nucleare

INFOGRAFICA INTERATTIVA La produzione di energia nucleare nel mondo

In questa infografica interattiva, elaborata da GEA su dati Aiea, sono mostrati i dati sulla produzione mondiale di energia elettrica. In particolare, sono messi a confronto la produzione totale di energia nucleare (in GWh) e il suo peso nel mix energetico. È interessante notare come gli Stati Uniti, primo produttore mondiale per volume, siano solo al 16° poso nel dato sull’incidenza. Per passare da una visualizzazione all’altra, cliccare sulla legenda

Governo, Ciafani: Su transizione sta rallentando, stop dittatura delle fossili

“Sulle politiche energetiche questo governo sta andando in continuità con quello precedente, ma più in generale, sulla transizione ecologica, questo governo sta rallentando il processo”. Lo dice, intervistato da GEA, il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, in occasione dell’apertura del congresso Cigno verde, a Roma. “Perché non si può fare sia l’azione per liberarci dalla dipendenza delle fossili, sviluppando le rinnovabili, sia autorizzare nuovi impianti di rigassificazione, come quelli fissi che si vorrebbero realizzare a Gioia Tauro in Calabria o a Porto Empedocle in Sicilia – osserva -. Si deve decidere in quale direzione si vuole andare. Noi vogliamo la direzione della liberazione dell’Italia dalla dittatura delle fossili. C’è purtroppo chi nel Paese che queste due visioni, della transizione e del vecchio modello produttivo, possano continuare a coesistere”.

Amicarelli (Allen & Overy): Contributo per rinnovabili avrà impatto su produttori

“Nel decreto energia si introduce un contributo che diventerà voce di spesa importante per chi si accingerà a sviluppare un progetto rinnovabile, che avrà un impatto anche sui modelli di business e di finanziamento i quali dovranno essere discussi con le banche. Tanto più grande sarà l’impianto, tanto più grande sarò il contributo”. Lo dice a GEA Luca Amicarelli, Counsel e responsabile del team italiano di diritto amministrativo e ambientale di Allen & Overy, studio legale internazionale con una presenza in oltre 40 Paesi. Parliamo del contributo che i produttori dovranno versare al Gse per incentivare le regioni a ospitare impianti a fonti rinnovabili: 10mila euro per ogni megawatt di potenza dell’impianto nei primi tre anni dalla data di entrata in esercizio.

Avvocato, è solo l’ennesima tassa o qualcosa di incentivante?
“La norma, come tante altre iniziative, porta ‘in nuce’ un intento che vuole essere positivo o propositivo che però si scontra col muro dell’implementazione. Ad oggi rimangono una serie di incertezze, per entrare a regime serviranno un decreto ministeriale che andrà a regolare le modalità di contribuzione e di riparto tra le regione e una convenzione che il Gse dovrà sottoscrivere col Mase”.

Tempi lunghi?
“Il provvedimento in via prioritaria è in favore delle regioni che però stanno già conseguendo gli obiettivi di potenza e hanno già stabilito un documento con le aree idonee per nuove rinnovabili, tuttavia il decreto ministeriale recante i criteri per tale individuazione non è ancora stato approvato. Per cui la norma contenuta nel decreto energia è del tutto programmatica di fatto, perché appunto servirà implementazione”.

Intanto si paga.
“La norma dovrebbe incentivare le regioni ad approvare più velocemente progetti rinnovabili, mentre la realtà vede un proliferare di pareri delle sovrintendenze, ricorsi al Tar e regioni che spesso non sono amiche di eolico e fotovoltaico anche in zone dove c’è molto vento o molto sole. Il governo prova così a dire: ‘Cara Regione, se tu acconsenti a far installare questi impianti, lo Stato ti conferirà un contributo pagato da produttori e Stato nella misura dei profitti delle aste’. A oggi non è ancora stato esplicitato come verranno raccolti questi soldi. E’ vero, il produttore non deve pagare nulla oggi, ma quelli che teoricamente acquisiranno autorizzazione per costruzione impianto da gennaio 2024 a dicembre 2030 dovranno versare questi 10 euro/kw”.

Non c’erano altri metodi veloci e semplici per velocizzare la transizione?
“Ci sono limiti costituzionali, l’energia è una materia concorrente tra stato centrale e regioni. Queste ultime devono definire i siti idonei dove concentrare impianti rinnovabili. C’è anche una sostanziale lentezza per interessi di natura politica locale. Insomma, l’intento incentivante della norma è per gli enti locali e non per i produttori. Il privato non è incentivato, ma si incentivano le regioni a non fare muro”.

Le cifre in ballo non sembrano tuttavia essere così incentivanti per le regioni.
“Sono circa 10 milioni di euro l’anno a Regione, non un grande incentivo. Ma visto che è previsto un riparto fra regioni si rischia una competizione fra di loro, che potrebbero non aiutare l’aumento di produzione rinnovabile allargando invece le disparità tra i vari territori”.

Se c’è questo effetto ‘Nimby’ per le rinnovabili, un tema comunque ampiamente digerito a livello socio-mediatico, cosa potrà succedere eventualmente col nucleare? Soprattutto: ripartirà effettivamente il nucleare in Italia?
“Avrebbe rappresentato una grande opportunità per l’Italia, e ci auguriamo che possa esserlo in futuro grazie alle nuove tecnologie. La Francia ha profuso sforzi enormi affinché il nucleare fosse incluso tra le fonti green: il nucleare è alla base dell’idrogeno verde, che sarà un volano per la transizione francese. Anche l’Inghilterra però, molto attiva nell’eolico off shore, ha riavviato il programma nucleare”.

La Germania invece l’ha spento.
“La Germania ha lasciato il nucleare ma ha una cultura diffusa nelle rinnovabili e nel finanziamento o nelle autorizzazioni di impianti fotovoltaici ed eolici. Passa meno di un anno tra la richiesta di autorizzazione e l’inizio dell’attività. E i via libera saranno ancora più celeri dopo l’introduzione di nuove norme per velocizzare le pratiche”.

Da noi invece quanto tempo passa dall’autorizzazione all’avvio della produzione rinnovabile?
“Per legge si parla di poco più di un anno, nella pratica sono due anni. E’ una questione di fissazione degli obiettivi: la normativa statale spesso impone dei termini che, di fatto, non sono rispettati a causa delle molte questioni che, nella pratica, tendono a rallentare il procedimento.

Per un investitore in rinnovabili in questo momento fanno più paura i tassi o la burocrazia?
“La burocrazia, il credito comunque è favorevole. La transizione rinnovabile è un business profittevole e in trend, le banche difficilmente si tirano indietro nei finanziamenti. E poi con la tematica Esg sono le banche stesse che collocano bond con obiettivi specifici ambientali. Ci sono istituti internazionali che si stanno dotando addirittura di società controllate al 100% le quali hanno come ragione sociale quella di sviluppare impianti. Il trend sono i contratti Ppa o le cessione di energia alla rete. Cercano terreni e ingegneri, anche in Italia”.

Gozzi: “Bene governo con decreto Energia. Misure per alleviare costi per le imprese”

Il Consiglio dei Ministri di lunedì scorso ha finalmente varato misure molto importanti per l’industria italiana specie quella ad alto consumo di energia. Le due misure, denominate con anglicismi che ormai caratterizzano anche i provvedimenti di governo, vanno sotto il nome di “gas release” e “power release”.

La prima consiste nell’agevolazione di nuove concessioni per la ricerca e l’estrazione di gas nazionale che dovrebbe essere fornito, a prezzi calmierati, alle imprese energivore.

La seconda consiste nella fornitura da parte del GSE (la struttura pubblica che gestisce il mercato elettrico) per tre anni, sempre alle imprese energivore, di elettricità proveniente da impianti rinnovabili anche in questo caso a prezzi calmierati. Le imprese energivore destinatarie di queste forniture di elettricità si devono però impegnare a costruire impianti per la produzione di energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico) che siano capaci di restituire al sistema in 20 anni l’energia elettrica da fonti rinnovabili che è stata fornita alle imprese stesse  per i primi tre anni dal GSE.

Si tratta di due misure importanti che le imprese italiane e Confindustria chiedevano da tempo per colmare, almeno parzialmente, il drammatico divario sui prezzi dell’energia che si è creato dopo le decisioni di Francia, Germania e Spagna di sostenere, con varie misure, le loro imprese energivore fornendo loro energia elettrica a 70 euro al MWh. In Italia fino ad oggi le imprese energivore la pagano 120 euro a MWh. Bene quindi l’azione del Governo e in particolare del Ministro Pichetto Frattin che ha proposto e sostenuto queste misure, anche se bisogna essere consapevoli che esse mitigano il gap con gli altri Paesi europei ma non lo colmano del tutto.

Bisognerà nei prossimi mesi adottare altri provvedimenti che allineino completamente il prezzo dell’energia elettrica per le industrie energivore italiane a quello pagato dalle imprese francesi, tedesche e spagnole e ciò per evitare pericolose asimmetrie competitive che danneggerebbero la nostra industria manifatturiera.

Nel testo del decreto energia invece non c’è la proroga del mercato tutelato dell’energia elettrica e del gas di prossima scadenza, proroga che in molti chiedevano anche all’interno della stessa maggioranza di governo.

Il Governo Draghi si era impegnato con l’Europa, in sede di negoziazioni delle regole e delle riforme connesse al PNRR, di superare il mercato tutelato e di affermare definitivamente il principio del libero mercato dell’elettricità e del gas.

Come si è detto c’erano molte richieste di proroga della liberalizzazione completa del mercato. Ma la Meloni non se l’è sentita di accordarla per non venir meno all’impegno a suo tempo assunto dall’Italia con l’Unione Europea di arrivare alla piena concorrenza anche su questo mercato.

L’opposizione di sinistra, e in particolare il PD e il M5S hanno vibratamente protestato contro la fine del mercato protetto, o di maggior tutela come lo si definisce, che causerebbe gravi disagi e danni alle famiglie italiane che su questo mercato si approvvigionavano.

Tale atteggiamento non è corretto per due motivi. Il primo, più sostanziale, è che molte autorevoli ricerche hanno dimostrato che i prezzi praticati sul mercato della maggior tutela quasi sempre erano più alti di quelli che si potevano trovare sul mercato libero dell’elettricità.

Il secondo motivo che non rende credibile la posizione di PD e M5S è che sia il PD che il M5S erano al governo quando Draghi assunse l’impegno nei confronti dell’Europa di porre termine al mercato tutelato dell’energia entro la fine del 2023 e ciò costituì una delle condizioni poste dall’Unione Europea per accordare gli ingentissimi aiuti del PNRR.

Perché a quell’epoca non vennero sollevate obiezioni e oggi invece sì? Misteri, poco seri, della politica italiana.

Saltarelli (Green Horse): Nel decreto Energia incentivi a rinnovabili a spese dei produttori

Nel decreto energia, approvato a inizio settimana dal Consiglio dei ministri, c’è una “una novità passata sottotraccia che si appresta a divenire una nuova voce di spesa per i produttori di energia rinnovabile: riguarda il contributo che questi ultimi dovranno versare al Gse per incentivare le regioni a ospitare impianti a fonti rinnovabili. Si tratta di un contributo annuo pari a 10mila euro per ogni megawatt di potenza dell’impianto – quelli superiori a 20kW – per i primi tre anni dalla data di entrata in esercizio”. A dirlo è Ivano Saltarelli, partner di Green Horse Legal Advisory, avvocato amministrativista nel settore dell’energia, del gas e dell’ambiente.

Avvocato Saltarelli, da una parte dunque lo Stato prova a incentivare le regioni a ospitare più impianti rinnovabili, dall’altra fa pagare l’incentivo ai produttori di rinnovabili. Non è il cane che si mode la coda?
“Lo scopo ultimo più pratico che politico-ambientale è quello di sbloccare il collo di bottiglia che c’è nelle amministrazioni regionali, competenti per il rilascio della Via e delle autorizzazioni uniche, che fanno resistenza per questi rilasci adducendo ad esempio un consumo eccessivo di suolo, per cui si è immaginata una compensazione economica. In pratica si intende offrire una compensazione economica per disincentivare la usuale resistenza ad ospitare impianti”.

Il potenziale produttore di rinnovabili però deve pagare…
“Lato produttore è vero che c’è una voce di Capex (i flussi di cassa in uscita per la realizzazione di investimenti, ndr), però tra non fare e fare pagando qualcosa in più è preferibile la seconda opzione. se il produttore aveva progettato un impianto da 50 mw, a questo punto è immaginabile che lo porterà a 60… Quindi fin qui quello che è contenuto nel decreto è condivisibile”.

Allora cosa non la convince?
“Non mi torna che i produttori – che ricevono autorizzazioni dall’1 gennaio 2024 e assumono l’obbligo di pagamento – versano dall’entrata in esercizio al Gse una quota di 10 euro a kw all’anno per i primi tre anni, ma le regioni per beneficiarne devono attendere un decreto ministeriale attuativo del Mase che distribuisca le somme. Ciò frustra l’intenzione anche positiva del legislatore. il produttore è anche disponibile ad obbligarsi con queste compensazioni per sbloccare l’annoso stallo delle autorizzazioni; se però le regioni non sanno se e quando arriva il decreto, allora la situazione autorizzativa resta comunque in stallo”.

Quanto tempo secondo lei ci vorrà per vedere il decreto attuativo?
“Il produttore sa che deve pagare già dal prossimo anno, quando presenta richiesta di autorizzazione, anche se poi il versamento effettivo avviene dall’inizio della data di esercizio dell’impianto. ora, visto che trascorrono in media 18 mesi dall’autorizzazione all’inizio dell’esercizio, diciamo che il ministero dovrebbe varare il decreto attuativo entro il 2025. Ci potremmo trovare nel paradosso menzionato: il produttore entra in esercizio e comincia a versare il contributo compensativo al Gse ma le regioni non ne beneficeranno per assenza del decreto”.

La ratio alla base del provvedimento è il freno burocratico che rallenta i via libera agli impianti. E’ una questione politica o anche pratica di mancanza di personale? C’è anche da dire che Terna comunica domande di generazione rinnovabile 4 volte superiore a quelle che basterebbero per raggiungere i target 2030…
“La soglia potenzialmente installabile non andrebbe vista dal lato terna, ma dagli enti territoriali e ministeriali. terna infatti ha l’obbligo di ricevere tutte le domande che arrivano, senza fare filtro, quindi si trova con numeri sproporzionati, mentre un numero più coerente emerge da regioni o ministero. Questo perché il produttore presenta un progetto solo dopo la proposta di connessione ricevuta da Terna e adegua il progetto in base ai vincoli di zona… magari ha chiesto a Terna 100 mw poi però si rende conto che può farne 50, mentre la regione gli dice 20 e quindi alla fine fa solo 20. Comunque, a prescindere dal numero, la resistenza politica degli enti che non vogliono tendenzialmente altri impianti da fonti rinnovabili spesso è dovuta al raggiungimento o mantenimento del consenso politico poiché ci sono ancora larghe fette di collettività che contrastano la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili. L’altra grande verità è la mancanza di personale a tutti i livelli, terna compreso… Lo si vede anche nell’attuazione del Pnrr”.

Visto che sul Pnrr i tempi sono strettissimi, con scadenze fissate al 2026, non conviene che lo Stato si affidi ai privati per le pratiche autorizzative?
“Si tratterebbe di devolvere un’istruttoria amministrativa a un privato, che però è tipicamente una funzione dello Stato col rischio che lo stesso Stato perda il controllo su una sua funzione primaria. Si può trovare una soluzione, penso a quando il Gse. Ha devoluto ai privati l’attività di ispezione sugli impianti rinnovabili. Tuttavia, il Gse è una società per azioni. Un comune che delega a un privato la vedo complicata, ma non Impossibile con i dovuti accorgimenti. È altresì vero che, potenzialmente, il tempo recuperato affidando l’istruttoria ai privati potrebbe essere eroso dal tempo necessario per svolgere la gara per la selezione dei privati affidatari. ciò nondimeno non è una strada impercorribile”.

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Fine mercato tutelato, Schlein: “È tassa Meloni, rinviare”. Salvini: “Rimediare a errore”

Dal 10 gennaio 2024 si uscirà dal mercato tutelato dell’energia elettrica per passare a quello libero. La scelta del governo di non intervenire, però, fa esplodere la polemica nel dibattito politico. A lanciare il guanto di sfida è il Partito democratico, con la segretaria che chiama in causa direttamente la premier: “E’ una tassa Meloni sulle bollette”, accusa Elly Schlein. La fine del mercato a maggior tutela “tocca la carne viva delle difficoltà di 5 milioni di famiglie e 10 milioni di utenze, sentiamo il bisogno di raccontare bene agli italiani cosa fa il governo”, rincara la dose.

I dem provano a smontare anche lo storytelling per cui la decisione sia frutto degli accordi con l’Europa e un passo indietro rischierebbe di far saltare anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza. “Ci hanno messo 10 mesi per cambiare diversi punti del Pnrr, non capiamo perché su questo non lo abbiano fatto”, eppure “il mondo è cambiato, il Piano è stato scritto quando non c’erano due guerre e una crisi energetica: in che mondo vivono al governo se di questo ce ne siamo accorti solo noi”, rincara la dose Schlein. Che affonda ancora il colpo: “Forse fanno più attenzione agli interessi economici delle grandi società energetiche che a quelli di 5 milioni di famiglie che rischiano di pagare bollette più alte”. La responsabile Clima e Transizione ecologica del Nazareno Annalisa Corrado, poi, lancia un appello all’esecutivo: “Siamo ancora in tempo per tornare indietro, ci ripensino”.

Il Pd ricorda anche i dubbi avanzati da diversi esponenti dei partiti di maggioranza, come Fabio Rampelli di FdI, Claudio Borghi della Lega ma anche in Forza Italia. “Malgrado l’espressione unanime di tutte le forze in Parlamento, che chiedevano un rinvio delle aste, il governo lo ha negato”, aggiunge Corrado. Ma è anche il vicepremier, Matteo Salvini, a intervenire sulla questione, durante una conferenza alla Stampa estera, esprimendo una posizione che non appare totalmente in linea con le scelte prese in Cdm. “Ne ho parlato con il ministro Fitto, conto che questo governo col dialogo e la trattativa con la Commissione europea, riesca a rimediare a un errore che ci siamo trovati sulla scrivania e che rischia di essere impegnativo”, dice alludendo alle intese sottoscritte dal Conte II e confermate dall’esecutivo Draghi.

Immediata la reazione delle opposizioni. “Se Salvini viene a raccontare all’Italia che la mancata proroga del mercato tutelato è stata un errore, siamo veramente alla fiera dell’assurdo e tutto ciò è inaccettabile”, commenta Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde, che prevede un “disastro per 6 milioni di famiglie, costrette a sostenere aumenti di costi insostenibili”. Per i Cinquestelle “gli italiani pagano il regalo del governo alle aziende fossili”, mentre da Avs il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, parla di “vera e propria rapina sociale: una patrimoniale su milioni di italiani”.

Il dibattito è più che mai vivo e, dunque, non mancano le voci dalla maggioranza. In alcuni casi di chi è stato tirato in ballo dalla minoranza. Come nel caso di Fabio Rampelli, deputato FdI e vicepresidente della Camera: “Trovo sorprendenti se non ridicole le accuse di Schlein e Conte. Quando infatti entrambi hanno condiviso la responsabilità di governo (Conte2 e con Draghi) non si sono fatti scrupolo di offrire a Bruxelles lo scalpo della ‘maggiore tutela’ in cambio di non si sa bene quale clausola del Pnrr”. Stesso leitmotiv per il leghista Claudio Borghi: “Trovo incredibile che il Pd giochi a fare l’anima bella sulla fine del mercato tutelato per l’energia. Si tratta di un punto del Pnrr votato anche dal Partito democratico e negoziato dal sottosegretario dem Vincenzo Amendola”.

La partita politica, molto probabilmente, è destinata a restare aperta ancora per giorni, nel frattempo c’è attesa nei cittadini per capire se le cose resteranno così come sono, dunque dal 10 gennaio del nuovo anno tutti dovranno passare al mercato libero, o se Bruxelles possa aprire un canale di dialogo che porti al rinvio, almeno di un anno. In entrambi i casi, il corso del 2024 può cambiare per milioni di italiani.

Cdm approva nuovo dl Energia da 27,4 miliardi. Non c’è la proroga del mercato tutelato

A pochi giorni dall’approvazione definitiva in Parlamento del decreto varato nello scorso mese di settembre, il Consiglio dei ministri vara un nuovo dl Energia. Avanti sulle rinnovabili e sulla decarbonizzazione delle aziende gasivore ed energivore. Avanti sull’approvvigionamento, con la norma che sblocca i rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle. Non c’è la proroga del mercato tutelato, ma non è una novità: il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, lo aveva anticipato la scorsa settimana, parlando di uno spacchettamento degli utenti, in modo da tutelare i fragili.

Una scelta che fa saltare sulla sedia l’opposizione. “È davvero sconcertante l’atteggiamento di questo governo che, su un tema come il mercato tutelato, fa orecchie da mercante e gioca a scarica barile“, tuona Annalisa Corrado, responsabile Ambiente nella segreteria Pd. E annuncia una conferenza stampa sul tema al Nazareno con la segretaria Elly Schlein, Pierluigi Bersani, la capogruppo alla Camera, Chiara Braga, e Antonio Misiani. I deputati M5S in commissione Attività Produttive della Camera bollano la mancata proroga come “furia cieca verso le famiglie” e Luana Zanella, capogruppo di Avs a Montecitorio, avverte: “Famiglie e imprese si preparino al salasso voluto da una destra pericolosa e irresponsabile“.

Il titolare del dicastero di via Cristoforo Colombo rivendica però lo sforzo fatto per un decreto che definisce “molto variegato“, con una serie di misure riconducibili a “una solida e pragmatica visione energetica”. Si liberano, scandisce, “le grandi potenzialità del Paese“, per renderlo “riferimento nel Mediterraneo sulle rinnovabili“.

Il provvedimento vale 27,4 miliardi di investimenti: “Vogliamo sostenere famiglie e imprese, per renderle ancor più protagoniste di una transizione bilanciata e realistica”, spiega Pichetto.

C’è il sostegno all’eolico offshore nel Mezzogiorno, con l’individuazione di due porti del Sud per sviluppare investimenti nel settore, funzionali a ospitare piattaforme galleggianti, da individuare dopo le manifestazioni di interesse.

Si sostengono i settori produttivi impegnati nel percorso di decarbonizzazione, “fornendo ad esempio importanti risposte per migliaia di imprese a forte consumo di energia elettrica e gas“, afferma Pichetto. Al via anche un nuovo studio per valorizzare la filiera della cattura e stoccaggio di carbonio. Per accelerare sullo sviluppo delle rinnovabili verso gli obiettivi 2030, si spingono le Regioni a realizzare impianti fotovoltaici in aree idonee con un fondo per opere compensative. Il fondo, per Regioni e Province Autonome, ammonta a 350 milioni l’anno fino al 2032.

Il provvedimento adotta poi un sistema di incentivazione a installare impianti a fonti rinnovabili rivolto a circa 3.800 imprese a forte consumo di energia elettrica come quelle della chimica, del vetro e del tessile, che potranno vedersi anticipare dal GSE gli effetti della realizzazione di questi impianti, da restituire nei successivi venti anni.

Approviamo inoltre una norma per considerare di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, le opere per la costruzione e l’esercizio di terminali di rigassificazione di gas naturale liquido on-shore, nonché le infrastrutture connesse: una norma importante per impianti come Porto Empedocle e Gioia Tauro“, precisa. Avanti anche sul geotermoelettrico e sul bioetanolo, sul teleriscaldamento.

Un portale digitale raccoglierà dati e informazioni sullo sviluppo della rete elettrica nazionale. Gli enti territoriali potranno infine autocandidarsi a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. “Un passo necessario – insiste il ministro – per accelerare i tempi di individuazione di un’area di cui il Paese ha forte bisogno”.

Pnrr, ok Ue a quarta rata e RePowerEu. Meloni esulta: “21 miliardi, una seconda manovra”

Era nell’aria, ma ora è ufficiale. La Commissione approva le modifiche presentate dal governo al Pnrr italiano legato alla quarta rata e, contestualmente, anche il capitolo aggiuntivo del RePowerEu. Proprio il documento strategico per l’indipendenza energetica, secondo Bruxelles, “copre in modo completo i sei pilastri dello strumento” di rilancio economico, vale a dire transizione verde, trasformazione digitale, crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, sanità e resilienza economica, sociale e istituzionale e politiche per le generazioni future.

Ci sono anche altre novità legate al RePower, perché “aumenta di dimensioni” in termini di risorse, spiega il ministro titolare del dossier, Raffaele Fitto, passando dai 2,7 miliardi di euro iniziali a 2,88 miliardi grazie all’aggiunta di “una piccola unità di calcolo di altri 100 milioni di euro”; e aumenta come contenuti: “Ora esistono sette nuove riforme che si aggiungono alle cinque già previste”. Il surplus, però, non avrà effetti immediati. “Non cambia l’importo della quarta rata” da 16,5 miliardi di euro, chiarisce l’esecutivo comunitario: “Le modifiche del totale da destinare all’Italia riguardano gli importi dalla quinta rata in poi”.

La sostanza comunque non cambia, perché tirando le somme, il governo “mette a disposizione della crescita economica italiana altri 21 miliardi di euro”, in pratica “una seconda manovra economica in gran parte destinata allo sviluppo e alla competitività del tessuto produttivo italiano”, dice la premier, Giorgia Meloni, alle associazioni datoriali, convocate a Palazzo Chigi per illustrare la legge di Bilancio 2024. “Abbiamo lavorato a una manovra consapevoli che parallelamente stavamo trattando con la Commissione europea la revisione del Pnrr”, spiega ancora la presidente del Consiglio. Lasciando intendere che la strategia dell’esecutivo è sempre stata quella di viaggiare su un doppio binario: “Abbiamo verificato le criticità e le abbiamo superate, abbiamo fatto in modo che tutti i soldi del Pnrr venissero spesi nei tempi e quindi abbiamo concentrato le risorse sulla crescita e la modernizzazione della nazione e mi pare che il risultato, sul quale in pochi scommettevano, dice che non era una scelta sbagliata”, rivendica ancora Meloni. Che ringrazia Bruxelles: “La Commissione è stata sicuramente rigida per certi versi, ma molto aperta alla possibilità che queste risorse fossero spese nel migliore dei modi”.

Entrando nel concreto, ci sono “12,4 miliardi di euro assegnati al sistema delle imprese, 6,3 miliardi alla transizione 5.0, 320 milioni per il supporto alle pmi per l’autoproduzione di energia e fonti rinnovabili e 2 miliardi per i contratti di filiera in agricoltura”, elenca Fitto. E ancora: “2,5 miliardi di euro per il supporto al sistema produttivo, 850 milioni di euro per il parco agrisolare e 308 milioni per il fondo tematico per il turismo”. Inoltre, “un’altra proposta molto qualificante è quella della rimodulazione, d’intesa con la struttura commissariale, di 1,2 miliardi destinati nella gestione destinati all’alluvione in Emilia-Romagna, Marche e Toscana. Esistono poi investimenti per 5,2 miliardi sul fronte delle reti delle Infrastrutture, 1,8 miliardi per la realizzazione e il rafforzamento strategico delle reti elettriche e del gas, oltre 1 miliardo agli interventi per la perdita e la riduzione idrica, oltre 1,1 miliardi per l’acquisto di nuovi treni ad emissioni ridotte, 400 milioni per l’elettrificazione delle banchine portuali e 920 milioni per la messa in sicurezza degli edifici scolastici e la realizzazione di nuove scuole”.

Nella rimodulazione ci sono anche “1,380 miliardi destinati alle famiglie a basso reddito per l’efficientamento energetico e l’edilizia abitativa”. Fitto assicura che “nei prossimi giorni definiremo gli ultimi aspetti per giungere alla definizione del pagamento della quarta rata del Pnrr entro il 31 dicembre”, stessa data entro cui il governo è convinto di poter “raggiungere i target della quinta rata” e quindi “fare la richiesta di pagamento”.

A esultare è tutta la squadra di Meloni. “Con la riprogrammazione del Pnrr sono ulteriori 12,4 i miliardi per le imprese, di cui quasi 10 miliardi sui progetti del Mimit”, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che vede lievitare al 30% la quota di fondi per il suo dicastero. “Quasi 10 miliardi che si aggiungono ai 19 miliardi già assegnati e agli 8 del fondo complementare, per un totale di 37 miliardi in dotazione al Mimit – riepiloga Urso -. Risorse decisive per sostenere la competitività del sistema produttivo. Destineremo così altri 6.4 miliardi a transizione 5.0 per un totale di 13,3 miliardi per l’innovazione tecnologica tra fondi Pnrr e nazionali (6.8 miliardi) già in Bilancio nel biennio 2024/2025“.

Mobilità, Descalzi (Eni): “Non si può puntare su un’unica soluzione”

Nel sistema energetico” per quel che concerne il segmento della mobilità “non si può mai puntare su un’unica soluzione”. Lo dice l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, a margine del Forum di Coldiretti. “Come Eni puntiamo sui biocarburanti, ma ci sono mezzi pesanti, tutta la parte aeronautica e i mezzi navali che ovviamente non possono passare in modo immediato, e forse mai, all’elettrico – aggiunge -. Quindi, hanno bisogno anche delle alternative con bassa impronta carbonica”. Ma “puntiamo molto sull’elettrico, siamo la prima o tra le prime società in termini di stazioni di ricarica in Italia e ne abbiamo molte anche in Europa”, dice ancora Descalzi. Che prosegue: “Abbiamo la parte dell’elettrico, quella del biodiesel e dei biocarburanti in senso generale, anche se l’elettrico resta fondamentale – sottolinea -. Bisogna avere tante soluzioni, perché dobbiamo cercare anche soluzioni che siano economiche e che possano auto-giustificarsi senza dover pesare sul governo o, ancora di più, a livello tariffario su tutti i cittadini”.

Descalzi: “Africa spinta a biocarburanti, ma colture non devono impattare su foreste”

E’ chiaro che l’Africa può essere una spinta ai biocarburanti a patto che si riesca a sviluppare quelle colture che stiamo sviluppando noi, quindi piante oleose, arbusti che vivono in zone quasi desertiche, con poca acqua, senza impattare sulle foreste primarie e secondarie, perché questo va contro l’obiettivo di ridurre il contenuto di Co2”. Lo dice l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, a margine del Forum di Coldiretti. “I più grossi contenitori e strumenti di cattura che esistono al mondo sono proprio le foreste primarie e secondarie”, conclude.