Energia, Gozzi (Federacciai): Europa incapace di fare sistema, a rischio Mercato unico

La crisi energetica ha dimostrato un’incapacità europea di fare sistema. In assenza di una capacità europea di fare sistema e di decidere una politica comune sull’energia, i singoli Stati hanno fatto da soli creando importanti asimmetrie”. Lo ha detto Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e Duferco, al margine del convegno ‘L’evoluzione dell’agroalimentare italiano ed europeo tra sostenibilità e benessere’, organizzato da Gea ed Eunews. “Un esempio: i siderurgici francesi hanno il 70 % dell’energia a 64 euro, noi in Italia paghiamo l’energia elettrica 150 euro, più del doppio. I tedeschi anche pagano prezzi inferiori a quelli italiani. Queste situazioni creano asimmetrie competitive e rischiamo di mettere in crisi il Mercato Unico. L’incapacità di decidere e il conflitto di interessi impediscono una politica comune e di conseguenza l’Europa corre un grande rischio”, ha aggiunto.

Energia, Gozzi (Federacciai): Italia può essere hub europeo, ottimista su calo prezzi

Io sono abbastanza prudentemente ottimista sul prezzo dell’energia, perché vedo il Mediterraneo come un mare di gas. L’Italia è il Paese più infrastrutturato dal punto di vista dei tubi, abbiamo tre rigassificatori e due se ne dovrebbero aggiungere. Abbiamo una infrastruttura che ci consente di dire che potremmo essere l’hub dell’Europa, soprattutto meridionale. I giacimenti in giro per il Mediterraneo sono giganteschi”. Lo ha detto Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e Duferco, al margine del convegno ‘L’evoluzione dell’agroalimentare italiano ed europeo tra sostenibilità e benessere’, organizzato da Gea ed Eunews. “Il tema – ha aggiunto – è quello di impostare politiche che consentano di utilizzare il gas in maniera decarbonizzata. Se si perseguono queste politiche sono, dal punto di vista del medio periodo, abbastanza ottimista sul fatto che il prezzo del gas scenderà”.

Ansaldo-Edison-Edf rilanciano nucleare: il plauso della maggioranza. E di Cingolani

La firma della lettera d’intenti fra Ansaldo Energia, Ansaldo Nucleare, Edison ed Edf per lo sviluppo del nuovo nucleare in Europa e in Italia riaccende il dibattito politico. In particolare, a dividere gli schieramenti è la riflessione sul possibile ruolo dell’atomo nella transizione energetica in Italia. Tema, questo, sui cui il governo guidato da Giorgia Meloni, ha mostrato più volte apertura. La viceministra dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Vannia Gava, plaude all’iniziativa, definendola “interessante”. I tempi, dice, “sono maturi e non più procrastinabili per tornare a parlare di nucleare di nuova generazione anche in Italia”. “Mi pare ottimo che comincino a studiare nuove tecnologie così complesse insieme”, sottolinea, invece, a Gea l’ex ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Dell’intesa premette di saperne “pochissimo”, ma “è certamente un settore che necessita di tanto studio, ricerca e sviluppo e di sinergie – spiega -. Quindi, ben vengano le alleanze e le masse critiche”.

“Molto soddisfatto” è Paolo Arrigoni, responsabile energia del Carroccio, secondo il quale “molte proposte” della Lega “sono state recepite dentro questa lettera d’intenti”. “Lo sostengo da sempre – dice a Gea – che la tecnologia dell’atomo avrà una seconda vita per gli obiettivi di Green deal, per contrastare cambiamenti climatici”. Insomma, se vogliamo dacarbonizzare entro il 2050 “è fondamentale l’atomo”. Per Arrigoni, poi, è necessario avere “energia programmabile, continua e stabile magari con piccoli reattori” per “agevolare l’elettrificazione della mobilità e, ad esempio, la forte domanda di pompe di calore”. Certo, il nucleare “non si può imporre dalla sera alla mattina serve informazione, cultura e dibattito nell’ottica del Green deal”.

Su questo la maggioranza di governo è compatta. Alessandro Cattaneo e Luca Squeri di Forza Italia hanno presentato una mozione sul nucleare con la quale chiedono al governo “di lavorare affinché la produzione di energia atomica di nuova generazione sia inclusa nella politica energetica europea”. Anche perché “l’obiettivo europeo di zero emissioni nel 2050 sarà difficilmente raggiungibile con il solo utilizzo di energie da fonti rinnovabili diverse dal nucleare”.

“Se esiste una emergenza climatica non possiamo fare a meno del nucleare, le rinnovabili da sole non potranno mai sostituire interamente i fossili, a meno che non vogliamo tornare nel medioevo”, sottolinea Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, che a Gea dice: “Abbiamo inventato noi il nucleare con Enrico Fermi. Il premio Nobel, Carlo Rubbia, ha sempre lavorato sulla fisica del nucleo, l’energia è fisica. Questa lettera d’intenti è un primissimo passo che arriva anche tardi, ma che ci proietta verso qualcosa di concreto per dare seguito all’enorme ricerca italiana”. In Italia però si sono votati ben due referendum nel 1987 e nel 2011, che hanno sancito il no degli elettori all’atomo. “I referendum non erano un divieto per l’eternità per fare il nucleare, se il Parlamento decide si può ripartire”, aggiunge Tabarelli.

E in Parlamento, così come nel Paese, non sarà facile far passare una svolta nuclearista. “La parola ‘riflessione’ nella lettera d’intenti è ripetuta più volte. Spero davvero che riflettano a fondo. Questa presunta nuova frontiera non è per niente nuova – spiega a Gea Luana Zanella, capogruppo alla Camera di Alleanza Verdi Sinistra (Avs) -, non risolve il problema delle scorie, non si sa dove dovrebbero collocarsi queste ipotetiche centrali. Il nuovo nucleare è la fusione, per la quale abbiamo davanti decenni di ricerca. Non si parla di quarta o quinta generazione, qui si parla di terza generazione plus, il vecchio metodo rivisitato, con problemi di sicurezza che permangono e accorgimenti molto costosi”. E poi “abbiamo le praterie aperte per le rinnovabili – evidenza Zanella -, non si capisce perché investire su un fronte che potrebbe essere controproducente anche economicamente. Possiamo spingere sulle rinnovabili senza rischiare buchi di bilancio”.

Rincara la dose il vice capogruppo alla Camera di Avs, Marco Grimaldi, parlando con Gea: “I cialtroni dell’atomo continuano a parlare di nucleare in un Paese che non è stato ancora in grado di individuare il sito del Deposito Nazionale per le scorie radioattive, che ci portiamo dietro (e sarà così per decenni) dal nostro passato nucleare: 27 anni di produzione e già 32 di decommissioning ed eredità di cui non si vede la fine”. Ma poi… “Investiamo nella fusione nucleare? Il sole è il più grande ‘reattore a fusione nucleare’ già disponibile per la produzione di energia rinnovabile e fornisce ogni anno 15mila volte l’energia di cui l’umanità ha bisogno. La ricerca scientifica – conclude Grimaldi – ha sviluppato le tecnologie necessarie a catturare l’energia solare e conservarla in maniera molto efficiente”.

nucleare

Nucleare, Pichetto favorevole ma Italia non partecipa a incontro. Salvini: E’ dovere

Oggi, a Stoccolma, a margine dei lavori del Consiglio informale dell’energia (al quale partecipa la viceministra dell’Ambiente Vannia Gava), si terrà un incontro promosso dalla Francia per costruire un’Alleanza europea sul nucleare. Ma in Italia scoppia la polemica.

Investire sul nucleare pulito e sicuro di ultima generazione è un dovere sociale, economico e ambientale. Avanti futuro!”, tuona il vicepremier e Ministro dei Trasporti Matteo Salvini. Lo fa nel giorno in cui Enrico Letta consegna a Elly Schlein le redini del Partito Democratico al Nazareno e il nucleare è un argomento sul quale il nuovo Pd è su posizioni diametralmente opposte.

La battuta però sembra anche una stoccata a Gilberto Pichetto Fratin. Perché la ministra francese per la transizione energetica, Agnes Pannier-Runacher, aveva citato l’Italia nella lista di 12 paesi che parteciperanno all’incontro, tra quelli cioè che intendono utilizzare l’energia nucleare per aggiungere la neutralità carbonica.

L’Italia però non vi prenderà parte. Il ministero lo precisa nel corso della giornata in una nota: “Non è prevista la presenza di nessun rappresentante italiano a incontri che avranno per oggetto la tematica del nucleare“. La posizione favorevole al nucleare di Pichetto Fratin è in realtà nota. Qualche giorno fa, la stessa Pannier-Runacher aveva anticipato l’incontro al ministro italiano. “Beati voi, potete contare sul nucleare“, a quanto filtra, la battuta con la quale Pichetto ha accolto la notizia.

Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica è già impegnato a capire come possa il Paese accedere a un nucleare di quarta generazione. Ma sono due i referendum in cui gli italiani hanno detto no a questa tecnologia. Prima di prendere parte a un incontro del genere, bisognerebbe coinvolgere l’intero governo, il Parlamento, i costituzionalisti e, non ultimo, il popolo.

Un anno di guerra in Ucraina: le conseguenze fra energia e inflazione

Il primo colpo, il primo sparo, e l’inizio di un periodo fatto non solo di aggressione, morti e distruzione, ma pure di crisi delle materie prime, shock energetici, crisi alimentare mondiale, inflazione a doppia cifra, rincaro dei generi alimentari. 24 febbraio 2022-24 febbraio 2023, un anno di guerra russo-ucraina che ha ridisegnato anche l’agenda europea per la sostenibilità. Da un punto di vista a dodici stelle l’ha fatto imprimendo un’accelerazione verso la realizzazione di una vera green-economy, ma innescando all’interno della stessa Unione un dibattito tutto nuovo sul nucleare tradizionale considerato come necessità, in tempi di corsa alla ricerca di alternative al gas per decenni pompato da Gazprom. Un dibattito che non ha lasciato indifferente l’Italia, dove il cambio di governo avvenuto a settembre ha visto riproporre la questione dell’energia prodotta da atomo. La Lega di Matteo Salvini torna a insistere su questo punto.

Le sfide nella sfida. L’Unione europea che ha saputo varare nove pacchetti di sanzioni contro la Russia, in questo anno di attività militare su suolo ucraino ha dovuto cercare soprattutto di trovare un’unità non scontata. Perché sull’energia i 27 modelli economici, interconnessi ma non identici, sono andati in difficoltà. Eppure in nome dell’obiettivo di privare le casse di Mosca di risorse utili al finanziamento della guerra, la Germania ha saputo liberarsi dei gasdotti NordStream e Nordstream 2, l’Ue ha prima messo una moratoria al carbone russo, poi al petrolio, quindi trovato il meccanismo per calmierare i listini del gas naturale. Una richiesta posta sul tavolo da Mario Draghi, ai tempi in cui sedeva a palazzo Chigi, e che ha richiesto mesi prima di una realizzazione pratica e condivisa. Adesso scatterà automaticamente un ‘price cap’ di fronte a due condizioni contemporanee: quando il prezzo del la risorsa sul mercato olandese TTF supera i 180 euro per Megawattora per 3 giorni lavorativi e quando il prezzo TTF mensile è superiore di 35 euro rispetto al prezzo di riferimento del GNL sui mercati globali per gli stessi tre giorni lavorativi.

E’ questo uno dei successi dell’Ue, non immediato né semplice. Ma doveroso. Perché l’aumento dei prezzi dell’energia ha trainato l’inflazione, rendendo complicata la vita di famiglie e imprese, e facendo paventare rischi di una nuova recessione per l’Eurozona. Rischi scongiurati, ma solo alla fine del 2022, quando la contrazione data per scontata non si è materializzata. Merito della sospensione delle regole europee di finanza pubblica e dell’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato che hanno permesso di contrastare il caro-bollette. Merito anche di un accordo trovato grazie alle mediazione della Turchia che ha permesso la partenza delle navi cariche di grano ferme nel porto di Odessa.

Uno dei mantra ripetuti è quello per cui la guerra innescata il 24 febbraio di un anno fa offre l’opportunità di accelerare la transizione verde, e il passaggio ad un’economia davvero a prova di surriscaldamento del pianeta. In questo non semplice esercizio l’Italia può giocare un ruolo da protagonista. La sostituzione del gas naturale con quello liquefatto (Gnl) rimette in moto i cantieri, crea occupazione, e può permettere al Paese di diventare il terzo hub dell’Ue per capacità. Qui, la sfida nella sfida è fare presto e bene. Presto e bene è anche la condizione numero uno per l’attuazione dei piani di ripresa, divenuti centrali per la Commissione Ue e anche per l’insieme degli Stati riuniti in Consiglio. Con l’Europa a caccia di materie prime necessarie per realizzare pannelli fotovoltaici, batterie elettriche, turbine eoliche, e alla ricerca di fornitori più affidabili di energia, si ridisegna anche la cartina geopolitica, con l’Italia anche qui protagonista. Da Draghi a Meloni il governo ha iniziato a scrivere una nuova pagina di relazioni con i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Fondamentali, in tempi in cui gli Stati Uniti hanno deciso di sostenere massicciamente la propria industria tecnologica pulita.

La Casa Bianca produce l’Inflation Reduction Act, piano da circa 369 miliardi di dollari per rispondere all’aumento generalizzato dei prezzi. Sovvenzioni e sgravi fiscali per rilanciare l’industria, quella al centro dell’agenda dell’Ue, che sulla scia delle conseguenze della guerra vede anche lo spettro della concorrenza del partner transatlantico, e i dubbi che non sia leale. Non si vuole lo scontro, ma l’Ue si trova comunque a dover correre e rispondere in un contesto che resta di incertezza e instabilità.

Vale anche per il piano ambientale. L’occupazione delle centrale nucleare di Zaporizhzhia , con combattimenti tutt’attorno tiene col fiato sospeso non solo l’Unione europea, per i rischi di incidenti dalle conseguenze irreparabili per natura e salute. I pacchetti di sanzioni dell’Ue includono personalità ritenute responsabili anche di questo atto. Il blocco dei Ventisette vorrebbe annunciare il decimo pacchetto di misure restrittive nelle prossime ore, per ragioni simboliche: un anno dall’inizio della guerra.

Nel Piano strategico 2023-2026 di Eni sicurezza energetica, transizione e meno emissioni

Sicurezza energetica, riduzione delle emissioni e investimenti nella tecnologia più “rivoluzionaria. Sono alcuni dei pilastri su cui si fonda il Piano strategico 2023-2026 di Eni, presentato oggi dall’amministratore delegato, Claudio Descalzi, e dalla presidente, Lucia Calvosa. Per raggiungere gli obiettivi l’azienda mette sul piatto 37 miliardi di euro nel quadriennio (di cui 9,5 miliardi solo nel 2023), ben il 15% in più rispetto al Piano precedente. Con una spesa destinata alle attività zero e low carbon pari a circa il 25% degli investimenti. Perché l’attenzione alla transizione ecologica è palpabile, al punto che Eni conferma gli obiettivi di riduzione delle emissioni: -35% entro il 2030, -80% al 2040, per poi arrivare a net zero entro il 2050.

Non solo, perché le stime sulle nuove fonti di energia prevedono che la capacità di generazione rinnovabile di Plenitude aumenterà a oltre 7 Gigawatt entro il 2026, per poi superare i 15 Gw entro il 2030. Nel frattempo, tra i target c’è anche quello di raddoppiare i punti di ricarica entro il 2026. Non a caso la previsione è che l’Ebitda di Plenitude aumenti per il 2026 di tre volte rispetto al 2022. Restando sulle stime, in base allo scenario delineato, la società genererà un flusso di cassa prima del capitale circolante di oltre 17 miliardi di euro nel 2023 e di oltre 69 miliardi di euro nel corso del Piano, con un aumento del 25% nel 2026 rispetto al 2023. Questo consentirà di finanziare gli investimenti e potenziare la remunerazione agli azionisti, mantenendo il leverage tra il 10-20%.

Numeri ambiziosi che guardano in prospettiva. Ma anche il recente passato non è affatto male, visto che l’utile netto realizzato nel 2022 è di 13,3 miliardi di euro: un aumento di 9 miliardi rispetto all’anno precedente. Mentre l’utile operativo adjusted di gruppo nell’esercizio 2022 è addirittura di 20,4 miliardi, raddoppiato rispetto al 2021. Risultati che fanno esultare Descalzi: “Quelli operativi e finanziari che abbiamo raggiunto sono stati eccellenti”, con un occhio attento al green. “Nel 2022 ci siamo fortemente impegnati non solo nel progredire nei nostri obiettivi di sostenibilità ambientale, ma anche nel garantire la sicurezza energetica all’Italia e quindi all’Europa, costruendo una diversificazione geografica e delle fonti energetiche”. Restando sul tema, l’ad sottolinea anche “il progresso nei piani di decarbonizzazione”, con Plenitude che ha raggiunto “2,2 Gw di capacità rinnovabile, il doppio dello scorso anno, e sarà affiancata dalla neo costituita Eni Sustainable Mobility nel portare avanti il piano di azzeramento delle emissioni dei clienti”.

La base di lavoro è fatta, ora però va risolto il nodo del rinnovo dei board. Perché Eni è in scadenza questa primavera, ma ancora non c’è un’indicazione precisa da parte del governo, azionista di riferimento col Mef, sul futuro di Descalzi. Il manager glissa: “Quello che voglio io non conta nulla, perché non sono io a decidere”. Incalzato dai cronisti, l’ad fa un piccolissimo passo in più: “Il Piano l’ho fatto io, ma nessuno è indispensabile. Eni è forte. Può fare anche senza di me? Sì. A tutti piacerebbe guidare la macchina, ma se ciò non accade va avanti lo stesso”. Non risponde nemmeno alle fonti leghiste che a inizio settimana chiedevano un cambio di passo nella governance delle due principali partecipate: “Non ho commenti, non li voglio fare attraverso i giornali. Parlerò con chi lo ha detto o mi parleranno loro”, taglia corto Descalzi.

Che preferisce piuttosto concentrarsi sulle sfide di Eni. “L’urgenza di raggiungere la sostenibilità ambientale e il mix energetico sono sempre più priorità”, ma questo deve camminare di pari passo con “sicurezza energetica e sostenibilità economica”. Inoltre sono fondamentali la “diversificazione geografica delle fonti e il mix energetico diverso nel tempo, mettendo in campo tecnologie all’avanguardia”. Anzi, l’amministratore delegato puntualizza: “La nostra strategia si basa su una incessante attenzione alle nuove tecnologie”, anche in chiave decarbonizzazione.

Sul gas, poi, spiega che “la situazione degli stoccaggi è migliore di quello che si poteva aspettare, perché siamo partiti da oltre il 94%: questo ha fatto sì che si arrivasse ora al 64% circa”, dunque “la probabilità è che, se il clima continuasse così, avremo il doppio del gas stoccato rispetto all’anno scorso, forse potremmo finire anche sopra il 50%, ma queste sono tutte probabilità”. Di una cosa è sicuro Descalzi: “Tutti stiamo monitorando cosa accadrà a marzo, aprile, maggio, giugno e luglio: vogliamo vedere se abbiamo tutte le infrastrutture per riempire le riserve. Del rigassificatore di Piombino ne abbiamo bisogno, è essenziale, non c’è scelta altrimenti non arriverà il gas in Italia”.

Sul piano del governo di fare dell’Italia l’hub europeo del gas, poi, ha un’idea precisa. E’ fattibile, ma con “omogeneità di tariffe e regole per il gas in tutta Europa” e infrastrutture che colleghino il sud al nord, ma prima di tutto “bisogna capire se effettivamente l’Europa ci sta, se ci sono capitali da mettere nelle infrastrutture e che tempi ci sono per queste infrastrutture”. Restando in campo continentale, alla domanda se il price cap sia il motivo per cui è calato il prezzo del gas risponde positivamente: “Dà un segnale agli speculatori che esiste un limite, andava fatto molto prima”. Anzi, “doveva essere fatto subito”.

Pronta la proposta di decreto sulle Comunità energetiche: al via iter Ue

Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha avviato l’iter con l’Unione Europea sulla proposta di decreto che incentiva la diffusione di forme di autoconsumo di energia da fonti rinnovabili. La proposta di decreto dovrà ora attendere il via libera della Commissione Ue necessario per l’entrata in vigore. “Con questo provvedimento – spiega il ministro Pichetto – diamo all’Italia una nuova energia tutta rinnovabile. Il testo, rafforzato e arricchito dalla consultazione pubblica, è uno strumento coerente con il doppio obiettivo di questo governo: la decarbonizzazione entro il 2030 e l’autonomia energetica. La ricchezza dell’Italia sono le sue comunità. Il decreto le pone al centro di una strategia volta a produrre e consumare energia da fonti pulite risparmiando sui costi delle bollette. Se sapremo svilupparle come sistema Paese -conclude il Ministro – le Comunità Energetiche si riveleranno un’enorme fonte di sviluppo economico sostenibile e di coesione sociale”.

La proposta è incentrata su due misure: un incentivo in tariffa e un contributo a fondo perduto.  I benefici previsti riguardano tutte le tecnologie rinnovabili, quali ad esempio il fotovoltaico, l’eolico, l’idroelettrico e le biomasse. Chi vorrà associarsi in una configurazione di autoconsumo potrà ottenere una tariffa incentivante sulla quota di energia condivisa da impianti a fonti rinnovabili. La potenza finanziabile è pari a complessivi cinque giga watt, con un limite temporale fissato a fine 2027. Riguarderà invece solo le comunità realizzate nei comuni sotto i cinquemila abitanti, la misura che permette l’erogazione di contributi a fondo perduto fino al 40% dell’investimento. L’intervento può riguardare sia la realizzazione di nuovi impianti che il potenziamento di impianti già esistenti: in questo caso la misura è finanziata con 2,2 miliardi di euro del PNRR e punta a realizzare una potenza complessiva di almeno due giga watt e una produzione indicativa di almeno 2.500 giga watt l’ora ogni anno. Chi otterrà il contributo a fondo perduto potrà chiedere di cumularlo con l’incentivo in tariffa.

Gruppi di cittadini, condomini, piccole e medie imprese, ma anche enti locali, cooperative, associazioni ed enti religiosi: chi sceglierà di associarsi ad una Comunità, dovrà innanzitutto individuare sia un’area dove realizzare l’impianto con tecnologie rinnovabili che altri utenti connessi alla stessa cabina primaria. Inoltre sarà necessario un atto costitutivo del sodalizio che abbia come oggetto sociale prevalente i benefici ambientali, economici e sociali. Il soggetto gestore della misura è il GSE che potrà verificare preliminarmente l’ammissibilità dei soggetti interessati al fine di garantire la possibilità concreta di accedere ai benefici della misura.

Meloni a Kiev: “Lavoriamo per conferenza ricostruzione ad aprile”

Una dichiarazione congiunta sulla pace, sull’avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea, sulla ricostruzione, per la quale Roma lavora a una conferenza che si terrà ad aprile. Giorgia Meloni torna da Kiev, Bucha, Irpin dopo aver toccato con mano il dolore, la devastazione, ma anche la voglia di rivalsa di un Paese che, giura, l’Italia e l’intera Europa non abbandoneranno.

Saremo con voi fino alla fine”, promette visitando i luoghi dei crimini di guerra a Bucha, al procuratore generale Andriy Kostin. Paragona lo spirito ucraino al risorgimento italiano, prima, al boom del dopoguerra poi: “Sono certa che nei prossimi anni potremo parlare di un miracolo ucraino“, è l’auspicio.

Parla accanto al presidente Volodymyr Zelensky, allontana lo spettro di divisioni interne alla maggioranza di governo per le posizioni filoputiniane espresse da Silvio Berlusconi. “Nessuno gli ha mai bombardato la casa“, fa notare Zelensky.

Rimane agli atti che c’è un aggredito e un aggressore, rimane agli atti che per paradosso è l’aggredito che cerca un negoziato di pace“, precisa Meloni e fino al negoziato assicura all’Ucraina ogni genere di supporto. Supporto politico, militare, per difendere le infrastrutture strategiche contro il “gioco sadico” di portare allo stremo la popolazione civile, supporto umanitario e finanziario. Il gruppo di lavoro ‘emergenza elettrica Ucraina‘, voluto fortemente proprio da lei, ha già inviato materiale per diversi milioni di euro. Un tentativo di sostenere il Paese in sofferenza elettrica dopo i bombardamenti. Partono per l’Ucraina trasformatori e gruppi di diversa taglia, cavi e accessori per cercare di ripristinare una fornitura di energia stabile a circa 3 milioni di persone.

La conferenza sulla ricostruzione di aprile continuerà e amplierà molto il lavoro: “C’è un know how che le imprese italiane possono offrire, lo metteremo a disposizione perché nella ricostruzione l’Italia vuole giocare un ruolo da protagonista“, afferma la premier. Si partirà dalle esigenze principali, con un “cambio di passo” sul lavoro fatto finora: “Io non concentrerei la ricostruzione sul futuro – spiega -. Un segnale molto importante è lavorare subito. L’Italia credo possa fare la differenza“. Pensa al settore dei trasporti, dell’energia, dell’agroalimentare. Ma c’è un sogno, che è anche un messaggio di speranza. Sia Roma sia Odessa sono candidate per l’Expo 2030: “Sarebbe straordinario che l’Expo tornasse in Europa, ma possiamo lavorare insieme per questa scadenza, è un segnale importante di come crediamo che le cose andranno bene domani“.

 

(Photo credit AFP)

Energia e migrazioni economiche: questioni vicine

Nel 2030 il Continente africano avrà bisogno, secondo le previsioni dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), del 75 per cento di energia in più rispetto ad oggi. L’Unione europea ha invece in programma di continuare a crescere consumando sempre meno energia e di ridurre del 55 per cento, sempre al 2030, le sue emissioni nette di gas ad effetto serra. È anche in atto, nell’Unione, un grande lavoro di diversificazione delle fonti e di indipendenza dalla Russia.

Tutti questi impegni, queste necessità, queste prospettive sono fortemente interconnesse fra loro, e possono anche influire sulla “dimensione esterna” della questione migratoria (almeno verso i Paesi africani) unico punto sul quale, tra i Ventisette, c’è un accordo di una qualche consistenza su questo tema così divisivo.

In sostanza: noi europei abbiamo bisogno di fonti di energia, gli africani hanno bisogno di tecnologie per sviluppare la loro economia. Su questi due temi un punto d’incontro c’è, anche perché la presenza finanziaria dell’Ue in Africa è notevole, superiore a quella degli Stati Uniti, e sempre più in competizione con la Cina.

A noi manca il gas, a loro mancano le tecnologie: tutti e due abbiamo bisogno di qualcosa che quasi solo l’altro può dargli. Interesse dell’Unione è poi quello di “allargarsi” il più possibile, per frenare l’espansione della Cina. Vista la vicinanza geografia da parte dell’Unione europea dovrebbe anche esserci un forte interesse per uno sviluppo economico africano il più possibile sostenibile dal punto di vista ambientale.

Ecco, uno scambio che fornisca all’Unione europea le materie prime delle quali ha bisogno e ai Paesi Africani le tecnologie, l’assistenza della quale necessitano per il loro sviluppo che ci si augura diventi sempre più rapido.

Più sviluppo corrisponde a meno migrazioni economiche verso l’Europa, obiettivo condiviso dai 27, ma anche una maggiore collaborazione economica e politica, che non sia solo un rapporto tra acquirenti e venditori, può aiutare l’Unione ad avere nuovi partner affidabili, e a rendere sempre più concreta la sua “green transition”.

‘M’illumino di Meno’: luci spente in tutta Italia per la Giornata del Risparmio Energetico

Spegnere le luci, anche solo per un’ora, come simbolo di attenzione nei confronti della sostenibilità ambientale e del risparmio delle risorse. E’ il concetto alla base di ‘M’illumino di Meno’, l’iniziativa inaugurata dal programma di Radio2 ‘Caterpillar’ nel 2005 e arrivata alla 19esima edizione. La prima si tenne in occasione dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, quando ‘Caterpillar’ ebbe l’idea di chiedere agli ascoltatori e alle ascoltatrici di spegnere tutte le luci non indispensabili come gesto di attenzione nei confronti dell’ambiente. E quest’anno più che mai, con la crisi energetica in atto, il gesto diventa ancora più attuale con tantissime istituzioni, dai ministeri ai Comuni, passando per le Regioni, che hanno deciso di aderire e di restare al buio per qualche minuto nella serata di giovedì 16 febbraio.

Anno dopo anno, ‘M’illumino di Meno’ ha promosso e raccontato le molte azioni, piccole e grandi, che ciascuno di noi può fare per salvare il Pianeta: scegliere la bici anziché l’auto, passare alle rinnovabili, condividere, piantare alberi, eliminare lo spreco alimentare e riciclare correttamente. Nel tempo l’urgenza di queste azioni individuali e collettive si è imposta a tutti noi mostrandoci gli effetti sulla natura di anni di sfruttamento ambientale. La pandemia da Covid-19 è stata l’occasione per tutti di ripensare il tema della salute globale e la guerra in Ucraina ci impone nuovamente di accelerare la riconversione energetica. Il cambiamento di abitudini suggerito da molti anni da ‘M’illumino di Meno’ è ormai diventato una necessità di sopravvivenza, oltre che una possibilità per sviluppare una comunità sociale più sostenibile da tutti i punti di vista.

Superata la maturità, alla 19esima edizione, ‘M’illumino di Meno’ guadagna anche una postazione fissa nel calendario: il Parlamento italiano ha infatti istituito la Giornata Nazionale del Risparmio Energetico e degli Stili di Vita Sostenibili riconosciuta dalla Repubblica. Ogni 16 febbraio, data della prima edizione della campagna, la comunità di ‘M’illumino di Meno’ farà festa.

Negli anni Rai Radio2 con ‘Caterpillar’ ha proposto numerose azioni condivise: piantare alberi, scegliere la mobilità dolce, spegnere le luci, organizzare cene anti-spreco a lume di candela. In questo modo M’illumino di Meno ha promosso e raccontato in radio la crescita di una grande comunità energetica, composta da associazioni, scuole, università, persone che producono energia sostenibile in molti modi diversi: chi pedalando verso il lavoro, chi installando pannelli fotovoltaici, chi coltivando l’orto. L’edizione 2023 mapperà il fenomeno crescente delle Comunità Energetiche Rinnovabili: ovvero quelle alleanze territoriali di enti pubblici e cittadini che producono e distribuiscono energia da fonti alternative.
La grande comunità energetica di M’illumino di Meno sarà poi composta anche quest’anno da tutte quelle scuole, università, amministrazioni, aziende, associazioni, condomìni, cittadini che come da tradizione aderiranno spegnendo le luci, pedalando, organizzando attività di educazione ambientale, riducendo il consumo energetico