Consiglio, “ha riacceso e fatto detonare diversi altri focolai di crisi, mentre le Nazioni Unite si sono ulteriormente disunite“.

Le ultime violazioni dello spazio aereo della Nato da parte di aerei e droni russi sono per Guido Crosetto un campanello d’allarme che “non si può ignorare. Il ministro della Difesa comunica al Parlamento sugli attacchi a danno della Global Sumud Flotilla, ma non può non toccare il tema Russia. Gli eventi in Polonia e in Estonia sono una “specie di test, una sorta di provocazione” che richiede, scandisce, una “risposta ferma, razionale e coordinata“.

L’Italia, ricorda il ministro della Difesa, sin dalle prime avvisaglie, ha messo schierato quattro F-35, la batteria di difesa aerea Samp-T (che sarà mantenuta più a lungo del previsto) e un aereo radar fondamentale per la sorveglianza e la difesa aerea. E’ presente nel Baltico dal 2017 con la missione in Lettonia per “rispondere con determinazione al mutamento della postura russa”, precisa Crosetto. Oggi Roma è tra i principali contributori sul fianco Est con oltre 2000 militari, mezzi terrestri impegnati nell’attività di Forward Land Forces, caccia, Eurofighter, veicoli di comando e controllo, sistemi radar e difesa una presenza che, rivendica il ministro, “testimonia la serietà del nostro impegno nell’alleanza atlantica”.

La postura è “ferma, ma non provocatoria“, spiega, proprio perché l’obiettivo è di far sì che la situazione “non degeneri”, evitando di “cadere nella provocazione”, perché un’escalation avrebbe “conseguenze negative per tutti“. La strada da seguire per il governo quindi non è quella della paura, ma della responsabilità: “Difendere la pace significa essere pronti a proteggerla e oggi più che mai dobbiamo dimostrare che l’Europa e la Nato sono uniti, vigili e determinati“.

Intanto, sul fronte interno, l’esecutivo lavora a un piano nazionale per la protezione delle infrastrutture strategiche con sistemi anti-droni, già attivi nell’aeroporto di Roma: “È una risposta necessaria a una minaccia che oggi può non più essere solo convenzionale, ma anche ibrida e tecnologica“, riferisce Crosetto. Che ribadisce: “L’Italia e l’Europa non sono pronte ad affrontare un conflitto su larga scala, ma sono pronte a fare qualunque cosa per evitare un conflitto”.

La competitività dell’Ue passa anche dal settore farmaceutico. Foti: “Ridurre burocrazia”

Un’industria che investe 37 miliardi all’anno in ricerca e sviluppo, che dà lavoro a 800 mila persone altamente qualificate e che rappresenta un valore aggiunto di oltre 100 miliardi sui mercati internazionali. Ma un settore ancora altamente frammentato e in cui le carenze rischiano di divenire strutturali. È il complesso stato dell’arte dell’industria farmaceutica europea fotografato oggi all’evento Connact Pharma dal titolo ‘Il rilancio della competitività europea attraverso il settore farmaceutico’. Il rilancio passa inevitabilmente dalle riforme in cantiere a Bruxelles, il pacchetto farmaceutico e la legge sui medicinali critici.

In apertura alla tavola rotonda, il direttore dell’ufficio del Parlamento europeo in Italia, Carlo Corazza, ha fissato l’obiettivo: “Dobbiamo rafforzare un settore che è assolutamente essenziale per la nostra autonomia strategica”. Per farlo, la Commissione europea ha messo sul tavolo già nell’aprile del 2023 un pacchetto di riforma della legislazione farmaceutica, pronto ora per approdare ai negoziati interistituzionali tra Consiglio dell’Ue ed Eurocamera. A corredo della riforma, questa primavera, il commissario per la Salute, Olivér Varhelyi, ha presentato una legge per assicurare ai Paesi membri l’approvvigionamento di farmaci essenziali.

In un videomessaggio, Varhelyi ha sottolineato alla platea che di fronte ci sono “enormi opportunità di porre l’Ue all’avanguardia nel mondo”. I segnali positivi non mancano: il surplus commerciale di prodotti medicinali e farmaceutici – ha sottolineato l’ungherese – “è passato da 157 miliardi nel 2023 a 194 miliardi nel 2024”. Secondo il commissario, il primo passo è la creazione di uno spazio europeo dei dati sanitari, “un sistema federato senza precedenti per l’uso di big data nella ricerca medica”.

Dopodiché, c’è bisogno di norme “moderne, flessibili e snelle”. La legislazione farmaceutica vigente, d’altronde, risale a più di vent’anni fa. Ora, le priorità sono “ridurre la burocrazia, accorciare i tempi di valutazione per l’autorizzazione di nuovi medicinali nel mercato, semplificare la struttura dell’agenzia Ue per i medicinali”. Ma soprattutto, rispondere alle preoccupanti carenze periodiche di medicinali che si verificano in alcuni Stati membri. Come certificato proprio ieri dalla Corte dei conti europea, secondo cui su farmaci e medicinali esistono ancora “troppe barriere alla libera circolazione”.

L’innovazione “deve raggiungere chi ne ha bisogno, indipendentemente da dove viva nell’Ue”, ha affermato Varhelyi, convinto che la riforma in cantiere “creerà le condizioni per un migliore accesso dei pazienti senza compromettere gli interessi delle aziende”. In particolare, il Critical Medicines Act prevede un nuovo regime per gli aiuti di Stato, un maggior supporto a progetti strategici e l’istituzione di appalti collaborativi transfrontalieri e partenariati internazionali.

Gli Stati membri hanno adottato la propria posizione sul pacchetto farmaceutico prima della pausa estiva, ed hanno iniziato le discussioni sulla legge sui medicinali critici. Sul primo, “l’Italia in stretto coordinamento con la Francia ha ribadito l’importanza di un giusto equilibrio tra accesso ai farmaci e sostegno all’innovazione”, ha spiegato Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei. Sul secondo, Roma ha evidenziato “l’impianto molto burocratico e non adeguato alla natura strategica del tema”.

Il ministro ha avvertito sul rischio di “indebolimento della proprietà intellettuale” insito alla riforma della legislazione europea, sottolineando che per l’Italia “la priorità è valorizzare i distretti produttivi nazionali e garantire il ruolo decisionale degli Stati membri nelle valutazioni della vulnerabilità della filiera”. Per rafforzare la capacità produttiva europea e scongiurare dipendenze da Paesi terzi, Foti suggerisce di puntare su “incentivi semplici, criteri di aggiudicazione degli appalti che non siano basati esclusivamente sul prezzo” e soprattutto sull’eliminazione di “duplicazioni di obblighi per i produttori”, una “follia che produce burocrazia su burocrazia del tutto inutile”.

“Senza soluzioni concrete per ricerca, produzione e accesso, l’autonomia strategica dell’Europa in materia di salute rischia di diventare una chimera. Servono urgentemente soluzioni per allineare le aspettative sul settore e riconoscere pienamente il valore dell’innovazione e della produzione a 360°” ha commentato Paolo Saccò, global public affairs del Gruppo Chiesi per le politiche interne. “Il settore farmaceutico europeo – ha detto Piero Rijli, corporate director regulatory affairs&market access del Gruppo Menariniè da sempre fondamentale per la salute dei cittadini, ma oggi rischia di vacillare. Senza interventi mirati, l’Europa rischia di diventare meno competitiva e sempre più dipendente dall’estero, anche per quei farmaci essenziali che dovrebbero essere la base della nostra autonomia strategica”.

India, Ue vuole relazioni più forti. Kallas: “Commercio, transizione e sicurezza al centro”

Prosperità e sostenibilità; tecnologia e innovazione; sicurezza e difesa; connettività e questioni globali; fattori abilitanti. Cinque aree di interesse comune nei rapporti tra Unione europea e India che Bruxelles intende approfondire lanciando, oggi, la proposta di una Nuova Agenda Strategica delle sue relazioni bilaterali con Nuova Delhi.

L’Ue e l’India insieme rappresentano il 25% della popolazione e del Pil mondiali. L’India è anche la più grande democrazia del mondo e la sua economia in più rapida crescita. Un rafforzamento delle relazioni tra Unione europea e India è fondamentale per rafforzare la sicurezza economica e diversificare le catene di approvvigionamento“, ha sottolineato in conferenza stampa l’Alta rappresentante per la Politica estera dell’UE, Kaja Kallas. E soddisfazione è stata espressa dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che ha sottolineato che “è giunto il momento di concentrarsi su partner affidabili e di raddoppiare i partenariati radicati in interessi condivisi e guidati da valori comuni“. Con la proposta odierna, l’Ue intende portare le relazioni “a un livello superiore”. Inoltre, “ci impegniamo a finalizzare il nostro accordo di libero scambio entro la fine dell’anno”, ha ribadito.

L’iniziativa di rafforzamento delle relazioni Ue-India era già stata annunciata da von der Leyen nelle sue linee guida per il mandato 2024-2029 e la comunicazione congiunta Commissione-Alta rappresentante di oggi “delinea le possibilità per una più stretta cooperazione in materia di commercio, tecnologia, sicurezza, difesa e clima, un accordo di libero scambio, un accordo sulla protezione degli investimenti e un accordo globale sul trasporto aereo possono essere i pilastri di questa partnership. Sicurezza e difesa sono un altro pilastro di questa partnership”, ha descritto Kallas. “Stiamo lavorando per un partenariato Ue-India in materia di sicurezza e difesa. Rafforzaremo la cooperazione, inclusa la sicurezza marittima, l’antiterrorismo e la difesa informatica. Stiamo anche negoziando un accordo per lo scambio di informazioni classificate e per approfondire i legami tra l’industria della difesa“, ha aggiunto. Per quanto riguarda i capitoli ‘prosperità e sostenibilità’ e ‘tecnologia e innovazione’, la comunicazione congiunta individua “un significativo potenziale inutilizzato” nel commercio e negli investimenti, delineando strategie per rafforzare i legami commerciali, in particolare finalizzando i negoziati in corso su un accordo di libero scambio (ALS).

Il documento propone anche di rafforzare le catene di approvvigionamento, promuovendo le tecnologie emergenti critiche e l’impegno sulle questioni digitali, con specifica attenzione al rafforzamento della sicurezza economica all’interno del Consiglio per il commercio e la tecnologia (Ttc). Un forte accento viene dato dalla strategia anche all’approfondimento della cooperazione tecnologica, incluso un potenziale partenariato Ue-India per le startup – tanto che Bruxelles invita l’India ad associarsi al programma Horizon Europe – e vengono suggerite iniziative per la decarbonizzazione e la transizione pulita, come l’intensificazione della cooperazione sulle energie rinnovabili, lo sviluppo di capacità nell’idrogeno verde e l’espansione della finanza verde. Capitolo sicurezza e difesa. Qui la comunicazione congiunta porta avanti il ​​proposto partenariato Ue-India per la sicurezza e la difesa, puntando a migliorare le iniziative congiunte anche in materia di gestione delle crisi, sicurezza marittima, difesa informatica e antiterrorismo, e a promuovere la cooperazione industriale nel settore della difesa, concentrandosi sul potenziamento delle capacità produttive e tecnologiche, sulla sicurezza delle catene di approvvigionamento e sulla promozione dell’innovazione. Mentre altri ambiti di attenzione sono una più stretta cooperazione nell’Indo-Pacifico, la gestione delle minacce ibride, la sicurezza spaziale e l’intensificazione dell’impegno nella guerra della Russia contro l’Ucraina, le flotte ombra e le sanzioni.

Rispetto alla connettività, Bruxelles mira a rafforzare la cooperazione con l’India nei forum multilaterali e a incoraggiare il Paese asiatico a promuovere il diritto internazionale, i valori multilaterali e la governance globale. Mentre sui facilitatori, la comunicazione Ue dà priorità alla massimizzazione dell’interazione e al rafforzamento del coordinamento Ue-India a tutti i livelli. In questo senso, propone di sviluppare un quadro completo di cooperazione per la mobilità che comprenda studio, lavoro e ricerca. Così come di sviluppare “un più profondo coinvolgimento della società civile, dei giovani e dei think tank” e di creare “un Forum imprenditoriale Ue-India” per il coinvolgimento del mondo imprenditoriale. Ma oltre ai punti di forza e di condivisione, ci sono elementi di differenza tra le due parti. Che saranno affrontate nel dialogo che l’Ue, dopo la proposta odierna, è pronta a far partire con l’India per sviluppare un’agenda strategica globale condivisa. “Il collegio ha espresso esitazioni su quali siano le aree su cui siamo in disaccordo“, ha ammesso Kallas. Ad esempio, i suoi legami con Mosca. “La partecipazione dell’India alle esercitazioni militari russe e l’acquisto di petrolio russo ostacolano legami più stretti, perché in definitiva la nostra partnership non riguarda solo il commercio, ma anche la difesa di un ordine internazionale basato su regole”, ha scandito.

Un altro elemento di preoccupazione riguarda l’apertura di Bruxelles a concludere un accordo sulle indicazioni geografiche, andando a toccare la questione del riconoscimento del riso basmati come Igp indiana come Indicazione geografica protetta (Igp)indiana quando tale attribuzione è un altro terreno di scontro e di contesa tra India e Pakistan. Il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, ha chiarito che il tema rappresenta “uno dei problemi nell’elenco” del confronto con New Delhi. “E’ stato discusso e sarà discusso” e “sono stato molto contento che il mio caro collega, il commissario per l’agricoltura Hansen, fosse con me” nel viaggio in India, la scorsa settimana per poter “avere uno scambio molto franco e aperto su tutte le categorie di prodotti agricoli”, ha ricordato. “Ma preferirei informare sui risultati una volta chiuso questo capitolo e non è ancora successo. C’è ancora del lavoro da fare”, ha affermato. Tutte questioni scivolose che saranno affrontate nelle trattative con Nuova Delhi. “I nostri negoziati affronteranno queste sfide con l’obiettivo di adottare una tabella di marcia congiunta al vertice Ue-India all’inizio del 2026”, ha concluso Kallas

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Allarme delle imprese Ue: “Difficile accedere alle terre rare cinesi”

Le aziende europee continuano ad avere difficoltà ad accedere alle terre rare prodotte in Cina, nonostante un accordo recentemente annunciato per facilitarne le esportazioni. A lanciare l’allarme è la Camera di commercio dell’Unione europea in Cina.

Pechino domina l’estrazione e la raffinazione delle terre rare, onnipresenti nelle industrie digitali, energetiche e degli armamenti, ponendosi, quindi, in una posizione di vantaggio in un contesto di tensioni commerciali e braccio di ferro con gli Stati Uniti. Da aprile la Cina richiede una licenza per l’esportazione di terre rare, decisione percepita come una misura di ritorsione nei confronti dei dazi doganali americani.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva riferito a luglio di un accordo con la Cina su un meccanismo di esportazione “migliorato” per fornire, secondo lei, una soluzione rapida a un problema di approvvigionamento. Tuttavia, la Camera di commercio dell’Unione europea in Cina riferisce in una documento pubblicato oggi che “molte aziende, in particolare le piccole e medie imprese, continuano a subire gravi perturbazioni nelle loro catene di approvvigionamento”. “Non è stata proposta alcuna soluzione sostenibile a lungo termine”, si legge nel testo. “Alcuni dei nostri membri stanno attualmente subendo perdite significative a causa di queste strozzature”, ha dichiarato ai giornalisti il presidente dell’istituzione, Jens Eskelund. “I nostri membri e noi abbiamo formulato più di 140 richieste, solo una parte delle quali ha trovato una soluzione” in questa fase, ha affermato.

La Camera di commercio dell’Ue in Cina rappresenta oltre 1.600 aziende. Nel suo rapporto formula 1.141 raccomandazioni all’attenzione dei decisori politici cinesi per ridurre gli ostacoli incontrati dagli imprenditori europei. Queste difficoltà si inseriscono in un contesto di persistenti difficoltà della seconda economia mondiale, ha affermato Eskelund. Secondo i dati pubblicati lunedì, ad agosto la produzione industriale ha registrato il tasso di crescita più basso da un anno, mentre le vendite al dettaglio, principale indicatore dei consumi, sono cresciute al ritmo più basso degli ultimi nove mesi. Il presidente della Camera di commercio ha affermato di osservare “una maggiore convergenza tra le sfide che devono affrontare le imprese cinesi e quelle straniere”. “Il nemico principale qui è lo stato dell’economia nazionale e l’equilibrio tra domanda e offerta”, ha aggiunto.

Epitaffio di Draghi per l’Europa di Ursula che ora deve cambiare

“Grazie Mario”, ha ripetuto con enfasi Ursula von der Leyen. Grazie per tutto quello che hai detto e costruito per l’Europa. Insomma, grazie di esistere. Poi, però, Mario, nella fattispecie Draghi, ex presidente della Bce, ex premier, una luce nel buio di questi tempi, ha smontato pezzo dopo pezzo tutto quello che l’Unione europea ha fatto, anzi non ha fatto, (proprio) durante la gestione passata e presente della presidente tedesca. Perché il discorso di Draghi sullo stato di salute malandatissimo del vecchio Continente è stato molto crudo e diretto, partendo dal presupposto che “a distanza di un anno, l’Europa si trova quindi in una situazione più difficile” e che “l’inazione non minaccia solo la nostra competitività ma anche la nostra sovranità”. Liofilizzando il concetto: vi avevo avvertito ma le mie parole sono cadute nel vuoto. E adesso sono grane.

In un (per niente tranquillo) martedì di metà settembre, Draghi ha messo a nudo i difetti della Ue targata Ursula: lenta, avvitata su se stessa, incapace di decidere, imbolsita dalla burocrazia e dalla smania regolamentare, non ancora del tutto convinta che il green deal come era stato pensato da Frans Timmermans debba essere profondamente rivisitato. Giusto un anno fa l’ex premier aveva presentato il suo rapporto, un’istantanea che riscosse consensi ma che in concreto non ha spostato di un millimetro il baricentro della Ue, ormai bersaglio di critiche diffuse proprio da parte dei più europeisti tra gli europeisti. Antonio Tajani, ad esempio, ministro degli Esteri ed ex presidente del Parlamento, pochi minuti prima che Draghi si prendesse la scena aveva assestato un paio di ceffoni a Bruxelles, parlando della necessità urgente di cambiare registro, del bisogno di dire basta all’unanimità del voto, dell’imperativo di arrivare a una Difesa europea. Non proprio peanuts.

Il paragone di Draghi è quello con gli Stati Uniti e la Cina. Che sono giganti ma che agiscono velocemente, mentre l’Europa sta deludendo i cittadini per “la lentezza e la sua incapacità di muoversi con la stessa rapidità”. Il punto, ancora più grave, è che i governi che compongono l’Europa non sono consapevoli – stigmatizza l’ex commissario – della gravità della situazione. Intanto che si discute e ci si accapiglia, il “modello di crescita sta svanendo”, “la vulnerabilità sta aumentando” e “non esiste un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno”.

Una pietra tombale, un epitaffio su ‘questa’ Europa, quella di von der Leyen. Che ha incassato la scarica di cazzotti senza (quasi) fare una piega e promesso un cambio di passo su energia (nucleare), Difesa e intelligenza artificiale. Ecco: conviene che, rispetto alla prima volta, ‘questa’ volta Ursula faccia sul serio, ritrovi l’Unione (U rigorosamente maiuscola) e metta a terra promesse e sogni. A Strasburgo, una settimana fa, il suo discorso è stato coniugato sempre e solo al tempo futuro, conviene che viri sul presente oppure tra un anno saranno inutili anche le scosse di Mario.

Draghi bacchetta l’Europa: “La crescita perde slancio. L’inazione minaccia competitività e sovranità”

“A distanza di un anno, l’Europa si trova quindi in una situazione più difficile. Il nostro modello di crescita sta perdendo slancio. Le vulnerabilità aumentano. E non esiste un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno. Ci è stato dolorosamente ricordato che l’inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma anche la nostra stessa sovranità”. A dodici mesi dalla presentazione del rapporto che metteva in guardia dal “ritardo” economico del Vecchio Continente rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea ed ex presidente del Consiglio, ha esortato martedì l’Europa a uscire dalla sua “lentezza” e a condurre riforme per ripristinare la sua competitività. Invitato dalla Commissione europea a tracciare un primo bilancio – alla presenza di Ursula von der Leyen – dodici mesi dopo la presentazione delle sue raccomandazioni, l’economista è stato, come sempre, molto schietto.

Pur lodando la determinazione ad agire della Commissione, che aveva fatto propria la sua diagnosi e da allora ha lanciato molteplici iniziative ispirate alle sue raccomandazioni, Draghi ha ritenuto che “le imprese e i cittadini” sono delusi “dalla lentezza dell’Europa e dalla sua incapacità di muoversi con la stessa rapidità” degli Stati Uniti o della Cina. “L’inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma anche la nostra sovranità”, ha avvertito, rammaricandosi che “i governi non siano consapevoli della gravità della situazione”.

Secondo i calcoli del centro di riflessione EPIC di Bruxelles, solo l’11% delle 383 raccomandazioni formulate da Draghi nella sua relazione sul “futuro della competitività europea” sono state attuate completamente e circa il 20% in modo parziale. Anche gli economisti della Deutsche Bank Marion Muehlberger e Ursula Walther ritengono in una nota che “i progressi nel complesso siano contrastanti”, con “riforme sostanziali” attuate o avviate, ma senza che vi sia nulla che possa cambiare radicalmente la situazione in questa fase.

Tra i principali progressi, c’è la ripresa dell’industria della difesa. L’urgenza di riarmare l’Europa di fronte alla minaccia russa ha spinto i 27 Stati membri a lanciarsi in uno sforzo collettivo di reindustrializzazione, con notevole agilità. La settimana scorsa, la Commissione ha annunciato di aver stanziato 150 miliardi di euro di prestiti a 19 paesi, nell’ambito di una serie di misure volte a mobilitare fino a 800 miliardi di euro. L’Europa si è anche dotata di una piattaforma comune per garantire l’approvvigionamento di materie prime “critiche” e ha moltiplicato le iniziative nel campo dell’intelligenza artificiale. Tutti risultati sottolineati von der Leyen, che, ricevendo Mario Draghi, ha riconosciuto la necessità di accelerare i tempi per raddrizzare la barra.

La Commissione, ha detto, “manterrà senza sosta la rotta fino a quando tutto sarà completato” e ha esortato le altre istituzioni europee a unirsi al movimento, in particolare il Parlamento, che non ha ancora adottato una serie di leggi di semplificazione normativa denominate Omnibus. “Abbiamo bisogno di un’azione urgente per far fronte a esigenze urgenti, perché le nostre imprese e i nostri lavoratori non possono più aspettare”, ha detto von der Leyen.

Secondo la Deutsche Bank, queste misure di semplificazione potrebbero far risparmiare alle imprese europee circa 9 miliardi di euro all’anno. La presidente dell’esecutivo europeo ha invitato inoltre ad attuare “con senso di urgenza”  il completamento del mercato unico, un vasto progetto che consiste nell’eliminare entro il 2028 molteplici barriere interne che continuano a frenare l’attività economica in numerosi settori. Secondo il Fondo monetario internazionale, tali ostacoli rappresentano l’equivalente del 45% dei dazi doganali sui beni e del 110% sui servizi. Per Simone Tagliapietra, esperto dell’istituto Bruegel, “il messaggio di Draghi è molto chiaro: o l’Europa cambia modello economico, o è destinata a scomparire”. E questo messaggio è rivolto in primo luogo agli Stati membri, dove secondo lui risiede il principale ostacolo alle riforme.

Clima, in Ue non c’è l’accordo dei 27 sugli obiettivi al 2040. Decisione attesa per fine anno

L’Europa sta perdendo la sua leadership in materia di clima? Il blocco tra i 27 paesi membri sull’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra nel 2040 persiste e rischia di non essere risolto prima della conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a novembre in Brasile.
Venerdì a Bruxelles, un incontro tra diplomatici ha messo nuovamente in luce le divisioni tra gli europei. A questo punto, non esiste una chiara maggioranza all’interno dell’Unione europea a sostegno dell’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni di gas serra nel 2040 rispetto al 1990 proposto dalla Commissione.

Diversi paesi, tra cui Francia, Germania, Italia e Polonia, hanno chiesto di rinviare la discussione a un vertice tra capi di Stato e di governo nel mese di ottobre. La Danimarca, che detiene la presidenza di turno dell’Unione europea, sperava di raggiungere un compromesso già il 18 settembre durante una riunione dei ministri dell’ambiente. Ma i diplomatici danesi hanno dovuto fare marcia indietro, contro la loro volontà, e ora puntano a un accordo “entro la fine dell’anno”. La grande conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP30) è prevista dal 10 al 21 novembre a Belem, in Brasile. E martedì la Commissione europea si diceva ancora convinta che l’Unione avrebbe avuto entro quella data un “obiettivo ambizioso” da “portare sulla scena internazionale”. Questo calendario è ora a rischio.

Nei corridoi di Bruxelles, alcuni diplomatici evocano la possibilità che l’Unione europea si presenti a Belém con una forbice di riduzione delle emissioni di gas serra, ma senza una cifra definitiva. In nome della difesa della loro industria, Stati come l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca hanno ripetutamente ribadito la loro opposizione alla riduzione del 90% raccomandata dalla Commissione. All’inizio di luglio Bruxelles ha introdotto delle “flessibilità” nel metodo di calcolo: la possibilità di acquisire crediti di carbonio internazionali, pari al 3% del totale, che finanzierebbero progetti al di fuori dell’Europa. Ma questa concessione non è stata sufficiente a convincerli.

Da parte sua, la Francia ha mantenuto una posizione ambigua, criticando il metodo della Commissione e chiedendo garanzie sulla difesa del nucleare o sul finanziamento delle “industrie pulite”. Dal punto di vista dei suoi obblighi internazionali, Parigi sottolinea che l’Ue deve solo presentare un percorso per il 2035 – e non per il 2040 – alla COP30 e chiede di separare le due discussioni.

Se l’obiettivo climatico 2040 fosse sottoposto a votazione a livello di capi di Stato e di governo, sarebbe necessaria l’unanimità, molto difficile da raggiungere. Una votazione a livello di ministri dell’ambiente richiede invece solo una maggioranza qualificata. Alle Nazioni Unite si teme che l’Ue perda l’effetto trainante che ha avuto finora sulle questioni ambientali. “Tutti sanno perfettamente che rimaniamo tra i più ambiziosi in materia di azione per il clima”, ha risposto all’AFP il commissario europeo Wopke Hoekstra.